TUTTOSCIENZE 3 febbraio 93


MENTE E MATERIA Il cervello dimezzato La psicoanalisi ignora i neurobiologi
Autore: CALISSANO PIETRO

ARGOMENTI: BIOLOGIA, PSICOLOGIA, RICERCA SCIENTIFICA
LUOGHI: ITALIA
NOTE: 017

VORREI avanzare un' ipotesi provocatoria: se Freud oggi fosse vivo e al culmine della sua attività creativa non farebbe lo psichiatra, lo psicologo, nè tantomeno mi si perdoni l' eresia il fondatore della psicoanalisi. Cercherebbe, invece, di poggiare le basi delle sue teorie sulle fondamenta biologiche oggi fornite da altre discipline che studiano il funzionamento del cervello. Chi si occupa di neuroscienze sa che fino ad oggi sono esistite delle Colonne d' Ercole oltre le quali per il neurobiologo non era saggio avventurarsi. Questo confine delimitava in modo netto gli studi sul cervello, di pertinenza appunto di neurologi ed in genere di coloro la cui professione è identificata in base al prefisso neuro, da quelli sulla mente, dominio riconosciuto ed incontrastato di psichiatri, psicologi, psicoanalisti e di tutti gli studiosi la cui professione è identificata con il prefisso psico. La distinzione è nata quando si riteneva che attività cerebrali (il movimento di un arto, la percezione di un suono) fossero di natura completamente differente da processi mentali come la coscienza, la volontà, il pensiero. Sarebbe troppo lungo spiegare perché a giudizio di molti studiosi del sistema nervoso questa distinzione non ha più sostanzialmente ragione d' essere. Sta di fatto che la separazione fra funzioni nervose e attività psichiche è ancora così radicata da costituire un solco spesso invalicabile e da essere talvolta causa di conflitti di competenza quando si tratta di adottare una terapia per un paziente con sintomi al confine fra una disciplina e l' altra. Per esempio, vi sono pazienti affetti da gravi depressioni endogene che passano da una cura «biologica» a base di farmaci antidepressivi ad una terapia esclusivamente basata sul dialogo con un analista. Perché gli studiosi delle attività «psichiche» di solito tendono a negare la possibilità di analizzarne natura, sede e proprietà con un approccio che si usa definire riduzionista cioè impiegando modelli più semplici o studiando una funzione per volta per verificare se i risultati si possono estrapolare a organismi più complessi o a funzioni integrate , approccio mediante il quale si sono ottenute le più grandi conquiste della moderna bio medicina? Per due motivi principali. Il primo è che ancor oggi molti di essi sostengono la unicità della mente umana: coscienza, volontà, pensiero, linguaggio astratto sarebbero prerogativa esclusiva del cervello dell' uomo. Nell' evoluzione dallo scimpanzè all' Homo sapiens sostengono è intervenuto un salto di qualità inaccessibile agli strumenti di indagine e alla metodologia di studio del neurobiologo. Se vogliamo studiarli non possiamo ricorrere, come nel caso di facoltà più «semplici» come l' articolazione di un movimento o l' elaborazione di un impulso luminoso, all' analisi del cervello di un qualsiasi primate. Il secondo motivo è che anche se accettiamo che queste facoltà non sono una prerogativa dell' Homo sapiens, pur tuttavia non possono essere analizzate come spesso si fa nella strategia riduzionista dividendo il problema in tante parti e studiandole una per volta. La mente, secondo questi critici, può essere esaminata soltanto nella sua interezza e possibilmente senza mezzi invasivi. Queste obiezioni sono tuttora comprensibili ma non devono più costituire quelle Colonne d' Ercole al di là delle quali esisterebbe un campo inaccessibile ai procedimenti della chimica, della biologia o di altre scienze sperimentali. Per questo motivo ritengo auspicabile gettare ponti fra queste due correnti di pensiero anche ricorrendo alla «provocazione» di sostenere che oggi il grande genio di Freud sarebbe forse più attratto dal progresso dei neurobiologi che da quello di molti cultori della disciplina da lui fondata. Quest' affermazione è naturalmente di parte e ha principalmente lo scopo di sollevare un dibattito che oggigiorno potrebbe poggiare su basi concrete e non puramente speculative o ideologiche come nei decenni passati. Perciò rivolgo un invito ideale ai discepoli di Freud invitandoli a scorrere l' abbondante e qualificata letteratura su questo problema. Ritengo che condividerebbero almeno nelle sue linee generali la mia affermazione. Suggerirei, come primo approccio, la lettura del numero di novembre 1992 de Le Scienze interamente dedicato al problema mente cervello. Sono stati messi a punto farmaci che tengono sotto controllo le allucinazioni di uno psicotico con un' efficacia che sarebbe irraggingibile con qualsiasi terapia analitica. Insonnie, angosce e altri sintomi «minori» che affliggono praticamente ogni essere umano in determinate fasi della vita possono essere curati permettendo una normale attività di lavoro. Depressioni endogene che spesso conducevano il paziente a concepire il suicidio come l' unica via di uscita dalle sue sofferenze possono essere trattate con farmaci mirati alla causa scatenante dei sintomi, consentendo allo psicoterapeuta un maggiore spazio di manovra per affrontare con più serenità le cause più remote e nascoste della malattia. Si sono individuate strutture nervose come l' ipotalamo che formano il sistema di collegamento una specie di cinghia di trasmissione fra i processi mentali e il complesso sistema umorale (ormoni e neuropeptidi) che attiva o inibisce gli altri organi per sintonizzare la risposta dell' organismo a quegli stimoli «psichici». Se dalle basi biochimiche degli umori e delle passioni il nostro itinerante Freud si soffermasse un poco sulle più recenti conoscenze relative ai meccanismi di elaborazione delle informazioni tramite le quali il nostro cervello rielabora e riorganizza gli input sensoriali e ci fa percepire il mondo esterno rimarrebbe stupito dai progressi compiuti rispetto alle scarse conoscenze di qualche decennio fa. Un incontro con gli studiosi dei processi visivi che oggigiorno sono in grado di dissezionare il complesso fenomeno della visione nelle sue singole componenti neuronali e di identificare e distinguere neuroni che percepiscono (taluni i colori, altri il movimento, altri ancora le forme) da altri devoluti a registrare quelle percezioni (le basi fisiologiche della coscienza? ), per non dire di quelli destinati al riconoscimento di intere forme come il viso di una persona lo lascerebbe stupefatto e pronto a utilizzare certe conoscenze acquisite per incominciare a ricercare le sedi e le basi neurali dei fenomeni inconsci. Quanto lo riempirebbe di intima soddisfazione apprendere, come egli ipotizzava sulla base di una semplice intuizione, che la memoria poggia su concrete basi materiali e si registra nel nostro cervello tramite la partecipazione essenziale di quelle strutture oggi note con il termine di sinapsi. Infine, la possibilità di visualizzare le singole aree cerebrali coinvolte e attivate nel corso di un banale test mnemonico o di un calcolo matematico non lo indurrebbe a qualche tentativo di analisi dei suoi pazienti con queste metodiche, oggi ancora agli albori delle loro potenzialità ? Credo che sarebbe motivo di piacere e di orgoglio per più di un neurobiologo condurre questo geniale «collega» lungo la galleria dei successi dell' attacco biologico ai problemi della mente. Così come sarebbe molto stimolante tentare di applicare queste nuove conoscenze alle sue teorie mediante uno sforzo congiunto tra i neurobiologi e i seguaci delle sue intuizioni. Forse dopo numerosi incontri di questo genere si potrebbe concludere che un po' più di conoscenza del cervello ha permesso di ridurre il «tasso» di inconscio che di solito si attribuisce a ogni individuo. Pietro Calissano Istituto di Neurobiologia del Cnr Roma


RICERCHE SUL CLIMA GLOBALE L' Adriatico diventa un laboratorio Mare e aria, due misteri sotto apparenze banali
Autore: ANGELA PIERO

ARGOMENTI: ECOLOGIA, MARE, RICERCA SCIENTIFICA
NOMI: ROBERTI LAURA, ZAVATARELLI MARCO, DI GIROLAMO PAOLO, GRECO SUSANNA
LUOGHI: ITALIA
NOTE: 017

PIU' si allargano gli orizzonti della conoscenza, più ci rendiamo conto della nostra ignoranza. Paradossalmente, questo è vero anche per cose in apparenza molto semplici, come l' acqua e l' aria. La biosfera in cui viviamo è costituita in gran parte, appunto, da aria e acqua, cioè da atmosfera e da oceani: eppure sappiamo ancora molto poco della loro dinamica. Ogni giorno immettiamo nella biosfera quantità immense di sostanze chimiche e di gas, ma non sappiamo bene quali effetti provocheranno a medio lungo termine sul clima della Terra. Si è parlato molto in questi ultimi tempi di buco dell' ozono, di effetto serra, di possibile innalzamento delle acque degli oceani, di aumento della temperatura media, di cambiamenti climatici globali (che colpirebbero soprattutto le zone temperate in cui viviamo). Proprio a Torino, nel 1989 e nel 1991, si sono tenute due Conferenze mondiali, la prima sull' atmosfera, la seconda sugli oceani, destinate a fare il punto su questi problemi. In quell' occasione ci si è resi conto da un lato dei rischi che corrono i nostri ecosistemi, dall' altro della difficoltà di elaborare previsioni attendibili. Come dire: la posta in gioco è molto alta, ma mancano le conoscenze per quantificare i rischi, e quindi per decidere sui tempi di intervento e sugli investimenti da realizzare. La Fondazione Sanpaolo, che aveva organizzato quelle Conferenze patrocinando anche due programmi televisivi sull' argomento (da me condotti dal Palazzetto dello Sport), sta ora sostenendo una nuova iniziativa, destinata ad aiutare lo sviluppo della ricerca italiana nel campo del «clima globale». Cinque ricercatori (2 senior e 3 neolaureati) selezionati in base all' eccellenza del loro curriculum, studieranno per tre anni, in Italia e in prestigiosi laboratori internazionali, una serie di aspetti legati ai possibili cambiamenti climatici sulla Terra. I temi delle ricerche mostrano quanto variegati e complessi siano i problemi da affrontare. Per esempio Annarita Mariotti, di Roma, lavorerà nel campo dei modelli matematici relativi alla variabilità meteo climatologica e alla circolazione su larga scala. Qui esistono infatti molte incertezze: si conoscono (grosso modo) le regole del gioco e i fattori che interagiscono tra loro, ma fare previsioni è difficile (così come è difficile prevedere che tempo farà tra qualche settimana, o anche tra qualche giorno, pur conoscendo i giochi di temperatura, umidità, pressione... ). Laura Roberti del Politecnico di Torino, lavorerà invece sui modelli relativi alle precipitazioni. I dati sono insufficienti, in particolare riguardo alle precipitazioni sugli oceani ma ora si stanno sviluppando tecniche raffinate per le osservazioni da satellite (struttura delle nuvole, rilevamenti di microonde riflesse dalle gocce di pioggia e dalle particelle di ghiaccio). Questa ricerca avverrà con la collaborazione della Nasa. Susanna Greco, dell' Università di Roma, cercherà di capire come reagiscono i vegetali ai cambiamenti climatici. Uno dei punti cruciali è infatti quello di capire a fondo il ciclo geobiochimico del carbonio, che è fondamentale per la biosfera. Vari tentativi di studio sono in corso, per esempio isolando pezzetti di prato e modificando localmente il clima, oppure costruendo (come sta facendo l' Università della Tuscia) tralicci alti fino a 30 metri per analizzare i flusssi gassosi sulla chioma degli alberi. E' una ricerca che si varrà della collaborazione della Noaa (National Oceanic and Atmospheric Administration). Marco Zavatarelli elaborerà invece un modello ecologico marino, studiando le conseguenze delle variazioni di temperatura nell' atmosfera. Il Mediterraneo costituisce un ottimo «caso di studio», e in particolare l' Adriatico dove i venti freddi (come la bora) favoriscono l' evaporazione e aumentano la densità dell' acqua, che, diventando più «pesante», scende sui fondali seguendo lunghi itinerari e influenzando i processi biologici di superficie (plancton e catena alimentare). Questo ecosistema relativamente chiuso consente di capire meglio come le eventuali variazioni agiscano sulla dinamica atmosfera oceano (più difficile da valutare negli oceani aperti, a causa di altri fattori che possono interferire). Polo Di Girolamo, infine, che ha compiuto varie spedizioni in Groenlandia e in Antartide, studia l' effetto dell' immissione di clorofluorocarburi e di altre sostanze nell' atmosfera, per quanto riguarda il famoso «buco» dell' ozono ai poli Piero Angela


A TORINO Si fa il punto sullo stato del pianeta
NOMI: COLOMBO UMBERTO
ORGANIZZAZIONI: ENEA
LUOGHI: ITALIA, TORINO
NOTE: 017

CHI vuole aggiornarsi sullo stato di salute del pianeta Terra ha domani due buone occasioni. Al Politecnico di Torino, ore 16, 30, presentati dal presidente dell' Enea Umberto Colombo, i cinque scienziati che hanno potuto sviluppare i loro progetti di ricerca grazie alle borse della Fondazione San Paolo (vedi l' articolo qui accanto) riferiranno i primi risultati dei loro studi sull' atmosfera e sul clima. Alle 21, al Centro Congressi di via Nino Costa 8, con il coordinamento di Piero Angela, gli stessi ricercatori ripeteranno le loro relazioni ma in modo più divulgativo. L' ingresso è libero.


ARRIVA IL MINIDISC Hi Fi, la rivoluzione infinita Ibrido di tecnologia ottica e magnetica, può essere reinciso Diametro di 6, 4 centimetri, in gara con le cassette digitali
Autore: BIANUCCI PIERO

ARGOMENTI: ACUSTICA, TECNOLOGIA
ORGANIZZAZIONI: SONY
LUOGHI: ITALIA
NOTE: 018. Mini disc

DIECI anni fa Philips e Sony lanciavano il Cd (compact disc) e avviavano al tramonto il glorioso 33 giri di vinile. Da alleati, i due pionieri dell' alta fedeltà oggi sono diventati nemici. Mentre Philips propone la Dcc, cassetta digitale con lo stesso formato di quelle analogiche nate negli Anni 60, Sony immette sul mercato il Mini Disc, un dischetto di soli 6, 4 centimetri di diametro che può essere reinciso quante volte si vuole e contenere 74 minuti di registrazione ad un livello qualitativo dice Sony molto vicino a quello del Cd. Contemporaneamente Sony annuncia un ulteriore miglioramento della qualità dei Cd grazie a una codifica a 20 bit compatibile con gli apparecchi attuali. Nastro contro minidisco, dunque, come «Tuttoscienze» aveva già annunciato qualche mese fa. Non ci è ancora stato possibile ascoltare nè la Dcc nè il Mini Disc, per cui rinunciamo a un confronto sulla qualità della riproduzione sonora. Ci limiteremo a dire che entrambe le tecnologie per stipare le informazioni in poco spazio hanno dovuto fare ricorso a sistemi di compressione del segnale eliminando tutte quelle frequenze che a quanto si dice non hanno rilievo per la qualità dell' ascolto. Passando agli altri aspetti, il punto forte della Dcc (Digital compact cassette) sta nell' aver mantenuto il formato già in uso, cosa che non è avvenuta con la Dat (Digital Audio Tape), la cassetta digitale lanciata dalla Sony un paio di anni fa senza troppo successo per quel che riguarda il mercato europeo e americano. I vantaggi però si fermano qui. Il Mini Disc in più consente l' accesso immediato al brano che si vuole ascoltare. Inoltre è già disponibile un apparecchio tascabile con cui è possibile, per esempio, registrare un concerto dal vivo, mentre Philips per ora distribuisce soltanto apparecchi da tavolo. Un limite del Mini Disc è semmai nei prezzi: il dischetto costa ben 19 mila lire, più della già cara cassetta digitale; il lettore registratore è in vendita a un milione e 150 mila lire, il riproduttore a 850 mila e il modello da auto (lettore e sintonizzatore) a un milione e 650 mila. Trenta costruttori hanno aderito al nuovo standard Sony, 17 case discografiche produrranno titoli in Mini Disc e 14 aziende fabbricheranno dischetti vergini. Il problema capitale, quello delle copie pirata da Cd, è stato risolto con un sistema che permette di fare una sola copia, tutelando in questo modo gli interessi dell' industria discografica Il Mini Disc è un interessante ibrido tra tecnologia ottica e tecnologia magnetica. La registrazione delle informazioni avviene tramite un microscopico pick up e una testina che orienta le particelle magnetiche presenti sulla superficie del disco in modo che a un orientamento corrisponda lo 0 e all' altro orientamento l' 1. Del suono da registrare viene prelevato un campione ogni 0, 02 millesimi di secondo ma con un sistema di riduzione della ridondanza che permette di registrare appena un quinto delle informazioni solitamente incluse in un Cd senza per questo peggiorare in modo sensibile la qualità sonora. Poiché l' uso preferenziale del Mini Disc è in apparecchi portatili, durante la lettura viene messa in memoria una grossa quantità di dati anticipati in modo che, nel caso di un urto che fa saltare la traccia, la «logica» del sistema di lettura possa ricostruire in tempo utile il segnale corretto. Per concludere, una osservazione di carattere più generale. Siamo tutti pronti a dare il benvenuto al Mini Disc come l' abbiamo dato alla Dcc, e prima ancora alla Dat, al Cd, al 33 giri, su su fino all' archeologico 78. Ma preferiremmo uno standard unico e più duraturo. Le ragioni del consumismo sono comprensibili e fin troppo trasparenti. Si può forse anche individuare un campo specifico in cui è meglio la Dcc e un altro campo in cui è meglio il Mini Disc Ma alla lunga la babele degli standard e le «rivoluzioni» a ritmo annuale creano confusione e, anziché stimolare il mercato, finiscono con il paralizzarlo. Piero Bianucci


CHIMICA Un sacchetto di calore Ecco come funziona lo scaldamani
Autore: FOCHI GIANNI

ARGOMENTI: CHIMICA
LUOGHI: ITALIA
TABELLE: D. Schema di funzionamento
NOTE: 018

SEMBRA un gioco di prestigio. Un sacchetto di plastica trasparente, di forma schiacciata come una bustina, è pieno d' un liquido incolore come l' acqua; un disco piccolo e sottile d' acciaio inossidabile fluttua nel liquido se il sacchetto viene mosso. Attraverso la plastica afferrate il dischetto fra le dita e piegatelo: a partire da quello, il liquido si trasformerà rapidamente in un solido biancastro. Comincerà subito anche uno sviluppo di calore, che durerà circa mezz' ora senza che nessun combustibile bruci e senza impiego di corrente elettrica. La temperatura sarà intorno ai 55 C. Questo genere di sacchetti ha varie applicazioni. In Francia la Gibaud li produce per inserirli nelle sue fasce elastiche antireumatiche Gib' s Hot, presenti anche nelle farmacie italiane. Negli Stati Uniti essi si sono diffusi col marchio Heat Wave (onda di calore), e vengono venduti come borse d ' acqua calda portatili, sempre pronte per chi si trova al freddo lontano da casa: l' escursionista, lo sciatore, il sub. Qui da noi vengono distribuiti dall' Oceanic, e si possono trovare nei negozi di attrezzature per gli sport subacquei. Detto questo per chi non li conosceva, aggiungerò che sono fabbricati con materiali innocui Cercherò inoltre di spiegare come funzionano. Contengono per quasi il 60% un sale dell' acido acetico, l' acetato di sodio; il resto è acqua. Contrariamente a quanto si potrebbe pensare vedendola liquida all' atto dell' acquisto, a temperatura ambiente questa miscela è stabile sotto forma d' un solido, nella cui struttura s' alternano regolarmente ioni sodio, ioni acetato e molecole d' acqua (acqua di cristallizzazione): la formula chimica è CH3COONa 3H2O, e il nome è acetato di sodio tri idrato. Per riscaldamento la solubilità di questo sale aumenta (vedi figura, curva A), ma l' acqua presente in eccesso rispetto a quella impegnata nei cristalli è pochissima; la parte di solido che vi si scioglie rimane dunque trascurabile. Senonché a 58 C il sale tri idrato fonde, e quindi la sua struttura cristallina viene distrutta L' acqua che prima era bloccata si libera e può svolgere la funzione di solvente. La solubilità da considerare è ora quella dell' acetato di sodio anidro (che cioè, come solido, non contiene acqua). Nella figura essa è indicata dalla curva B; al punto T avviene la transizione fra la curva precedente (A) e quella nuova (B); di fatto, il sale tr idrato cessa d' esistere e si trasforma in quello anidro. Anche se è molta l' acqua diventata improvvisamente disponibile, non è ancora sufficiente a sciogliere tutto il sale; il liquido formatosi al punto T sarà quindi torbido fino a temperatura poco inferiore a 80 C, a cui corrisponde una solubilità uguale alla dose d' acetato di sodio contenuto nel sale tri idrato (punto L). In poche parole, a quella temperatura l' acqua proveniente dai cristalli originari basta a sciogliere tutto il sale. Durante il raffreddamento, il contenuto del sacchetto dovrebbe ripercorrere a ritroso le tappe fin qui descritte, restituendo via via il calore ricevuto, che gli ha permesso d' aumentare la sua temperatura e di fondere. Invece, senza un innesco i cristalli non si formano. Il liquido rimane, come si dice, sovraraffreddato, cioè si trova nella situazione instabile d' essere, appunto, liquido al di sotto della sua temperatura di congelamento (come si sa, per una determinata sostanza punto di congelamento e punto di fusione coincidono; dunque in questo caso si tratta dei 58 C visti sopra). Ecco dunque il sacchetto pronto all ' uso per cui è stato ideato. Il piegarsi del dischetto d' acciaio aiuta la formazione d' alcuni microscopici cristalli di solido; questi agiscono da nuclei d' accrescimento, e così la cristallizzazione si propaga velocemente per l' intera massa, liberando il calore immagazzinato durante la fusione. Il mistero è ormai svelato. Con tutto quello che ho detto, dovrebbe essere chiaro anche che il sacchetto, una volta usato, non è da buttar via: bastano infatti pochi minuti in acqua bollente, e il suo contenuto è di nuovo liquido, pronto ad aspettare che ne inneschiate un' altra volta la solidificazione per scaldare le vostre mani, gl' indumenti, la muta da sub o il sacco a pelo. Gianni Fochi Scuola Normale di Pisa


ITALIA AL PALO Per l' università l' Europa è lontana
Autore: MARCHISIO PIER CARLO

ARGOMENTI: DIDATTICA, UNIVERSITA', CULTURA, SCIENZA
LUOGHI: ITALIA
NOTE: 018

PUR con residui problemi, grandi e piccoli, il 1993 ha segnato l' inizio di una nuova fase della cooperazione europea. Se, da un lato è ora possibile comperare una Ferrari con un sensibile risparmio sull' Iva, è pur vero che un professore universitario tedesco o francese può aspirare a una cattedra in Italia e viceversa. Lo stesso vale per gli studenti che, in base a regole stabilite a Maastricht, possono iscriversi liberamente in qualsiasi università europea e pagarne le tasse, esattamente come quelli locali. In altre parole la mobilità del lavoro si applica anche al mondo accademico Avverrà sul serio questo auspicabile rimescolamento di cultura? Ne dubito molto, almeno finché non si raggiungano, di comune accordo, regole precise di qualità didattica e scientifica e non si parifichi in qualche modo il trattamento salariale di docenti e studenti nei Paesi membri. Come si può pensare che un professore olandese desideri venire in Italia a guadagnare poco più di un terzo di quanto guadagna in patria? Qualche compensazione gli potrebbe venire dal clima migliore e dall' amore per il nostro Paese, ambitissimo da un archeologo o da un latinista; certo non da uno scienziato nelle attuali condizioni in cui versa la nostra organizzazione scientifica. Il contrario, cioè la migrazione di un professore italiano, ad esempio in Germania, potrebbe interessare solo una minuscola frazione del nostro disastrato corpo accademico, mal selezionato e spesso provincialmente digiuno di lingue straniere. Quando ciò avverrà, come è già avvenuto in passato (una sensibile frazione dei professori universitari svizzeri sono italiani di nascita e di formazione), è certo che perderemo la quota migliore dei nostri cervelli. Si pensi ora agli studenti. Possiamo seriamente concepire che il nostro sistema didattico sia attraente per uno studente danese e non solo per un greco che già ora sfugge le condizioni poco gradevoli del suo sistema accademico? Un po' di mobilità studentesca esiste già con il progetto Erasmus ma è solo un esperimento su scala molto limitata. Dobbiamo sbrigarci a garantire con nuove strutture e nuove risorse il diritto allo studio non per tutti ma per tutti gli studenti che lo meritano Quali rimedi? Ai governi europei e al parlamento di Bruxelles spetta il compito di far proposte concrete su questo problema non marginale ma che va in secondo piano finché dura l' attuale emergenza economica e monetaria. Un' ipotesi praticabile potrebbe essere quella di istituire alcuni centri di eccellenza didattica e scientifica per cominciare a organizzare ex novo l' insegnamento universitario europeo, facoltà per facoltà. Ciò per creare i futuri quadri di una realtà universitaria nuova e cosmopolita tesa a superare la barriera linguistica e aperta anche ai Paesi dell' Est che riconoscono le stesse radici culturali del resto d' Europa. I potenziali effetti di un' iniziativa di questo tipo si sentiranno di qui a trent' anni e forse i nostri figli e i nostri nipoti ne beneficeranno. Quale rischio presenta quest' ipotesi? Quello di emarginare le università tradizionali dei singoli Paesi, soprattutto di quelli accademicamente più deboli e disorganizzati come il nostro, per il quale si impone un drastico rinnovamento didattico e scientifico. Il rischio è che nelle future università europee e nei loro corsi di perfezionamento post laurea entrino in gran prevalenza studenti di altri Paesi escludendo l' Italia dai quadri della dirigenza europea per il nostro secolo. Un appello quindi a non perdere tempo. Dobbiamo riformare rapidamente il nostro sistema universitario senza farci sopraffare da avvenimenti che rischiano di impoverire il bagaglio culturale che, nonostante tutto ci portiamo appresso. Non dimentichiamo che circa mille anni fa un drappello di chierici e studenti italiani, partiti da Bologna, diffusero in Europa il concetto stesso di università, contribuirono a rischiarare le tenebre del Medioevo e a spargere sapienza e cultura. Lasciamo che coloro che ancora oggi vogliono farlo non siano soffocati da un sistema accademico sclerotico e corrotto. Pier Carlo Marchisio Università di Torino


Scaffale Lattes Coifmann Isabella, «Le libellule hanno anche un cuore», Rizzoli
AUTORE: VERNA MARINA
ARGOMENTI: ETOLOGIA, ANIMALI, LIBRI
LUOGHI: ITALIA
NOTE: 018

C I sono quelli autorizzati a farlo e quelli che possono soltanto guardare da lontano. Chi se la sbriga in un attimo e chi se la prende comoda. Chi lo fa alla luce del sole e chi si nasconde. La riproduzione, fine ultimo della vita biologica, assume nel mondo animale una tale varietà di procedure da far impallidire il repertorio umano. Isabella Lattes Coifmann, ancora più spassosa del solito, ne ha fatto una grande collezione per la gioia di chi leggerà «Le libellule hanno anche un cuore». La forza del suo stile è la continua analogia con i comportamenti umani. E dunque si parla di scappatelle e amori di gruppo, fidanzamenti e divorzi, dichiarazioni d' amore e pagamento di alimenti. Nemmeno fra gli animali sono di moda i matrimoni d' amore. Vanno di più quelli di interesse. D' altro canto la femmina deve pensare ai figli da crescere, non può perdersi dietro bindelli di belle apparenze ma poca sostanza. Quasi sempre interessate, dunque, le carinerie. Che durano soltanto lo spazio dell' estro. Quando passa, più nessuno bada all' altro: il fascino irresistibile si è rapidamente dileguato. Tra le arti seduttive, gli animali prediligono quelle chimiche, che presentano il vantaggio di funzionare anche in assenza dell' interessato. Basta diffondere il proprio odore e chi è vuole trova la strada da solo. Ognuno nasconde strategicamente le sue ghiandole odorose. I topi d' acqua le hanno sui fianchi, i maiali sulle ginocchia, le volpi in cima alla coda, il gatto sulle guance. Una riserva di afrodisiaci che funzionano da millenni e alla quale l' uomo attinge copiosamente.


Scaffale P. Y. B. Slater: «Introduzione all' etologia», Liguori
AUTORE: VERNA MARINA
ARGOMENTI: ETOLOGIA, ANIMALI, LIBRI
LUOGHI: ITALIA
NOTE: 018

Anche la storia dell' etologia ha le sue star: gli spinarelli di Tinbergen, ad esempio, le oche di Lorenz, le api di Von Frisch. Ognuna di queste specie ha dato luogo a una teoria, chiara e semplice, diventata un classico della storia dell' etologia. Sono eccezioni: ben pochi dei concetti sviluppati dagli etologi prima degli Anni 50 sono oggi ancora utili a chi si accosta allo studio del comportamento animale. Le idee cambiano rapidamente e quelle relative all' etologia non fanno eccezione. Agli studenti che oggi si avviano su questa strada, l' inglese P. Y. B. Slater propone la sua «Introduzione all' etologia»:: una rassegna delle teorie e dei personaggi che non si possono ignorare e delle ipotesi su cui poggiano i lavori più recenti.


Scaffale Bechtel William: «Filosofia della mente», 290 pagine; Sanford Anthony: «La mente dell' uomo»
AUTORE: VERNA MARINA
ARGOMENTI: PSICOLOGIA, LIBRI
LUOGHI: ITALIA
NOTE: 018

All' inizio, soltanto i filosofi si ponevano domande sulla mente: che cos' è ? In che rapporti sta con il corpo? Come fa a conoscere il mondo fisico? Poi non sono stati più soli. Studiosi delle discipline più nuove e disparate scienze e neuroscienze cognitive, psicologia, linguistica, antropologia, intelligenza artificiale hanno cominciato ad affollare il campo affrontando la questione da angolature diverse. Con un guazzabuglio di metodi e di ipotesi di lavoro che rendono il dialogo spesso impossibile. La psicologia sperimentale, ad esempio, credeva ciecamente nell' introspezione: si pensava che, osservando la propria mente, fosse possibile scoprire in che modo si svolgono le attività cognitive. L' introspezione, efficace in alcuni ambiti, si è però rivelata inadeguata in altri, come la comprensione dei processi mentali in genere. Che dire poi dell' intuizione? Dà l' illusione di capire senza bisogno di pensare troppo ed effettivamente a volte si azzecca. Dietro l' angolo, però, c' è sempre la possibilità di un errore di valutazione. Perché la mente umana è fallibile, anche se ci piacerebbe pensare il contrario. A questi temi la casa editrice «Il Mulino» dedica una serie di volumi, alimentando una delle discussioni scientifiche più vivaci degli ultimi anni. Fra i più accessibili, segnaliamo «Filosofia della mente» di William Bechtel e «La mente dell' uomo» di Anthony J. Sanford. Marina Verna


VERMI PARASSITI Congiunti per la vita Le coppie dimezzano gli organi
Autore: LATTES COIFMANN ISABELLA

ARGOMENTI: ZOOLOGIA, ANIMALI
LUOGHI: ITALIA
NOTE: 019

CI sono aspetti paradossali del mondo animale, noti soltanto a una ristretta schiera di specialisti, che proprio per la loro eccezionalità meriterebbero di essere più largamente conosciuti. Qualcosa di simile al fenomeno dei «fratelli siamesi», che nella specie umana rappresenta un rarissimo evento, costituisce invece la regola per un essere vivente di proporzioni minuscole (è lungo appena un centimetro) che vive da parassita a spese di alcuni pesci d' acqua dolce, soprattutto carpe. Per farne la conoscenza diretta dobbiamo penetrare nel microscosmo ancora in gran parte oscuro e misterioso dei vermi parassiti, creature con un habitat circoscritto e ben determinato negli organi o nelle cavità naturali dei loro ospiti: intestino, fegato, cuore, polmoni, branchie, reni, vescica natatoria. In condizioni normali, un parassita non minaccia la vita del proprio ospite. Sarebbe contrario ai suoi interessi. La morte dell' ospite equivale per lui a un suicidio. Solo se l' ospite perde, per altre cause, parte della sua resistenza naturale cosa che spesso avviene negli animali in cattività il suo organismo finisce per essere vittima delle tossine prodotte dal parassita. Ma veniamo al nostro singolare personaggio che fa parte di quella categoria di vermi piatti che vanno sotto il nome di Platelminti. E' la stessa cui appartiene la ben nota Taenia solium, meglio conosciuta come «verme solitario», causa di non pochi molesti disturbi. Il verme di cui ci occupiamo oggi si chiama in maniera piuttosto eloquente «Diplozoon paradoxum», che sarebbe come dire «il paradossale animale doppio». Ed è infatti quasi un fenomeno da baraccone, esempio unico nel mondo animale di una perfetta duplicità organica che costituisce in questa specie non l' eccezione, ma la norma. Nasce il Diplozoon paradoxum da uova semplici, la cui unica particolarità è quella di possedere un piccolo filamento arrotolato. Da queste uova fuoriesce una minuscola larva ciliata, a cui le ciglia fanno da remi per nuotare, così come accade a una numerosissima schiera di invertebrati. La larvetta è già predisposta alla vita parassitaria. Ce lo rivela la presenza di una ventosa che le servirà per ancorarsi saldamente all' ospite. Infatti di lì a poco adocchia un pesce e vi si attacca. Il bello è che la larvetta «sa» esattamente a quale specie si deve agganciare. E' sempre un pesce della famiglia dei Ciprinidi. Ma l' istinto che la guida le insegna anche dove fissarsi con la sua ventosa. Non a caso su una parte qualunque del corpo, bensì sulle branchie, su quelle rosse frange irrorate di sangue, che la nutriranno favorendone l' ulteriore sviluppo. Così, succhiando il sangue del ciprinide, la larva cresce e subisce la prima metamorfosi che la trasforma in una strana creatura caratterizzata da una ventosa ventrale e da una sorta di gobba dorsale. A questo stadio, che si chiama scientificamente «diporpa», la larva è prossima a diventare sessualmente matura. Il suo sviluppo allora si arresta in attesa degli eventi. Ed ecco che casualmente due individui della stessa specie si incontrano, cosa che succede abbastanza di frequente. I due non perdono tempo. Immediatamente raggiungono la maturità sessuale, aderiscono l' uno all' altro con le rispettive ventose, si accoppiano e si saldano a croce, formando una sorta di X. Da quel momento rimangono indissolubilmente legati per il resto della vita. Così stando le cose, parlare di fratelli siamesi non ha senso. Più giusto è parlare di coniugi, per quanto anche questa parola potrebbe dar adito a equivoci. I due individui che si uniscono nel duraturo legame a X non sono propriamente un maschio e una femmina, come si potrebbe credere. Sono entrambi ermafroditi. Ciascuno di loro, cioè, contiene organi genitali maschili e organi genitali femminili. Succede allora che, una volta agganciati, i due individui per prima cosa fondono i loro intestini, in modo che l' uno possa approfittare dell' alimento ingerito dall' altro: è inutile lavorare in due quando basta che lavori uno solo. Alla fusione degli intestini segue quella dei condotti sessuali. Di conseguenza si ha una fecondazione incrociata permanente. Gli spermatozoi dell' uno fecondano le uova dell' altro vita natural durante. Gli individui giovani che non hanno la fortuna di incontrare un compagno non maturano sessualmente e muoiono senza lasciare discendenti. In fatto di stranezze, fa concorrenza al Diplozoon paradoxum un suo collega platelminto ancora più piccino, il Gyrodactylus. Misura meno di un millimetro. Anche lui è un parassita delle carpe e ha una spiccata predilezione per le branchie del pesce, dove si insedia. Il bello viene al momento della riproduzione. Perché allora ci troviamo di fronte a qualcosa di simile alle bambole russe, le famose «matrioske». I figliolini nascono vivi, ma sono inscatolati l' uno dentro l' altro già nel corpo materno, per cui ne nasce uno alla volta. Il primo neonato si insedia sulle branchie e sforna un secondo Gyrodactylus. Questo fa altrettanto e ne sforna un terzo, il quale a sua volta ne partorisce un quarto. In realtà si tratta di quattro embrioni che provengono da un unico uovo e quindi sono fratelli, ma si ha l' impressione che si succedano l' una dopo l' altra quattro generazioni in tempi assai brevi. E' il fenomeno della poliembrionia, molto in voga tra i parassiti perché consente loro una rapidissima moltiplicazione e diffusione, a scapito del povero pesce che ne è vittima. Un fenomeno che si ritrova anche tra i mammiferi. Ne è un esempio l' armadillo, il famoso mammifero corazzato sudamericano che però partorisce quattro figli gemelli tutti assieme e non scaglionati nel tempo. Isabella Lattes Coifmann


SCOPERTO IN VENEZUELA Un nuovo genere di insetti a migliaia di chilometri dai loro parenti più prossimi
Autore: VIZIOLI GIORGIO

ARGOMENTI: ZOOLOGIA, ANIMALI
NOMI: TREZZI GIULIANO
LUOGHI: ITALIA
NOTE: 019

DAL punto di vista entomologico è una scoperta di grande rilievo: un nuovo genere di insetti, ritrovati in una zona lontana migliaia di chilometri da dove vivono quelli che sembrano essere i loro parenti più prossimi. Questi insetti non hanno ancora nome, la loro presentazione ufficiale al mondo scientifico non avverrà prima della fine di febbraio. La scoperta è opera di un biospeleologo italiano, Giuliano Trezzi, ed è avvenuta poche settimane orsono in Venezuela. «La zona in cui ho catturato e identificato gli insetti spiega Trezzi è praticamente inesplorata, dal punto di vista scientifico; si tratta dell' Auyan Tepuy, un altopiano di rocce cristalline che si erge con le sue pareti rosate tra il verde intenso della foresta amazzonica. E' raggiungibile soltanto con l' elicottero, dopo un lungo tragitto in canoa. Ha una vegetazione bassa ma molto fitta (ogni giorno piove per circa sei ore) e un' infinità di crepacci dove non penetra la luce, detti sime, profondi fino a trecento metri e collegati a lunghissime e articolate gallerie». In uno di questi crepacci, parte di un complesso di fessure e gallerie che, con i suoi duemila metri, è risultato essere il secondo più lungo del mondo (il più esteso si trova in Sudafrica), Trezzi, dopo quasi due settimane di appostamento, ha trovato i due esemplari del nuovo insetto. «Se in superficie è più efficace muoversi, come si dice, a caccia libera spiega ancora Trezzi ossia cercando gli insetti negli anfratti, sotto i sassi, nei tronchi, tra le radici, le foglie e i petali dei fiori, nelle sime è invece indispensabile l' utilizzazione di esche. Gli insetti sui quali si svolgono le nostre indagini, inoltre, sono carnivori; è quindi necessario preparare esche particolari, che attirino non solo loro stessi ma le loro prede». Trezzi aveva sistemato in vari punti della grotta diciotto esche e solo l' ultimo giorno di spedizione ha trovato, nei bicchieri a caduta in cui si trovava l' esca, i due esemplari. «A prima vista i due insetti sembravano appartenere alla tribù dei trechini, che appartiene alla famiglia dei carabidi, dell' ordine dei coleotteri. Si tratta di insetti ipogei ultraevoluti, in quanto per vivere nei meandri della terra assumono una conformazione estremamente allungata nel corpo e sviluppano considerevolmente antenne e peluria per aumentare la propria sensibilità e la capacità di muoversi al buio. Per lo stesso motivo, però, perdono l' uso degli occhi e, parzialmente, la pigmentazione, assumendo un tenue colore ambrato». Se si poteva già considerare impossibile che due trechini ipogei si trovassero nel Venezuela meridionale (in passato sono stati visti solo in Messico), è risultata ancora più singolare la scoperta che gli insetti in questione, sottoposti a un' analisi più approfondita, risultassero invece più stretti parenti del gruppo degli agonini, sempre appartenenti alla famiglia dei carabidi, che vivono in prossimità della costa venezuelana sul Mar dei Caraibi, oltre duemila chilometri più a Nord. Si tratta di insetti che si assomigliano tra loro per convergenza adattativa: la vita sotterranea ha fatto assumere ai loro corpi configurazioni simili, anche se si tratta di ordini diversi. Trezzi sta quindi lavorando, assieme a Riccardo Monguzzi, collaboratore del Museo Civico di Scienze Naturali di Milano, alla classificazione dei nuovi insetti, definendone le caratteristiche e gli aspetti evolutivi di collegamento, descrivendo il luogo e l' ambiente di ritrovamento e scegliendo infine un nome che consenta agli studiosi di tutto il mondo di identificarli. Giorgio Vizioli


DIABETE Tremila trapianti di pancreas: funzionano] Per le «isole», ancora molti problemi Le tecniche contro il rigetto
Autore: PORTA MASSIMO

ARGOMENTI: MEDICINA E FISIOLOGIA
LUOGHI: ITALIA
NOTE: 019

MOLTI diabetici si domandano se sia possibile risolvere in modo definitivo i loro problemi con un trapianto di pancreas. Questa ghiandola contiene agglomerati di cellule che secernono ormoni indispensabili per un corretto utilizzo delle fonti di energia da parte dell' organismo: sono chiamati «insulae» di Langerhans, dal nome dello studente che le descrisse nel 1869 all' età di 22 anni preparando la tesi di laurea e che trascorse il resto della sua vita di medico senza più interessarsi di diabete, metabolismo e pancreas. Quando le tesi erano tesi] Le insulae sono formate da vari tipi di cellule: le beta producono appunto l' insulina, le alfa il glucagone, le delta la somatostatina e altri ormoni. Il diabete insorge quando il sistema immunitario non riconosce più le cellule beta come parte dell' organismo e, ritenendole corpi estranei, le distrugge risparmiando invece le alfa e le delta. Come spesso accade, l' idea di per sè logica di rimpiazzare l' intero organo non più funzionante, o almeno le insulae, si scontra per la sua realizzazione pratica con una serie di ostacoli non ancora superati. In primo luogo, al trapianto fa seguito, per il resto della vita, un trattamento con farmaci attivi sul sistema immune al fine di prevenire il rigetto dell' organo estraneo: di conseguenza, al vantaggio di non dover più praticare tre o quattro iniezioni giornaliere di insulina si sostituirebbe la necessità di assumere farmaci i cui effetti collaterali potrebbero nel lungo termine rivelarsi ancor più pesanti dello stesso diabete e delle sue complicanze. In secondo luogo, il pancreas è un organo molto delicato, che richiede speciali precauzioni durante e dopo le manipolazioni chirurgiche: poiché fra i suoi compiti c' è anche quello di produrre enzimi e succhi digestivi, danni relativamente lievi possono far sì che tali sostanze si riversino nei tessuti circostanti, in pratica digerendoli e danneggiandoli gravemente. In terzo luogo, non è semplice tenere sotto controllo un pancreas trapiantato per verificare se e quando si manifestano i primi segni della reazione di rigetto. Per quanto riguarda il trapianto delle sole insulae, infine, si tratterebbe di un intervento potenzialmente molto meno traumatico, in quanto esse vengono isolate e poi iniettate nella vena porta, da cui raggiungono il fegato, senza ricorrere a un intervento chirurgico. Il tessuto insulare, tuttavia, non rappresenta che un centesimo della massa pancreatica e non è sempre possibile raccoglierne una quantità sufficiente a sostituire la funzione dell' intero organo perduto. I primi tentativi di trapianto di pancreas intero furono compiuti nel 1966, all' Università del Minnesota, in due pazienti con insufficienza renale terminale conseguente al diabete. Come nella maggior parte dei casi che seguirono, si trattò di trapianti contemporanei di reni e pancreas. Considerati i problemi elencati, l' intervento viene di solito proposto a pazienti in condizioni sufficientemente gravi da giustificare il ricorso a rimedi radicali, in particolare quelli già candidati al trapianto renale, una procedura che comunque richiede l' uso di farmaci immunosoppressori. E' interessante notare che, proprio perché il diabete è un fenomeno autoimmune, l' organismo tenderebbe nuovamente a distruggere le cellule beta, anche se non scatena una reazione di rigetto verso il resto del pancreas trapiantato. E' successo alcuni anni fa ad alcune pazienti che, avendo ricevuto porzioni di pancreas donate dalle loro gemelle identiche, non vennero sottoposte a trattamento immunosoppressivo: in capo a qualche tempo il diabete era recidivato e le beta cellule risultavano selettivamente distrutte. In queste pazienti la memoria immunologica si era ridestata fino a 26 anni dopo la prima insorgenza del diabete, tornando a completare l' opera di eliminazione di cellule utili all' organismo] Per motivi di praticità, il pancreas del donatore viene di solito collocato nella parte inferiore dell' addome piuttosto che nella sua sede naturale. L' insulina e gli altri ormoni secreti dalla ghiandola raggiungono il sangue attraverso una vena pancreatica abboccata alla circolazione sistemica, mentre i succhi digestivi vengono drenati in vescica. Questo espediente permette di eliminare il problema della tossicità degli enzimi pancreatici e di individuare l' insorgenza di un' eventuale reazione di rigetto misurando i livelli di uno di tali enzimi, l' amilasi, nell' urina. Alla fine del 1990 erano stati eseguiti più di tremila trapianti di pancreas intero nel mondo e le percentuali di sopravvivenza, dopo uno e tre anni, erano rispettivamente del 91 e 80 per cento; quelle degli interventi tecnicamente riusciti, nei quali cioè era stata del tutto sospesa l' insulina, del 72 e del 57 per cento. Se si tiene presente che l' intervento viene solitamente eseguito in condizioni critiche, sono cifre non peggiori di quelle relative ai trapianti di altri organi. I progressi compiuti nell' ultimo quarto di secolo sono incoraggianti e hanno permesso di prolungare la vita, migliorandone enormemente la qualità, di un discreto numero di persone che avevano ormai perso ogni speranza di recupero. La sfida per il futuro sarà quella di rendere il trapianto, e le terapie che lo accompagnano, meno da «ultima spiaggia», in modo da poterli offrire a un numero sempre maggiore di pazienti. Massimo Porta Università di Torino


DOPPIO INNESTO Un fegato e 800 mila «isole»
LUOGHI: ITALIA
NOTE: 019

Un «organo chimera» che in natura non esiste ma è stato fabbricato a partire da un fegato e un pancreas, è stato trapiantato per la prima volta in Europa in un malato di diabete con un tumore al pancreas e metastasi al fegato. I medici gli avevano dato tre mesi di vita: una situazione disperata, che ha indotto il malato ad accettare un intervento molto rischioso. Gli sono stati asportati in blocco fegato, pancreas, milza e parte dello stomaco. La mancanza di pancreas, l' organo che produce insulina, lo avrebbe però inevitabilmente portato a una grave forma di diabete. Di qui l' idea di tentare il doppio trapianto: un fegato nel quale erano state inserite (attraverso la vena porta) circa ottocentomila «isole di Langerhans» ricavate dal pancreas dello stesso donatore. L' intervento è stato eseguito il 26 novembre scorso a Milano all' Istituto Tumori, in collaborazione con il San Raffaele, ma è stato reso noto soltanto ora. Il paziente, un impiegato bergamasco di 47 anni, sta bene ed è già tornato al lavoro.


COME SI PROGETTA UN AEREO Nascita di un gigante Accordo Usa Europa, avrà 800 posti
ORGANIZZAZIONI: BOEING AIRBUS
LUOGHI: ITALIA
TABELLE: D
NOTE: 020

I N questi giorni la società americana Boeing e il consorzio europeo Airbus hanno annunciato che studieranno insieme il più grande aereo passeggeri che sia mai stato progettato. Ma come nasce un nuovo aereo civile? Si tratta di una gestazione molto lunga, sempre più lunga a mano a mano che aumenta la complessità dei velivoli e il loro costo: dalla prima idea al primo volo possono passare anche dieci anni; un percorso con innumerevoli ostacoli ognuno dei quali può imporre soste più o meno lunghe o addirittura determinare l' abbandono del programma. Il progetto euro americano annunciato in questi giorni riguarda un aereo di grandissime dimensioni, da 600 800 passeggeri, forse a due piani; già negli anni scorsi la Boeing aveva annunciato il progetto di raddoppiare il suo B 747 «jumbo» allungando fino alla coda la cabina superiore. Anche l' Airbus qualche anno fa aveva presentato un progetto di super aereo a due piani o con due cabine affiancate. Gli ultimi sondaggi indicano che aerei più grandi di quelli attuali (il B 747 porta circa 450 persone) sono necessari per affrontare il previsto aumento dei passeggeri. Dicono anche che difficilmente sul mercato ci sarebbe posto per due modelli di super aereo. Per questo motivo i due produttori, finora acerrimi rivali, hanno deciso di collaborare sicuramente in un momento successivo altri partner scelti per le specifiche competenze saranno invitati a partecipare alla grandiosa impresa.


METROLOGIA Il tempo scandito dall' atomo Col cesio scarto di 1"in 100 mila anni
LUOGHI: ITALIA
NOTE: 020. Orologio atomico

TRA le sette unità di misura fondamentali ci occupiamo oggi di quella di tempo: il secondo. Per definizione il secondo è l' intervallo di tempo che contiene 9. 192. 631. 770 periodi della radiazione corrispondente alla transizione tra i due livelli iperfini dello stato fondamentale dell' atomo di cesio 133 (XIII Conferenza Generale dei Pesi e delle Misure, 1967). Il secondo fu definito originariamente come la frazione 1/86. 400 della durata del giorno solare medio. L' esatta definizione del «giorno solare medio » fu compito degli astronomi, ma le loro misure dimostrarono che, a causa delle irregolarità del moto di rotazione della Terra, tale definizione non garantiva sufficiente accuratezza. Per definire l' unità di tempo con un valore migliore dell' incertezza, la XI Conferenza Generale dei Pesi e delle Misure adottò la definizione fornita dall' Unione Astronomica Internazionale che era basata sull ' anno tropico. Intanto attraverso un' intensa attività di ricerca avviata negli anni 50 per utilizzare fenomeni atomici come riferimento più accurato dei moti della Terra si dimostrava la possibilità di realizzare un orologio atomico basato sulla transizione tra due livelli energetici di un atomo o di una molecola. La XIII Conferenza Generale dei Pesi e delle Misure nel 1967, considerando indispensabile una più accurata definizione dell' unità di tempo del sistema internazionale, decise di sostituire la definizione del secondo con quella sopra riportata. L' orologio atomico a fascio di cesio realizza la definizione dell' unità di intervallo di tempo, il secondo. Produrre oscillazioni elettriche perfettamente agganciate alla frequenza di transizione dell' atomo di cesio richiede un' apparecchiatura elettronica quanto mai complessa, comprendente, tra l' altro, la sorgente di atomi di cesio, un oscillatore al quarzo, moltiplicatori e sintetizzatori di frequenza, campi magnetici. Tuttavia l' orologio al cesio è da circa 30 anni prodotto da industrie americane ed europee. Esso consente di misurare intervalli di tempo superiori a 100 secondi con una incertezza dell' ordine di 0, 1 ns, il che significa determinare un intervallo di 100 secondi con una incertezza di 0, 1 nanosecondi cioè 0, 1 miliardesimi di secondo. Dovrebbero quindi passare più di centomila anni prima che si possa accumulare lo scarto di un secondo. Per quanto piccola possa sembrare, questa incertezza è ai limiti delle esigenze tecniche più avanzate; infatti caratteristiche così elevate sono richieste soprattutto nelle telecomunicazioni, nella radionavigazione, nella navigazione spaziale ed in settori di ricerca come la radioastronomia, la geodesia e la geodinamica. In Italia l' Istituto Elettrotecnico Nazionale «Galileo Ferraris» di Torino è responsabile della generazione e del mantenimento dell' unità di tempo e della scala di tempo nazionale UTC (IEN) (UTC = Tempo Universale Coordinato). La scala di tempo è ottenuta per derivazione del campione nazionale, cioè l' orologio a fascio di cesio, che è selezionato tra cinque orologi disponibili conservati in un apposito laboratorio con temperatura e umidità controllata posto 12 metri sotto il livello del suolo. La scala di tempo UTC (IEN), base dell' ora legale in Italia, è mantenuta entro 2 milionesimi di secondo in più o in meno rispetto alla scala internazionale UTC, elaborata dall' Ufficio Internazionale dei Pesi e delle Misure di Sevres. La disseminazione della scala di tempo in Italia avviene attraverso l' emissione di segnali orari.


LE DATE DELLA SCIENZA Planetari, macchine per viaggiare tra le meraviglie del cielo stellato
Autore: GABICI FRANCO

ARGOMENTI: STORIA DELLA SCIENZA
LUOGHI: ITALIA
NOTE: 020

OTTANTA anni fa l' ingegner Miller, direttore del Deutsches Museum di Monaco, inventava il planetario moderno. L' uomo, da sempre, ha costruito modelli per riprodurre le meraviglie del cielo stellato. Il globo farnese è uno degli esempi più antichi, ma non è l' unico. Ovidio, nei «Fasti», ricorda la «sfera di Archimede» (alla quale Claudiano dedicò una poesia), un meccanismo molto simile a un planetario. Anche Leonardo, quando era meccanico di corte di Ludovico il Moro, costruì una macchina, chiamata «Paradiso», per rappresentare stelle e costellazioni. L' idea del planetario modernamente inteso risale invece al 1913. Nonostante l' età, questi strumenti continuano a regalare meraviglie. Il poeta e pittore Ardengo Soffici ha sottolineato molto efficacemente questo aspetto scrivendo: «Nessuno ha ancora inventato un planetario che faccia apparire vecchio il cielo». Lo strumento è costituito da una serie di congegni che proiettano su una cupola semisferica l' immagine artificiale della volta stellata visibile a occhio nudo. La mobilità dello strumento, inoltre, consente di evidenziare i movimenti apparenti della volta celeste. E' possibile, infine, proiettare sulla volta stellata tutti i riferimenti necessari per lo studio della geografia astronomica (equatore celeste, eclittica, meridiano... ). Il primo planetario italiano è sorto a Roma (1928), ma da alcuni anni è chiuso, benché si siano alzate più voci per auspicarne l' apertura. Il più grande è a Milano. In Italia funzionano una cinquantina di planetari. Esiste anche l' Associazione amici dei planetari, via Ozanam 4 25128 Brescia. (tel. 030/298. 3686). Franco Gabici


STRIZZACERVELLO Il giochetto televisivo
Autore: PETROZZI ALAN

ARGOMENTI: GIOCHI
LUOGHI: ITALIA
NOTE: 020

Il giochetto televisivo Ormai è sempre più frequente imbattersi in tele imbonitori che ci propongono un vecchio giochetto una volta comune nelle fiere di paese. Si tratta di far scegliere al malcapitato concorrente una delle buste A, B e C, delle quali una sola contiene il premio mentre le altre due sono vuote. Ispirandoci a questo principio, immaginiamo che un concorrente scelga a caso la busta A; prima che la apra però, il conduttore del gioco apre la busta B e nel far vedere che è vuota permette al giocatore di modificare la scelta in favore della busta C. Se costui decide di usare la possibilità offertagli e cambia la busta A scelta con C, qual è la probabilità che ha di vincere? La risposta a questo problema la troverete pubblicata domani, accanto alle previsioni del tempo. (A cura di Alan Petrozzi)


LA PAROLA AI LETTORI Al mondo ci sono 179 Stati. O forse 190
LUOGHI: ITALIA
NOTE: 020

Quanti sono gli Stati in tutto il mondo? La risposta esatta, a mio avviso, è 179. Europa: 40, calcolando anche gli Stati di recenti costituzione (Estonia, Lettonia, Lituania; Slovenia, Croazia, Bosnia Erzegovina e Macedonia, sebbene quest' ultima non sia ancora riconosciuta da tutta la comunità internazionale per l' opposizione della Grecia) e considerando la Csi (ex Urss) come uno Stato unico europeo. Asia: 39, mettendo nel conto anche Turchia (in parte europea) e Taiwan ma escludendo la Georgia, repubblica caucasica ex Urss che non fa parte della Csi. Africa: 52. America settentrionale e centrale: 22. America meridionale: 31. Oceania: 13, comprendendo anche gli ultimi nati, Isole Marshall e Stati Federati di Micronesia. Se però si considerano Stati indipendenti le Repubbliche che costituiscono la Csi (ex Urss) e la Georgia, gli Stati sarebbero 190. Massimo Guaraldo Calamandrana (AT) Perché quando si è contenti si ride? La vita è fatta di eventi che provocano sensazioni. Se queste sono piacevoli, si forma un rilassamento generale che crea uno stato di benessere che a sua volta sfocia nel riso. Gioia e contentezza provocano un aumento di endorfine, sostanze lenitive naturali del corpo umano la cui produzione è stimolata dal cervello e la risata ne è l' aspetto dimostrativo. Giovanni Reverso Torino Perché, quando sturiamo un lavandino pieno d' acqua, il vortice che si forma gira sempre dalla stessa parte? La causa è la rotazione terrestre. La Terra, ruotando da Ovest a Est intorno al proprio asse, trascina con sè l' acqua del lavandino. Nel nostro emisfero il vortice gira sempre in senso antiorario, come la rotazione della Terra per un osservatore a Nord del piano equatoriale. Nell' emisfero australe il senso è invece orario, come la rotazione della Terra per un osservatore a Sud del piano equatoriale. Giulia Roncone Follo (SP) Il vortice che si forma sturando il lavandino è dovuto alla forza di Coriolis, una forza apparente, presente in ogni sistema in rotazione (non inerziale). Se consideriamo un lavandino al Polo Nord (per semplificare il calcolo), la velocità angolare (antioraria) è un vettore normale al fondo del lavandino diretto verso l' alto, mentre la velocità dell' acqua è un vettore diretto verso il fondo del lavandino. Applicando la definizione di prodotto vettoriale, otteniamo un terzo vettore normale agli altri due, diretto orizzontalmente (forza di Coriolis). Enrico Corvonato Asti L' accelerazione detta complementare, o di Coriolis, che tende a far deviare l' oggetto rispetto alla direzione in cui si muove, è visibile solo in situazioni ideali, ad esempio con grosse vasche a fondo piatto in cui il liquido sia lasciato riposare per alcuni giorni. In un normale lavandino riempito da poco tempo, il senso di rotazione del vortice è influenzato molto di più dalla circolazione iniziale del fluido che si crea durante il riempimento e può mantenersi anche per diverse ore senza che si noti alcun apparente movimento. E' così possibile avere vortici orari nell' emisfero Nord e viceversa Marco Trucchi, Torino Perché, specchiandoci nella parte concava di un cucchiaio, vediamo la nostra immagine rovesciata? I raggi luminosi che cadono perpendicolarmente sulla parte concava di un cucchiaio vengono successivamente riflessi e fatti concentrare tutti in un unico punto, il «fuoco», a causa della stessa concavità della superficie riflettente. Appena riflessi dal cucchiaio, i raggi luminosi producono ancora un' immagine dritta ma essi, subito dopo aver superato il fuoco e continuando nel loro percorso, produrranno un' immagine capovolta. Il fenomeno è difficile da verificare con un cucchiaio perché, a causa dell' accentuata concavità della superficie riflettente, ha un fuoco vicinissimo a se stesso. E' invece più facile con uno specchio «ingranditore»: stando molto vicini ci vedremo dritti, allontanandoci (e quindi superando il fuoco) ci vedremo «a testa in giù ». Paolo Barrella Chiusi Scalo, SI & Come si misurano le altitudini sulla Luna, visto che non c' è un livello del mare cui riferirsi? Gianluca Marocco & Perché l' arcobaleno è circolare? Olindo Zanotti & Perché versando un cucchiaio di zucchero in un bicchiere di acqua gasata, il gas si libera tumultuosamente? Salvatore Arcidiacono & La crosta terrestre si consuma? Il mondo diventerà sempre più piccolo? Sara Di Stefano _______ Risposte a: «La Stampa Tuttoscienze», via Marenco 32, 10126 Torino. Oppure al fax 011. 65. 68. 688, indicando chiaramente «TTS» sul primo foglio.




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