TUTTOSCIENZE 17 febbraio 93


ASTEROIDI CONTRO LA TERRA? C' è un killer nello spazio Sono 2000 quelli potenzialmente pericolosi
Autore: DI MARTINO MARIO

ARGOMENTI: ASTRONOMIA
LUOGHI: ITALIA
TABELLE: D. Come si devia un asteroide
NOTE: 025

COME se non bastassero i problemi che turbano quotidianamente la nostra esistenza, due eventi astronomici nel giro di poche settimane hanno destato allarme nell' opinione pubblica. In Giappone il 10 dicembre dello scorso anno un meteorite del peso di 6 chili ha colpito una casa di due piani, fortunatamente senza fare vittime. Poche settimane dopo, tra il 18 e il 19 gennaio, la notte delle regioni orientali della Pianura Padana è stata rischiarata per un' area di migliaia di chilometri quadrati da un intenso bagliore seguito da un forte boato. In entrambi i casi si è trattato di fenomeni naturali che hanno sempre coinvolto il nostro pianeta sin dalla sua nascita, poco più di 4, 5 miliardi di anni fa: l' impatto di corpi solidi provenienti dallo spazio interplanetario. Ma l' allarme rimane. Dall' inizio degli anni 70 un interesse crescente si è focalizzato sulla possibilità che l' estinzione dei dinosauri alla fine dell' era Cretacea, circa 65 milioni di anni fa, sia stata causata dall' impatto sulla Terra di un asteroide delle dimensioni di alcuni chilometri. La possibilità che eventi analoghi, anche su scala minore, si ripetano, ha accresciuto l' attenzione di scienziati e politici sulla potenziale minaccia che per l' umanità può derivare dalla caduta sulla Terra di qualcuno dei numerosi corpi celesti di dimensioni superiori al centinaio di metri (stimati in circa 2000) le cui orbite intersecano quella terrestre. L' ultimo esempio di un fenomeno di questo tipo che ha lasciato tracce evidenti, è rappresentato dalla «catastrofe di Tunguska» del 1908. Numerosi testimoni oculari riferirono che intorno alle 7 del 30 giugno una «palla di fuoco brillante come il Sole» solcò il cielo della Siberia centrale in direzione Sud Est/Nord Ovest. Seguì una terribile esplosione mentre una densa nube di fumo e polveri si sollevava sopra una regione compresa tra i fiumi Nirhnjaja Tunguska e Podkamennaja Tunguska, affluenti dello Jenissej. La palla di fuoco fu osservata in un raggio di 1500 chilometri, mentre un forte boato accompagnato da un tremore del terreno, assimilabile ad un terremoto di media intensità, fu avvertito a oltre 1000 chilometri di distanza. L' onda sismica fu registrata da tutti gli osservatori geofisici euroasiatici. A causa di questa esplosione, la cui energia è stata valutata pari a quella liberata da 12 milioni di tonnellate di tritolo (12 megaton), equivalenti a 1000 bombe atomiche del tipo sganciato su Hiroshima, furono devastati più di duemila chilometri quadrati di foresta. La spiegazione più accettata è che si sia trattato di un meteoroide di una cinquantina di metri. Alcuni tipi di asteroidi e in particolare i nuclei delle comete sono costituiti da materiale poco denso e friabile, per cui se un corpo di questo tipo entra nell' atmosfera alle velocità tipiche di questi oggetti (30 chilometri il secondo: poco più di tre ore per coprire la distanza Terra Luna) il calore generato dall' attrito può provocarne la repentina vaporizzazione. Nel caso di Tunguska la completa dissoluzione dell' oggetto dovrebbe essere avvenuta a un' altezza compresa tra i 5 e i 6000 metri, per cui l' onda d' urto e una certa quantità di materiale vaporizzato avrebbero raggiunto la superficie terrestre provocando le devastazioni osservate. Se un evento del genere si verificasse in corrispondenza di una città o nelle sue vicinanze le conseguenze sarebbero facilmente immaginabili. Fatta eccezione per rari oggetti costituiti essenzialmente da ferro e nichel, si può affermare che soltanto quando un proiettile cosmico ha dimensioni superiori ai 100 metri può rappresentare un serio pericolo per aree di alcune migliaia di chilometri quadrati. Attualmente sono conosciuti sulle terre emerse del nostro pianeta circa 130 crateri provocati dall' impatto di un corpo cosmico. Alcuni risalgono a due miliardi di anni fa e il loro diametro va dai 200 chilometri del cratere Sudbury in Canada a qualche decina di metri. I modelli teorici, le simulazioni di laboratorio e gli esperimenti effettuati per mezzo di esplosioni di varia potenza hanno permesso di stimare con una certa precisione le conseguenze della collisione di un asteroide o di una cometa con la Terra. Scavare un cratere del diametro di 100 chilometri significa rimuovere diversi milioni di miliardi di tonnellate di roccia e terreno. Se soltanto l' 1 per cento del materiale scavato raggiungesse l' alta atmosfera, l' intero pianeta verrebbe in breve tempo oscurato dalle polveri in sospensione. L' asteroide che, caduto sulla Terra circa 65 milioni di anni fa, da molti è ritenuto la causa della scomparsa dei dinosauri, deve avere avuto un diametro di circa 10 chilometri (dimensioni paragonabili a quelle dell' Himalaya) e recentemente, dopo anni di ricerche, sembra che sia stato scoperto il luogo dell' impatto. Il cratere è stato localizzato nella regione settentrionale della penisola dello Yucatan, in Messico, è largo circa 180 chilometri ed è centrato in corrispondenza della cittadina di Puerto Chixulub. Ma qual è la probabilità che il nostro pianeta sia colpito da un asteroide? Dagli studi effettuati risulta che in media un impatto che liberi un' energia di circa 10 kiloton (come quello verificatosi il 18 gennaio scorso nell' Italia nordorientale e uno analogo osservato l ' 1 ottobre 1990 dai satelliti spia americani nel Pacifico centrale ) è da considerare un evento annuale, mentre uno del tipo di Tunguska ha una probabilità di verificarsi una volta ogni 300 anni Impatti di oggetti con diametro dell' ordine del chilometro e con un conseguente sviluppo di energia di qualche milione di megaton, che potrebbero provocare effetti catastrofici su scala globale (la scomparsa del 25 per cento della popolazione mondiale), hanno una probabilità di verificarsi una volta ogni 500. 000 anni. La probabilità di collisione con la Terra di asteroidi di 10 chilometri è di una volta ogni 100 milioni di anni. Disastri naturali come cicloni, terremoti, eruzioni vulcaniche e alluvioni uccidono spesso migliaia di persone, ma una collisione cosmica causerebbe devastazioni e morti su scala globale di entità neppure lontanamente paragonabile con altre catastrofi naturali. Di fronte a questo rischio (si è calcolato che per una persona la probabilità annuale di morte a causa della caduta di un asteroide del diametro di circa 1 chilometro è dell' ordine di 5x10 7, rischio comparabile a quello di morire per un incidente aereo), il Congresso americano nel 1991 ha dato incarico alla Nasa di esaminare quali possano essere i modi per evitare questi eventi. La Nasa ha costituito due commissioni, una incaricata di valutare il rischio, l' altra di studiare la fattibilità degli strumenti necessari a deviare eventuali corpi cosmici che una volta scoperti risultassero in rotta di collisione con la Terra. Il risultato degli studi delle due commissioni è incoraggiante. Per scoprire l' intera popolazione di asteroidi pericolosi (con dimensioni superiori ai 100 metri) nel giro di un decennio sarebbe sufficiente disporre di una rete di sei telescopi di 3 metri di diametro a grande campo dislocati in varie parti del globo. Il costo dell' operazione si aggirerebbe sugli 80 milioni di dollari (meno del costo di un solo bombardiere «invisibile» B2). Circa la possibilità di deviare eventuali oggetti pericolosi, le tecnologie attualmente disponibili (frutto in parte degli studi effettuati per il programma di «guerre stellari» ) sarebbero sufficienti per raggiungere l' obiettivo. Degli asteroidi pericolosi conosciuti, da adesso alla fine del prossimo secolo, quello che passerà più vicino alla Terra sarà Nereus, un oggetto di 1 chilometro di diametro che nel 2060 si avvicinerà fino a 1 milione di chilometri, circa tre volte la distanza Terra Luna. Il punto sulle conoscenze in questo campo dell' astronomia verrà fatto dal 14 al 18 di giugno di quest' anno a Belgirate, sul Lago Maggiore, dove, in occasione del congresso «Asteroids, Comets, Meteors», organizzato dall' Osservatorio Astronomico di Torino e dal Lunar and Planetary Institute di Houston sotto gli auspici dell ' Unione Astronomica Internazionale, si riuniranno 400 planetologi provenienti da tutte le parti del mondo. Mario Di Martino Osservatorio Astronomico di Torino


Ma con una spintarella... La Nasa ha un piano per allontanare gli intrusi
Autore: ZAPPALA' VINCENZO

ARGOMENTI: ASTRONOMIA, TECNOLOGIA
LUOGHI: ITALIA
NOTE: 025. Possibili interventi per deviare o disintegrare un asteroide

DI recente meteoriti più o meno grandi sono caduti in varie parti del mondo, dal Giappone all' Adriatico, mentre asteroidi dal diametro di alcuni chilometri, come Toutatis, hanno «sfiorato» la Terra. Tutto ciò ha accresciuto l' interesse dell' opinione pubblica verso questi oggetti che, benché piccoli, sono di straordinaria importanza scientifica. Contemporaneamente sono riaffiorate le paure, più o meno esagerate, di un possibile scontro del nostro pianeta con uno di questi «proiettili» vaganti e si sono anche valutati gli effettivi rischi che la civiltà umana corre per eventi di questo tipo. Si è visto in conclusione che, benché su tempi molto lunghi per la vita di un singolo individuo, tali rischi esistono e non possono essere del tutto trascurati. Ne conseguono due principali linee di azione: cercare di scoprire quanti più oggetti possibile della popolazione «pericolosa» (ne conosciamo solo poco più di cento, contro una popolazione probabile di almeno mille con dimensioni superiori al chilometro) e, se necessario, studiare le strategie per intervenire direttamente sull' oggetto in questione al fine di deviarlo dalla traiettoria pericolosa. Alcuni scienziati hanno già compiuto analisi abbastanza approfondite, valutando le varie possibilità di intervento, con i relativi difetti e vantaggi e stimando i costi. Cercheremo di farne un breve resoconto, basandoci sul recente lavoro compiuto dagli studiosi americani Ahrens ed Harris, entrambi del Caltech di Pasadena. Innanzitutto va detto che il migliore metodo di intervento non è certo quello di distruggere l' asteroide «killer», bensì di modificarne l' orbita introducendo dall' esterno un effetto perturbativo. In particolare, bisogna modificare la velocità dell' oggetto in modo che il semiasse maggiore dell' orbita e di conseguenza il periodo di rivoluzione intorno al Sole subisca un' alterazione sufficiente a scongiurare l' incontro con il nostro pianeta. I calcoli dimostrano che i migliori risultati si ottengono incrementando la velocità nel senso del moto, ossia dando una «spinta» in avanti all' asteroide. Un piccolo incremento di 1 centimetro il secondo è già sufficiente perché nel giro di pochi anni l' orbita venga alterata evitando la catastrofe. Il problema è: che cosa usare per impartire questo aumento di velocità ? I metodi utilizzabili dipendono dalle dimensioni dell' oggetto. Se, ad esempio, il suo diametro è dell' ordine di 100 metri già sufficiente a non essere distrutto dall' atmosfera e a causare gravissimi danni nel punto di caduta può bastare colpirlo direttamente con una normale navicella spaziale. Lo scontro, anche a velocità relative non troppo alte, dell' ordine di 10 chilometri il secondo, causerebbe un cratere in grado di disperdere nello spazio 100. 000 tonnellate di frammenti. Per «effetto razzo» questo getto di materia farebbe accelerare l' asteroide di quanto basta. Nel caso di una navicella del peso di 200 chili, la velocità supplementare impartita all' oggetto bersaglio sarebbe già di 0, 6 centimetri il secondo. Qualora le dimensioni dell' asteroide fossero maggiori, ad esempio 1 chilometro (già in grado di causare disastri globali con centinaia di milioni di vittime) il semplice impatto non basta più: la gravità dell' asteroide sarebbe troppo alta e limiterebbe di molto la quantità di massa espulsa nello spazio. E' allora necessario usare un metodo più drastico. Una soluzione (un poco prematura al momento) potrebbe essere quella di depositare sull' asteroide un motore a reazione o meglio un «mass driver», in grado di scavare materiale sull' asteroide ed espellerlo alla necessaria velocità. In circa dieci anni si otterrebbero gli effetti voluti, ma sarebbe di gran lunga meno efficace di un sistema basato su di una esplosione nucleare. In quest' ultimo caso avremmo due alternative: far esplodere l' ordigno sulla superficie dell' asteroide oppure a una certa distanza da esso e sfruttare solo la radiazione di neutroni che viene sprigionata. Nel primo caso, saremmo sicuri che il materiale espulso nell' esplosione sarebbe sufficientemente polverizzato da non causare esso stesso un pericolo per la Terra, ma potremmo correre il rischio di frantumare l' asteroide in pochi grossi frammenti, alcuni dei quali ancora pericolosi. Per essere efficace, l' esplosione superficiale necessiterebbe di un' energia di 100 kilotoni per un oggetto di 1 chilometro di diametro e di 10. 000 kilotoni (ossia 10 megatoni) per uno di 10 chilometri. Nel caso di un «piccolo» oggetto di soli 100 metri, sarebbe già sufficiente un ordigno equivalente a 500 chilogrammi di tritolo per ottenere la perturbazione corrispondente a un incremento di velocità di 1 centimetro il secondo. Ancora più promettente sembra però la seconda alternativa e cioè quella di una esplosione in prossimità dell' asteroide. In questo caso l' ordigno deve esplodere ad una distanza da stabilire in base al raggio dell' oggetto da deviare. Nel caso di un asteroide di un chilometro, la detonazione deve avvenire a circa 400 metri da esso. Dopo l' esplosione la superficie esposta (circa un terzo del totale) viene investita da un flusso di neutroni capaci di penetrare per 20 centimetri nell' asteroide. Questo straterello superficiale, a causa dell' energia indotta dal flusso di neutroni, aumenta di molto la propria temperatura, mantenendo invariato il proprio volume. Ne consegue un aumento di pressione, che tende a staccare lo strato e ad espellerlo, più o meno frantumato, nella direzione dell' esplosione; contemporaneamente l' asteroide ancora quasi totalmente integro subisce una spinta nella direzione opposta, ossia in quella del suo moto orbitale. Ordigni con energia comparabile a quella necessaria per le esplosioni superficiali, sarebbero in grado di incrementare la velocità dell' asteroide di un centimetro il secondo, come richiesto per scongiurare l' impatto con la Terra. Questi esempi sono applicabili solo se si ha tempo a sufficienza per intervenire (almeno una decina d' anni). Se invece fossimo davvero con l' acqua alla gola (pochi mesi) l' incremento di velocità da impartire diverrebbe molto più grande, crescerebbe l' energia da liberare nell' esplosione e aumenterebbero i rischi di frammentazione. Ecco perché è necessario conoscere in fretta la maggior parte degli oggetti che sono potenzialmente pericolosi. Tuttavia è bene ricordare che molti degli studi intrapresi hanno concordato su un fatto importante: la non necessità di condurre ulteriori approfondimenti ingegneristici. L' alto costo di tali studi non è infatti giustificato dal rischio relativamente basso di un impatto veramente pericoloso, tenendo soprattutto conto dei rapidi cambiamenti che ci possiamo aspettare nelle tecnologie di difesa. E i tanti ordigni nucleari sparsi negli arsenali di tutto il mondo potrebbero finalmente servire a qualcosa di utile. Vincenzo Zappalà Università di Torino


COMMISSIONE AL LAVORO «Vorrei un caffè unificato» Saranno codificate le caratteristiche della tazzina Norme tecniche per unificare forme e grandezze interessano soprattutto il settore della meccanica; ma servono anche per la tutela del consumatore
Autore: PAPULI GINO

ARGOMENTI: METROLOGIA
ORGANIZZAZIONI: UNI ENTE NAZIONALE ITALIANO DI UNIFICAZIONE
LUOGHI: ITALIA
NOTE: 026

MI dà un espresso secondo la norma di unificazione Uni? ». Presto potremo rivolgere questa domanda al barista senza essere presi per stravaganti: l' Uni (Ente Nazionale Italiano di Unificazione) ha dato incarico a una sua sottocommissione di elaborare una «norma» per il caffè espresso. La prima riunione di questo gruppo di lavoro si è tenuta all' inizio di dicembre sotto la presidenza del professor Turchetto, dell' università di Bologna, presenti membri del ministero delle Finanze, del Laboratorio della Dogana, delle industrie di torrefazione. Consideriamo quanto sarebbe più complicata la nostra vita se tutte le lampadine non fossero avvitabili su tutti i portalampade, se la lunghezza di un metro non fosse la stessa a Parigi come a Palermo, se lo scartamento delle rotaie ferroviarie fosse diverso da Paese a Paese. Quando le difformità sono eliminate e la produzione avviene secondo regole stabilite, accettate e rispettate universalmente, si parla di «unificazione» del prodotto. «Unificazione» è la parola italiana (scelta, nessuno lo immaginerebbe, da Gabriele d' Annunzio) corrispondente al termine francese «normalisation», all' inglese «standardization», al tedesco «normung». Ma il concetto che sta alla base di un comportamento comune nel campo industriale ha radici antiche come l' umanità e ci appare da casi ben noti, come i mattoni della Mesopotamia, il sistema di misure della civiltà egiziana, le «fistulae» ed i chiodi dell' antica Roma. Il calendario, i fusi orari, la ripartizione delle frequenze radio sono altri esempi di una regolamentazione comune senza la quale i rapporti tra i popoli sarebbero molto difficili. L' Uni, nato nel 1921 per occuparsi del settore meccanico, ha poi esteso la propria attività a tutti i campi produttivi, con esclusione di quello elettrico che è di competenza del Cei (Comitato Elettrotecnico Italiano). Esso emana norme tecniche che hanno la funzione di uniformare forme e grandezze, simboli e misure; di definire parametri qualitativi ottimali, requisiti di prestazione dei processi produttivi e dei prodotti, garantendo la sicurezza dei consumatori e degli utenti. Le norme tecniche sono messe a punto con il consenso e la cooperazione di tutte le parti interessate, avendo per obiettivo la soluzione migliore del momento, senza tuttavia perdere di vista le implicazioni economiche. Le norme approvate sino ad oggi dall' Uni sono più di 8000 e rappresentano il frutto dell' opera di oltre 15. 000 esperti operanti in 65 commissioni. Nell' ambito della Cee il lavoro degli enti di unificazione deve procedere armonicamente; e, difatti, l' Uni fa parte sia del Cen (Comité Europeen de Normalisation) che dell' Iso (International Organization for Standardization). Al di fuori dei settori ingegneristici tradizionali ai quali è stata sinora dedicata la maggiore attenzione vi sono molte norme che riguardano le cose più varie, come, ad esempio, i diamanti, i parapendio, i mobili imbottiti, i giocattoli, i carrelli per supermercati, le apparecchiature medicali, gli ausilii per disabili, gli accendini, i tappi di sughero. Ma, per quanto possano stimolare l' interesse nel grande pubblico, queste norme non suscitano in noi la stessa curiosità che ci viene da quella della tazzina di caffè. E ci rendiamo conto che i componenti della sottocommissione che deve varare la norma per «la bevanda più amata dagli italiani», si trovino di fronte ad un compito di grande responsabilità. A loro, con la nostra comprensione (ed apprensione), un augurio di buon lavoro. Gino Papuli


AERONAUTICA Il Dc 9, storia di un aereo a fisarmonica L' Md 90 è la nuova versione uscita pochi giorni fa E' lungo quasi il doppio rispetto al primo modello
Autore: RIOLFO GIANCARLO

ARGOMENTI: AERONAUTICA E ASTRONAUTICA, TECNOLOGIA
ORGANIZZAZIONI: MCDONNEL DOUGLAS
LUOGHI: ITALIA
NOTE: 026

SI chiama Md 90 l' ultimo discendente del Dc 9, il fortunato bireattore della McDonnell Douglas nato nel lontano 1965. E' stato presentato sabato a Long Beach, ed è candidato a succedere alle centinaia di jet a corto e medio raggio costruiti negli Anni Sessanta e Settanta ancora in servizio in tutto il mondo: Dc 9, Boeing 727 e 737. Aerei prossimi alla pensione, sui quali pesa la minaccia delle nuove norme sul controllo del rumore. L' Md 90 verrà prodotto ben oltre il Duemila e con ogni probabilità sarà ancora operativo nel 2025, sessant' anni dopo il primo volo del Dc 9. Il segreto di questa longevità è la continua evoluzione del progetto originario. Un progresso sottolineato dal costruttore anche con il cambiamento della denominazione, una decina d' anni fa, con il Dc 9 Super 80, ribattezzato Md 80, il velivolo che l' Alitalia ha scelto per affiancare e a mano a mano sostituire i Dc 9 serie 30, in servizio dal 1967. Rispetto a questi ultimi, gli Md 80 si riconoscono immediatamente per la cabina passeggeri allungata di nove metri, ma le differenze tra i due velivoli sono molte di più un' ala nuova, motori potenziati e più silenziosi, un sistema computerizzato di gestione delle prestazioni che semplifica il lavoro dei due piloti e consente di risparmiare carburante. Con l' impiego di materiali compositi si è ridotto il peso a vantaggio del carico utile, delle prestazioni e dei consumi. La coda ridisegnata degli esemplari più recenti ha migliorato l' efficienza aerodinamica. L' Md 90 è un ulteriore passo in avanti. La fusoliera cresce ancora di un metro e mezzo per accogliere, a seconda degli allestimenti, da 153 a 172 passeggeri. Nella cabina di pilotaggio gli strumenti tradizionali sono sostituiti da sistemi computerizzati; i motori sono i nuovi turbofan V2500, prodotti da un consorzio internazionale che unisce le capacità tecnologiche dell' industria Usa (Pratt & Whitney), europea (Rolls Royce, Mtu, e FiatAvio) e giapponese (Jae); uno dei più avanzati propulsori civili, con il più basso livello di emissioni e di rumore della sua categoria. Inoltre è economico: rispetto all' Md 80, il nuovo velivolo consuma l' 11 per cento di carburante in meno su una tratta tipo di 900 chilometri. L' aumento della capacità risponde alle esigenze del trasporto aereo, enormemente cresciuto dagli anni Sessanta a oggi. Per i collegamenti che richiedono un velivolo più piccolo, si affiancherà una versione accorciata, l' Md 95, da cento passeggeri; un ritorno alle dimensioni originarie del Dc 9. Il bireattore McDonell Douglas non è l' unico aereo di linea degli anni Sessanta ringiovanito per affrontare le esigenze di compagnie e passeggeri del 21 secolo. Un altro «evergreen» è il rivale Boeing 737, il velivolo commerciale più diffuso nel mondo. Nato come «cento posti», anch' esso è cresciuto e ha ricevuto nuovi propulsori più potenti, più silenziosi e meno assetati di cherosene. Grazie alla concezione modulare della fusoliera, è costruito in tre versioni di differente lunghezza, capaci di ospitare 100, 140 e 150 passeggeri. Anche il Boeing 747, il «Jumbo» (primo volo nel 1968), continua a essere prodotto in versioni costantemente aggiornate, mentre l' Md 11, il nuovo trireattore McDonnell Douglas, è derivato dal Dc10 (classe 1970). E non è detto che l' evoluzione sia terminata. Giancarlo Riolfo


IMAX: SI GIRA IN ITALIA Il futuro dei Lumiere Un cinema a immersione totale
Autore: BIANUCCI PIERO

ARGOMENTI: TECNOLOGIA, OTTICA E FOTOGRAFIA
LUOGHI: ITALIA
NOTE: 026

SOPRAVVIVERA' il cinema alle videocassette, al Laser Disc, alla Tv ad alta definizione e alle altre tecnologie dell' immagine che i laboratori di ricerca vanno sfornando a ritmo accelerato? La risposta è sì, a condizione che il cinema ritrovi una sua cifra esclusiva come fabbrica di emozioni forti, distanziando così i concorrenti elettronici: gli spettatori degli Anni 90 dovrebbero poter provare lo stesso choc che provarono i parigini nel 1895 al Salon Indien vedendo la locomotiva uscire dallo schermo grazie al marchingegno dei fratelli Lumiere. Ma mentre il progresso dell' immagine elettronica è rapidissimo, il cinema è tecnologicamente ancora molto vicino a quello delle origini. Il sonoro, il colore e il formato cinemascope sono le poche e ormai datate tappe del suo lento perfezionamento. In realtà, un passo oltre il cinemascope è stato fatto, e proprio in questi giorni il cinema del futuro è arrivato in Italia. Sabato una troupe ha terminato alcune riprese del Carnevale di Venezia con il sistema Imax, una tecnologia che fa sentire lo spettatore completamente immerso nell' immagine e quindi nella situazione cinematografica grazie a uno schermo 10 volte più grande di quelli convenzionali e a 6 sorgenti sonore a piste indipendenti, 4 vicine allo schermo e 2 nell' ambiente. Il film che si sta girando, Imagine 3D, è appunto a effetto tridimensionale, lo dirige il regista australiano John Weiley e lo interpreta Cynthia Quinn, ballerina del gruppo newyorkese dei Momix Il soggetto è un viaggio nella mente, in un mescolarsi di spazio e tempo, sogno e realtà. I film Imax sono già un centinaio. Alcuni hanno carattere scientifico, come The dream is Alive, girato dagli astronauti in orbita e To Fly, una storia della conquista dello spazio. Nel sistema Imax la pellicola ha fotogrammi di 70 millimetri a 15 fori, la cui superficie è dieci volte maggiore rispetto ai film normalmente in circolazione. Lo scorrimento della pellicola non è verticale ma orizzontale, e l' otturatore è realizzato in modo da trasmettere il 68 per cento della luce anziché il 50 per cento come avviene di solito, per cui le immagini sono di un terzo più luminose. La sala di proiezione (di solito con 400 posti) ha le poltrone disposte a gradinata. Lo schermo misura 20 per 25 metri. Esistono varianti come l' Imax a effetto tridimensionale, Omnimax, con lo schermo semisferico dal raggio di 24 metri, il Magic Carpet, che ha in più uno schermo sotto gli spettatori. Imax e i suoi derivati hanno incominciato la loro strada a Toronto nel 1967. La prima proiezione è avvenuta a Osaka, in Giappone, nel 1970. Oggi nel mondo esistono 81 impianti: 40 negli Usa, 9 in Canada, 10 in Europa, 9 in Giappone, 4 in Messico, 6 in Asia, 3 in Australia, nessuno in Italia. Il costo dell' impianto si aggira sui 2 3 miliardi. Gli astronauti usano Imax per prepararsi alle sensazioni che proveranno in orbita. Vedremo se questa evoluzione dell' idea di Lumiere ha davvero un domani o se è soltanto una tecnologia spettacolare, quasi da luna park, adatta esclusivamente a film documento. Piero Bianucci


SCAFFALE Lindauer Martin: «Messaggio senza parole: come comunicano gli animali»
AUTORE: VERNA MARINA
ARGOMENTI: ETOLOGIA, LIBRI
LUOGHI: ITALIA
NOTE: 026

D' ESTATE vivono separati, ognuno per conto suo nel muschio umido dei boschi. D' improvviso, quando arriva la stagione degli amori, tornano a migliaia allo stagno dove sono nati e vissuti sotto forma di girini. Poi, dopo aver fecondato le uova e averle sospese in lunghi fili tra le piante acquatiche, i rospi riprendono la loro vita solitaria. Come sono riusciti a comunicarsi la data e il luogo di quell' unico appuntamento? Lo racconta l' etologo austriaco Martin Lindauer nel suo ultimo libro «Messaggio senza parole», dedicato ai suoni, agli odori, ai segnali, ai rituali che costituiscono i linguaggi del mondo animale. Comunicano le api e le termiti, ma anche le alghe e i protozoi. Una comunicazione chimica che serve per aggredire e corteggiare, curare la cute e regolare la temperatura, un alternarsi di componenti odorose che non lascia nessun messaggio inespresso. Le ali dei grilli e le zampe delle cavallette sembrano destinate solo al volo. Invece il loro movimento è anche un canto territoriale o una richiesta di accoppiamento, che l' interlocutore afferra al volo. Cani, topi, ratti marcano il loro territorio servendosi di campioni d' urina, il maschio d' ippopotamo ruota la coda come un' elica per distribuire le feci. Galanti, i maschi di empididi offrono doni di nozze avvolti in bozzoli scintillanti. Scaltriti da millenni di evoluzione, spesso evitano di riempirli o mettono prede mezze rossichiate. Tanto le femmine abboccano lo stesso.


Scaffale Gardner Howard: «Educare al comprendere: stereotipi infantili e apprendimento scolastico», Feltrinelli
AUTORE: VERNA MARINA
ARGOMENTI: PSICOLOGIA, DIDATTICA, LIBRI
LUOGHI: ITALIA
NOTE: 026

Perché si impara facilmente la propria lingua materna mentre si fatica tanto con quelle straniere? E perché anche gli studenti più brillanti, posti di fronte a un brano di cui non conoscono l' autore, hanno difficoltà a capire se si tratta di un capolavoro o di robetta? Non tutti abbiamo lo stesso tipo di intelligenza mentre la scuola procede per stereotipi, è la risposta di Howard Gardner, che nel suo ultimo libro «Educare al comprendere» riprende la teoria delle sette intelligenze e analizza le distorsioni su cui si fonda l' insegnamento scolastico. E' davvero curioso, in effetti, che quasi tutti apprendiamo con gioia e curiosità nei primi anni di vita, mentre annaspiamo nella noia una volta seduti sui banchi di scuola. Soltanto errori del sistema? La fragilità delle conoscenze acquisite, la difficoltà ad applicare i concetti in un contesto diverso da quello in cui sono stati acquisiti, l' abisso tra la risposta giusta in un' interrogazione e un' autentica comprensione dell' argomento suggeriscono di affrontare la questione da un' angolazione più nuova: come funziona la mente umana. Il libro di Gardner non è, ovviamente, un manuale di pedagogia. Analizza però il problema dell' apprendimento in maniera davvero interessante e indica qualche strada sperimentale perché l' insegnamento sia un successo per tutti.


Scaffale Nenci Anna Maria: «Il corpo femminile in evoluzione: rappresentazione ed esperienza della menopausa nelle donne di oggi » , Bollati Boringhieri
AUTORE: VERNA MARINA
ARGOMENTI: MEDICINA E FISIOLOGIA, LIBRI
LUOGHI: ITALIA
NOTE: 026

E' una crisi di mezza età che spesso viene vissuta come una morte parziale. Perché la cultura dominante tende a vedere la menopausa solo sotto il segno della perdita, come se la fine della possibilità di procreare coincidesse davvero con la perdita di attrattiva sessuale e il confinamento nella categoria «anziani». Anna Maria Nenci, psicologa all' Università «La Sapienza», nel suo bel libro «Il corpo femminile in evoluzione» ribalta invece i termini della questione: la menopausa è l' inizio di una nuova fase nell' identità femminile e le modificazioni del corpo sono un adattamento fisiologico alle nuove esigenze di vita, non più connesse a un ruolo biologico.


Ferocia costruita I cani più temibili frutto di incroci per accrescerne l' aggressività Che cosa può fare il padrone per controllare gli istinti dell' animale
Autore: ANSALDO LUCA

ARGOMENTI: ZOOLOGIA, ANIMALI, GENETICA
LUOGHI: ITALIA
NOTE: 027

LA selezione operata dall' uomo sul cane con il processo di addomesticamento ha permesso il differenziarsi di numerosissime razze adattabili a vari scopi. Ciò ha determinato una profonda modificazione del comportamento e, a seconda dell' attitudine desiderata, ha prodotto un aumento o una diminuzione dell' aggressività. Con accoppiamenti mirati sono state addirittura create nuove razze per esaltare al massimo alcune peculiarità. E' il caso del Dogo argentino, il più idoneo alla caccia del ferocissimo puma. Il creatore, il dottor Antonio Martinez, medico di Cordova, voleva un cane massiccio e resistente, insensibile al dolore e capace di combattere con animali più grossi di lui fino alla morte. A tale scopo venne in Europa nei primi del Novecento per acquistare i migliori rappresentanti di diverse razze tra cui il Bull terrier, il Pointer, il Mastino spagnolo e il Bulldog; con gli opportuni incroci si è cercato di trasmettere alla generazione attuale le caratteristiche che più lo rendono feroce. Per la spiccata aggressività nei confronti dei suoi simili in Argentina viene fatto combattere in cruenti spettacoli di lotta. I suoi attacchi non sono mai preceduti da segnali di preavviso, come l' abbassamento delle orecchie, il digrignare dei denti e il ringhiare E' uno stratagemma tipico dei predatori che uccidono per procurarsi il cibo. I loro assalti devono essere silenziosi, per disorientare la vittima e batterla sul tempo. Questa aggressività di tipo predatorio ha raggiunto il culmine in un' altra razza progettata per uccidere, il Pit bull terrier. Si tratta di un cane da combattimento, che era utilizzato in Gran Bretagna in spettacoli di lotta legati alle scommesse. Gli ufficiali inglesi della Compagnia delle Indie hanno introdotto in Pakistan numerosi esemplari che vengono ancora oggi impiegati in atroci combattimenti con gli orsi. Questi, legati a una catena e privati di canini e incisivi, possono difendersi ricorrendo solo alla loro forza poderosa. L' aggressività che si è sviluppata nel corso del tempo nel Pit bull lo ha reso responsabile di innumerevoli aggressioni, anche mortali, all' uomo. Studi di neurofisiologia hanno dimostrato come in questa razza siano presenti, a livello cerebrale, da una parte sostanze in grado di scatenare una maggiore eccitabilità, dall' altra un tasso più elevato di endorfine a effetto antidolorifico. Esse consentono di resistere più a lungo al dolore e spiegano i ripetuti attacchi del Pit bull nonostante le ferite. Un anno fa il governo britannico ha imposto la castrazione di tutti i soggetti. Attualmente, per ottenere nelle varie razze soggetti equilibrati dal punto di vista caratteriale, gli allevatori scartano dalla riproduzione i soggetti troppo timorosi o inutilmente feroci e ansiosi. Nelle razze da guardia e da difesa, come il Rottweiler e il Pastore tedesco, è necessario esaltare il senso di difesa del territorio incanalando su questa via le tendenze aggressive del cane. Il senso di territorialità insito in questo animale lo spinge ad aggredire gli estranei come se fossero dei cani estranei che minacciano la propria area. Generalmente un animale territoriale mostra la sua aggressività solo verso individui della stessa specie. Il cane rappresenta invece un esempio quasi unico di aggressività territoriale verso altre specie, tra cui appunto l' uomo. Il Rottweiler dimostra nella difesa del padrone e della proprietà una notevole determinazione. E' un cane di antica origine. Fu introdotto in Germania dalle legioni romane che lo utilizzavano per custodire gli accampamenti e il bestiame. In alcuni Paesi viene impiegato come ausiliare dei corpi di polizia e dell' esercito; non sente l' addestramento come una costrizione, anzi svolge il proprio compito con sorprendente interesse. La tecnica addestrativa, sfruttando le attitudini del cane, trasforma il lavoro in un gioco e in uno sfogo naturale dei propri istinti. Così come nei cani da caccia viene sfruttato il loro senso olfattivo e predatorio, nei cani da guardia e da difesa viene plasmata la loro aggressività e territorialità. I proprietari devono comunque far sentire con decisione la propria supremazia. Di fronte a padroni troppo permissivi e ansiosi molto spesso il cane prende il sopravvento, diventa dominante e può addirittura aggredire i familiari. Nelle situazioni tenute sotto controllo il cane, essendo un animale sociale, considera il suo padrone come il capobranco e come tale lo rispetta e lo difende. In natura le relazioni di dominanza sottomissione fra i componenti di un branco sono sottoposte a continue verifiche in quanto ogni soggetto si sforza di raggiungere la posizione più elevata. Le lotte che ne conseguono possono verificarsi anche nell' ambito domestico. In seguito a una eccessiva insicurezza del proprietario il cane può tentare di assumere una posizione dominante con vere e proprie aggressioni. E' importante dunque che un soggetto sia educato in modo corretto ed equilibrato deviando le sue potenzialità aggressive sui canali del gioco, della caccia e della guardia. L' aggressività in sè è sempre una componente positiva ma deve trovare la giusta valvola di sfogo. Luca Ansaldo


SALUTE Con la menopausa attente al cuore Infarto e ictus legati alla carenza di estrogeni
Autore: DI AICHELBURG ULRICO

ARGOMENTI: MEDICINA E FISIOLOGIA
LUOGHI: ITALIA
NOTE: 027

LA menopausa è un appuntamento con l' età, in media intorno ai cinquant' anni, ma pur essendo un evento fisiologico non è priva di possibili manifestazioni morbose, legate alla carenza degli ormoni estrogeni delle ovaie. Ben note sono le vampate al viso ripetute più volte a brevi intervalli, le profuse sudorazioni notturne, le modificazioni della cute e poi l' instabilità emotiva, l' ansia, l ' insonnia. Ma soprattutto si devono considerare due importanti patologie: l' osteoporosi e gli episodi cardiaci e celebrali (infarto, ictus). L' osteoporosi, riduzione del contenuto di minerali delle ossa, del calcio in primo luogo, non risparmia nessuno col procedere dell' età, ma nella donna il venir meno della funzione ovarica accelera la rarefazione ossea. Quanto agli episodi cardiaci e cerebrali, è noto che gli uomini sono più frequentemente colpiti delle donne nei primi decenni di vita, ma dopo i cinquant' anni il divario tende a scomparire. Anche questo è in rapporto con la menopausa. La carenza degli ormoni estrogeni si accompagna infatti alla tendenza all' ipertensione e all' aumento delle lipoproteine del sangue, in particolare di quelle a bassa densità (Ldl) ricche di colesterolo. L' intero sistema circolatorio, arterie, vene e linfatici, va incontro ad alterazioni avendo molti recettori per gli ormoni ovarici. E' logico quindi pensare a una somministrazione farmacologica di estrogeni, conpensatrice del deficit fisiologico. Attualmente il medico dispone di preparati a base di estrogeni, in genere per bocca, somministrabili per una terapia sostitutiva prolungata. Eventualmente si aggiungono ormoni progestinici, anch' essi di provenienza ovarica. Gli estrogeni hanno effetto sulle ossa tramite la vitamina D e probabilmente la calcitonina (un ormone della tiroide) e anche con un' azione diretta sul tessuto osseo. Sul sistema cardiocircolatorio agiscono riducendo le lipoproteine Ldl, innalzando il livello delle Hdl, ad alta densità, protettrici rispetto al rischio aterosclerotico, e contrastando l' ipertensione Da tempo questa somministrazione ormonica protratta è discussa con alterni orientamenti, favorevoli, dubbiosi, anche riluttanti. Ma ormai prevale l' orientamento favorevole, e ci riferiamo per esempio a due incontri recenti, uno all' Ospedale Sant' Anna di Torino, l' altro a Parigi, organizzato dall' Associazione francese per lo studio della menopausa e dal Gruppo di studi multidisciplinari sulla menopausa. In entrambe le occasioni è stato detto che una terapia ormonica sostitutiva si impone, ma bisogna mantenere un «clima ormonico» con dosi appropriate. L' esperienza ormai vasta assicura certezza di risultati e tranquillità per quanto riguarda eventuali effetti secondari. Al medico naturalmente il compito di selezionare le donne in menopausa alle quali è indicata la terapia ormonica: quelle a rischio, risultanti da un insieme di elementi, in particolare precedenti famigliari, esami quale la densitometria ossea, analisi del sangue e così via. Ulrico di Aichelburg


CONCORSO A vela intorno al mondo Sulla Barca Pulita disponibili 48 posti
Autore: CABIATI IRENE

ARGOMENTI: ECOLOGIA, TRASPORTI, MARE
NOMI: AURIEMMA CARLO, EORDEGH LIZZY
ORGANIZZAZIONI: BARCA PULITA
LUOGHI: ITALIA
TABELLE: D Le tappe del viaggio
NOTE: 028

D ECINE di tartarughe, all' isola di Sulawesi, in Indonesia, venivano a darci il buongiorno, ogni mattina. Ma la magia di quei momenti si è frantumata quando abbiamo scoperto che gli isolani le catturano per venderle: sono destinate all' estinzione. Da questo evento è nata l' idea della "Barca Pulita": un progetto per far conoscere ai giovani le meraviglie del mare, ma anche per far capire che il problema ecologico, strettamente legato alle esigenze dell' uomo, va affrontato in maniera globale, oltre gli interessi dell' individuo o di un singolo Paese». Carlo Auriemma e Lizzy Eordegh, reduci da un giro del mondo compiuto con una vecchia barca a vela, hanno subito ricominciato a pensare ad un altro tour, questa volta non per il piacere di vagabondare per il mare, ma con un progetto più concreto: portare i giovani nei paradisi marini e fare, insieme con alcune associazioni ambientalistiche, monitoraggi ambientali. La "Barca Pulita", attualmente in fase di allestimento, è uno scafo di 15 metri. E' a vela, naturalmente; avrà unicamente un motore ausiliario elettrico per entrare e uscire dai porti. L' energia necessaria per il suo funzionamento e per quello della strumentazione elettronica sarà fornita dal motore stesso che agirà come una dinamo mossa dall' elica quando la barca procede a vela; altra energia sarà fornita da pannelli solari distribuiti sul ponte e sull' albero, prodotti dalla Anit (Ansaldo e Italsolar) e da un generatore eolico. La carena delle barche viene protetta normalmente con vernici dannose all' ambiente: la "Barca Pulita" sarà protetta con uno strato di vernici speciali, non inquinanti. Il viaggio, lungo 60 mila miglia, comincerà in primavera dall' Arcipelago toscano e durerà quattro anni. Ad ogni tappa Lizzy e Carlo ospiteranno per dieci giorni i giovani vincitori del concorso «Vieni anche tu a nuotare fra le foche». Il bando è distribuito dai Provveditorati agli studi nelle scuole medie superiori. Età minima 14 anni. I partecipanti devono inviare una fotografia o una diapositiva sul tema della natura, accompagnata da un breve scritto, uno slogan o una poesia. Saranno premiati due lavori per scuola ma tutti i lavori partecipano all' estrazione dei 48 posti disponibili ogni anno a bordo della "Barca Pulita". Le spese di viaggio saranno coperte da alcuni sponsor e dai sostenitori dell' Associazione Barca Pulita, via Montenero 48, Milano, tel. 02 540. 48. 17. Irene Cabiati


Ecco l' ampere Metrologia: le complesse procedure usate per definire l' unità di intensità della corrente elettrica che porta il nome del celebre scienziato francese
LUOGHI: ITALIA
TABELLE: D
NOTE: 028

L' AMPERE è l' intensità di corrente elettrica che, mantenuta costante in due conduttori rettilinei, paralleli, di lunghezza infinita, di sezione circolare trascurabile e posti alla distanza di un metro l' uno dall' altro nel vuoto, produce tra i due conduttori la forza di 2x10 7 Newton su ogni metro di lunghezza (definizione adottata nel 1948 dalla IX Conferenza Generale dei Pesi e delle Misure). Per l' attuazione dell' ampere non si può ovviamente applicare alla lettera la definizione. Di conseguenza, basandosi sulle leggi dell' elettromagnetismo, si può realizzare una bilancia di corrente, comprendente per esempio due bobine concentriche delle quali una è fissa e l' altra, sospesa ad uno dei due piatti di una bilancia, è mobile. La forza di interazione tra le due bobine viene compensata dalla forza peso esercitata da una massa disposta sull' altro piatto della bilancia e così si confrontano tra loro le due forze. Così si ottiene, nella determinazione dell' ampere, un' incertezza dell' ordine di un milionesimo di ampere. Attualmente il campione nazionale dell' unità di intensità di corrente elettrica è realizzato presso gli istituti metrologici nazionali di diversi Paesi, e in Italia presso l' Istituto Elettrotecnico nazionale «G. Ferraris» (Ien), per una diversa via e cioè per derivazione dai campioni nazionali dell' unità di tensione elettrica (volt) e di resistenza elettrica (ohm). Esso è conservato mediante un gruppo di resistori, che con opportuni generatori di tensione in regime continuo, consentono di realizzare l' ampere, nel caso dell' Ien, con incertezza relativa di più o meno 1, 5x10 6, e cioè un ampere si determina con un' incertezza di 1, 5 milionesimi di ampere. A loro volta i campioni nazionali del volt e dell' ohm sono realizzati rispettivamente mediante l' effetto Josephson e mediante l' effetto Hall quantistico che consentono ottimi valori della riproducibilità e della stabilità. L' impiego di questi due effetti richiede di attribuire valori ben definiti a due costanti (la costante Josephson 2e/h e la costante di von Klitzing h/e2) collegate entrambe alla carica dell' elettrone (e) e alla costante di Planck (h). I valori delle costanti di Josephson e di Von Klitzing sono quelli adottati dalla XIX Conferenza Generale dei Pesi e delle Misure, dal gennaio 1990. Anche di qui si vede la stretta correlazione tra progressi della fisica e della metrologia. L' Istituto Elettrotecnico Nazionale «G. Ferraris» realizza, per derivazione dai campioni che abbiamo descritto, campioni di misura di deboli e forti intensità di corrente e di basse e alte tensioni, in regime continuo e in regime alternato sinusoidale, di basse ed elevate resistenze elettriche, così come di altre grandezze elettriche di maggiore interesse pratico (potenza elettrica, capacità elettrica, induttanza, intensità di campo elettrico, flusso di induzione magnetica, induzione magnetica).


LE DATE DELLA SCIENZA La stella di Barnard si avvicina alla Terra
Autore: GABICI FRANCO

ARGOMENTI: STORIA DELLA SCIENZA, ASTRONOMIA
NOMI: BAY WILLIAMS
LUOGHI: ITALIA
NOTE: 028

SETTANT' ANNI fa, il 6 febbraio 1923, moriva a Williams Bay (Wisconsin, Stati Uniti) l' astronomo Edward Emerson Barnard. Era nato nel 1857; fu un autodidatta. Oltre ad aver dato il nome a diverse comete, Barnard scoprì nel 1892 il quinto satellite di Giove (Amaltea), l' ultimo satellite gioviano ad essere stato individuato visualmente. Fu il primo, inoltre, a redigere un catalogo delle nebulose oscure. Ma Barnard è famoso nella storia dell' astronomia perché scoprì, nel giugno del 1916, una stella da «Guinness dei primati». La «stella di Barnard», come è oggi universalmente conosciuta, è la stella dotata del moto proprio più veloce. Invisibile a occhio nudo, è nella costellazione dell' Ofiuco e si sposta sulla volta celeste di 10", 31 all' anno. Ciò significa che in 180 anni percorre un tratto di cielo pari al diametro della Luna piena. La «stella di Barnard» si sta avvicinando alla velocità di 108 chilometri al secondo e fra circa 10 mila anni disterà da noi soltanto 3, 85 anni luce, meno di Proxima Centauri, che attualmente, distando 4, 28 anni luce, è la stella più vicina Poi si allontanerà nuovamente. Curiosità: Barnard fu anche il primo a osservare i crateri di Marte, ufficialmente riconosciuti solamente nel 1965. Per timore di non essere creduto o, peggio, di esser preso in giro, non rese mai note le sue osservazioni. Franco Gabici


LA PAROLA AI LETTORI Gli Stati sovrani sono diventati 190: parola di geografo
LUOGHI: ITALIA
NOTE: 028

LA questione dell' attuale numero degli Stati indipendenti ha incuriosito moltissimi lettori, che ci hanno mandato la loro opinione. Quasi tutti sostengono che il numero esatto è 190 e anche l' Istituto Geografico De Agostini lo conferma: «Con gli avvenimenti degli ultimi due anni, il numero degli Stati presenti nel vasto spazio eurasiatico è improvvisamente aumentato: dall' Urss si sono staccati i tre Stati baltici (Estonia, Lettonia, Lituania), la Georgia e le undici repubbliche che successivamente hanno dato vita alla Comunità di Stati Indipendenti (Csi); dalla Jugoslavia sono nate la Slovenia, la Croazia, la Macedonia, la Bosnia Erzegovina e la cosiddetta "piccola Jugoslavia" formata da Serbia e Montenegro. Infine anche la Cecoslovacchia si è divisa in due entità, la Repubblica Ceca e la Repubblica Slovacca. Il numero degli Stati indipendenti è dunque salito a 190. «I lettori si chiedono giustamente se gli Stati che hanno aderito alla Csi siano da considerarsi ognuno indipendente oppure se la Csi debba essere intesa come uno Stato alla stregua dell' ex Urss. Per quanto la situazione sia ancora in evoluzione, ci sembra che la molla che ha guidato tutto il processo di separazione delle Repubbliche ex sovietiche da quell' unità statale che era l' Urss sia stato proprio il principio dell' autonomia e dell' indipendenza. A questo proposito va ricordato che il primo passo compiuto da tutte le Repubbliche ex sovietiche, pur in tempi diversi, è stato la solenne proclamazione della propria indipendenza e della propria sovranità Il trattato di Alma Ata, che ha dato vita alla Comunità degli Stati Indipendenti il 21 dicembre 1991, ribadisce con forza i principi di sovranità, autodeterminazione, non interferenza degli Stati aderenti alla Comunità, "che non è uno Stato nè una struttura sovranazionale", ma un accordo di cooperazione, aperto non solo a tutte le Repubbliche ex sovietiche, ma anche ad altri Stati che ne volessero condividere i principi. «Ci sembra quindi non proponibile l' equazione Csi = ex Urss, e più giusto considerare le undici Repubbliche aderenti alla Csi come Stati indipendenti e sovrani. L' appartenenza di questi nuovi Stati al continente europeo o a quello asiatico non può che seguire il limite tra le due aree, posto convenzionalmente lungo la linea degli Urali e del Caucaso. Al di qua le Repubbliche europee (Estonia, Lettonia, Lituania, Bielorussia, Moldavia, Ucraina e parte della Russia); oltre gli Urali, in Siberia e nella Transcaucasia, quelle asiatiche (Armenia, Azerbaigian, Kazakistan, Kirghizistan, Tagikistan, Turkmenistan, Uzbekistan e parte della Russia). E' noto infatti che la Russia si estende per buona parte anche in Asia e che il Kazakistan sconfina con l' estrema porzione occidentale in Europa. Ecco dunque il numero degli Stati indipendenti suddivisi per continente: Europa: 43; Asia: 47; Africa: 52; Nord e Centro America 22; Sudamerica: 13; Oceania: 13». Istituto Geografico De Agostini, Novara Dal porto di Eilat si possono vedere quattro Stati: Israele, Giordania, Egitto, Arabia Saudita. Ci sono altri posti dai quali si possono vedere quattro Stati? Un posto analogo si trova negli Stati Uniti, lungo la Highway 160, all' interno della riserva degli Indiani Navajo, in prossimità della Monument Valley (Utah) e del Mesa Verde National Park (Colorado). Da questo punto si vedono: Colorado, Arizona, Utah e Nuovo Messico. Mauro Moretta Giaveno (TO) Il punto migliore in tutto il mondo da dove si possono vedere quattro Stati è il «Four Corners» (Quattro angoli) negli Usa, dove si incrociano i confini di Utah, Colorado, Nuovo Messico e Arizona. Francesca Mercalli Cerano (No) Nell' Africa meridionale, gli Stati di Zambia e Botswana confinano tra di loro per un tratto di soli due chilometri, lungo il fiume Zambesi. Sulla sponda zambiana, a metà della zona confinaria, è possibile vedere dall' altra parte a Est lo Zimbabwe (ex Rodhesia del Sud) e a Ovest il cosiddetto «Dito di Caprivi» (Caprivi Strip), la cui metà orientale, pur facendo parte della Namibia, è amministrata dalla Repubblica Sudafricana. Domenico Lucci Torino Tre sono i luoghi dai quali si possono vedere quattro Stati: il quadruplice confine tra Namibia, Botswana, Zimbabwe e Zambia presso la cittadina di Kazungula, vicino a Maramba (ex Livingstone); la cittadina di Saddrak nell' Azerbaigian, vicina ai confini di Armenia, Iran e Turchia; il passo di Wakhjir Dawan, fra Cina e Afghanistan, vicino ai confini di Tagikistan e Pakistan. Alberto Pellegrini Vicenza Il Guinness dei Primati cita un punto vicino alle cascate Vittoria, dove si incontrano Namibia, Zambia, Botswana e Zimbabwe. Io aggiungerei anche un punto del Lago Ciad, dove si toccano Ciad, Niger, Nigeria e Camerun. Marco Maffeo Occhieppo Inf. (Biella)


CANI FEROCI Razze maledette? No, padroni aggressivi Ogni anno 4500 persone azzannate
Autore: NEIROTTI MARCO

ARGOMENTI: ZOOLOGIA, ANIMALI, ETOLOGIA
NOMI: MAINARDI DANILO, CELLI GIORGIO
LUOGHI: ITALIA
NOTE: 027

CINQUE milioni e mezzo di cani censiti in Italia: 4500 persone morsicate ogni anno. Sono i risultati di un' indagine diffusa nei giorni scorsi dall' Adoc, l' Associazione per la difesa e l' orientamento dei consumatori. Secondo questo studio, gli animali domestici diventano sempre più spesso nevrotici perché strapazzati dalla violenza urbana e, soprattutto, perché pressati dalle ansie e dai disturbi dei padroni. Quasi sempre si tratta di episodi minimi anche se non mancano casi drammatici: il 1992 si è chiuso con un bilancio meno tragico di altri anni, ma negli ultimi mesi si sono verificati diversi incidenti con protagonisti cani di grossa taglia A Napoli una bimba è stata salvata dai carabinieri che hanno abbattuto a rivoltellate il rottweiler che la stava attaccando. In Gran Bretagna è stato chiesto ufficialmente di eliminare i pitt bull dal territorio nazionale: vietata l' importazione e obbligo di sterilizzare quelli che si possiedono. E proprio verso fine anno, una donna, che ha avuto il figlio ucciso da un cane, ha proposto di dichiarare «animali non domestici» i pitt bull, i rott weiler, i dobermann e i pastori tedeschi. Ma esistono davvero razze «maledette» , davvero ci sono cani che per fattori ereditari sono pericolosi? Sostiene Danilo Mainardi, docente di etologia all' Università di Parma: «Non demonizziamo le razze. Diciamo piuttosto che alcune razze, per le loro caratteristiche, hanno bisogno di padroni molto equilibrati, che li sappiano dominare e insegnino loro fin da piccoli a rispettare l' uomo. E l' uomo dovrebbe saper leggere meglio i comportamenti degli animali». Non c' è dunque pericolosità innata? «Ci sono caratteristiche che derivano dal tipo di selezione che fa l' allevatore: se questa avviene cercando l' aggressività, accoppiando quindi cani particolarmente feroci, il risultato è evidente». Ma cani pericolosi possono nascere anche se non era quello lo scopo. Succede quando, nella selezione, si bada soltanto allo standard fisico, trascurando il carattere. Dice ancora Mainardi: «In quel caso non è la razza ad essere maledetta, ma il tipo di selezione. Si dovrebbero responsabilizzare tutti gli allevatori ad agire in vista di soggetti equilibrati, facendo riprodurre soltanto esemplari con certe caratteristiche comportamentali e, perché no, responsabilizzarli anche nella vendita». Quello che il tribunale per i minorenni fa per l' affido di un bambino? «Qualcosa di simile. Il comportamento dell' animale dipende molto dal padrone». Ecco il punto cruciale. Molti acquistano il cane al posto di una rivoltella. Sostiene Mainardi: «Qualunque cane ha l' istinto a difendere il padrone. Il risultato ovviamente cambia secondo le caratteristiche, la prestanza fisica» Ma chi ha paura, chi vive nell' ansia e nell' insicurezza non si accontenta e sottopone cani già naturalmente dotati ad addestramenti che li sovraccaricano, li rendono feroci. Tutto senza poi essere in grado di controllarne il comportamento. Continua Mainardi: «Teniamo anche presente che questi animali di grosse dimensioni, se non educati bene, con fermezza e dolcezza, possono fare un cattivo uso della loro prestanza anche per gioco. Magari non attaccano con motivazioni omicide, ma trasferiscono sull' uomo, per esempio sui bambini, comportamenti e gesti che, se compiuti verso un loro simile, non hanno alcuna pericolosità ». Dunque, meglio un addestramento al rispetto dell' uomo anziché all' attacco. Aggiunge l' etologo Giorgio Celli (che ha da poco pubblicato, dall' editore Cortina, Etologia della vita quotidiana): «L' aggressività di un animale non è diversa da quella di un uomo: dipende da elementi sociobiologici, c' è una base genetica influenzata dall' ambiente. Ci sono uomini naturalmente più portati all' aggressività di altri: se li indottriniamo alla violenza, sono pronti per uccidere. Se li indirizziamo a un lavoro di giardinieri, magari poteranno un ramo in più, un po' più drasticamente, ma rimarranno in un ambito sociale accettabile. Lo stesso vale per i cani». Conclude Celli: «Ci sono animali più portati alla caccia di altri, alcuni sono più bravi in altri campi. Il terranova, per esempio, serve per salvare gli annegati: ricordo un amico che lo portò in spiaggia e dovette rinunciare a fare il bagno, perché ogni volta che si buttava in acqua, il cane andava a ripescarlo. Non stupiamoci se un cane da guardia difende il territorio più di altri, se uno da difesa è più determinato e minaccioso: non si può mettere la cuffietta al dobermann, lo si deve saper gestire in modo diverso dal pechinese». Marco Neirotti


POLEMICA Perché Freud ideò la psicoanalisi
Autore: GALLINO LUCIANO

ARGOMENTI: PSICOLOGIA
NOMI: FREUD SIGMUND, CALISSANO PIETRO
LUOGHI: ITALIA
NOTE: 027

PROVOCAZIONE per provocazione: fossero vivi oggi, non sarebbe Freud ad essere deliziato dall' articolo di Pietro Calissano su Il cervello dimezzato (vedi «Tuttoscienze» del 3 febbraio, cui è già seguita il 10 febbraio una replica dello psicoanalista Aldo Carotenuto), bensì Michel Foucault. Freud sarebbe semplicemente irritato al veder ignorare ch' egli possedeva un' ottima formazione neurologica; che scrisse molti articoli di psicobiologia; che fece esperimenti farmacologici un secolo fa] proprio su stati mentali, come la depressione, che l' autore vanta come straordinaria novità. E magari rinvierebbe l' autore alla nutrita letteratura che, vedi un po', esamina i fondamenti biologici della psicoanalisi, dalla biografia di F. J. Sulloway su Freud biologo della psiche allo studio su Freud neurologo di Pribram e Gill, noti neuroscienziati. Freud, insomma, non inventò la psicoanalisi perché non sapeva nulla di biologia del cervello, ma perché questa non bastava per spiegare i fenomeni mentali. E anche oggi è difficile pensare che cambierebbe idea. Instancabile scavatore dell' archeologia del sapere, Foucault vedrebbe invece nell' articolo di Pietro Calissano un interessante reperto di paleo teoria della scienza. Nessuno contesta che il riduzionismo sia una strategia cognitiva che ha colto importanti successi in diversi campi del sapere e della pratica (contemporaneamente però ha combinato anche solenni disastri; la questione ambientale è figlia sua). Ma oggi l' approccio riduzionista va considerato non tanto una una garanzia di progresso in assoluto, quanto una strategia tra le altre, utile a certi scopi e del tutto fuorviante quando gli scopi siano diversi. Proprio nel campo degli studi sul cervello, i modelli meglio atti a contribuire a quel dialogo con le scienze umane che lo stesso Calissano auspica sono modelli olistici o sistemici, dal funzionalismo diffuso di Salvador Luria al cervello trino di MacLean, dal «cervello sociale» di Gazzaniga al darwinismo neurale di Edelman; mentre ben poco si può ricavare dalle ricerche intese a «ridurre» il mentale tanto per fare un esempio al funzionamento delle vescicole pre sinaptiche, per quanto esse possano contribuire ad alleviare taluni stati patogeni. Ma ciò che più delizierebbe Foucault al leggere l' articolo di Calissano sarebbe l' idea che i processi mentali si possano complessivamente spiegare meglio via via che crescono le conoscenze biologiche sul cervello, un' idea così arditamente fin de siecle (ma di quell' altro). Che l' amore e l' odio, la depressione e l' euforia, l' angoscia e la speranza abbiano tra i loro supporti anche il cervello, non se ne può dubitare. Ma, per intanto, non solo il cervello. Il corpo intero, la corporeità, svolgono una parte essenziale nel determinare i processi mentali, a cominciare dai processi cognitivi. Ma nemmeno il corpo basta per comprendere la mente, quando sia preso come un sistema isolato. La mente è al tempo stesso un prodotto epigenetico dell' ambiente fisico, sociale e culturale, una forma di rappresentazione interna di esso e una modalità di adattamento al medesimo. Di essa sappiamo ancora poco (anche se assai più di quanto Calissano sembri credere). Affermare che essa sia «riducibile» alle sinapsi è un ostacolo, piuttosto che un aiuto alla sua comprensione. Luciano Gallino Università di Torino




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