TUTTOSCIENZE 11 novembre 92


BIOTECNOLOGIE IN ITALIA Gli alchimisti della vita A Milano nasce il Dibit: visitiamolo
Autore: BIANUCCI PIERO

ARGOMENTI: RICERCA SCIENTIFICA, BIOLOGIA, TECNOLOGIA
ORGANIZZAZIONI: DIBIT DIPARTIMENTO DI RICERCA BIOLOGICA E TECNOLOGICA
LUOGHI: ITALIA, MILANO
NOTE: 077. Parco scientifico, laboratorio

MALEDETTE, orrende, oscure sigle. Eppure pare che il mondo scientifico non riesca a farne a meno. Si chiama Dibit. Cioè Dipartimento di ricerca biologica e tecnologica. Sorge a Cascina Gobba, alla periferia Nord Est di Milano, vicino a quella Falchera dei ricchi che è la cittadella di Berlusconi. Un laboratorio di 40 mila metri quadrati tutto vetri antisole. A inaugurarlo, alla fine di ottobre, sono venuti il vicepresidente della Commissione Cee Pandolfi e il ministro De Lorenzo, assente Fontana, nuovo responsabile della ricerca scientifica. Ma un ministro in più o in meno ha poca importanza. E' importante, invece, dire che il Dibit si propone come la punta avanzata della ricerca biologica in Italia, un ponte verso l' Europa della scienza. Le strutture a disposizione del Dibit sono d' avanguardia: centro di bioingegneria, macchina a risonanza magnetica e tomografia a emissione di positroni per sondare i segreti del cervello, spettrometro di massa, microscopi elettronici, centro di bioingegneria, servizi di sieroteca e di produzione di bioreagenti, banca materiali, laboratori di elettronica e di informatica, una colossale biblioteca medica. Il tutto nella cornice di un Parco scientifico che oggi ha 2500 operatori attivi su un' area di 250 mila metri quadrati e che tra cinque anni dovrebbe raggiungere i cinquemila operatori su 400 mila metri nonché un bilancio annuo di 600 miliardi di lire. Particolare rilevante, con il Dibit e con il parco scientifico ci troviamo all' interno dell' Istituto di cura e ricerca dell' Ospedale San Raffaele, fondato da don Verzè una ventina di anni fa La vicinanza dell' ospedale 1200 posti letto tutti convenzionati con la Sanità pubblica ha un significato preciso, non solo topografico ma anche culturale: uno degli obiettivi di questa iniziativa è di accorciare al massimo la distanza tra il laboratorio dove si fa ricerca di base e la corsia dove si pratica al malato una terapia innovativa. Questa distanza a volte è di molti anni. Qui può essere quasi azzerata. Un altro obiettivo è di raggiungere una «massa critica» di ricercatori eccellenti in discipline diverse, più o meno contigue, in modo da favorire il più possibile gli scambi intellettuali. La presenza di autorevoli ricercatori stranieri e le collaborazioni con prestigiosi centri europei e americani contribuiscono inoltre a battere quel provincialismo che spesso vizia anche i migliori istituti di casa nostra. Non domandate a Jacopo Meldolesi (ordinario di Farmacologia all' Università di Milano e direttore scientifico del Dibit) quanti ricercatori si aggireranno nel palazzo di vetro. Si parla di 100 120, ma non c' è una cifra precisa. La regola è la flessibilità Il Dibit ha un gruppo relativamente piccolo di ricercatori suoi, ai quali si affiancano gruppi che si costituiscono per specifici obiettivi di ricerca. A tutti i gruppi il Dibit offre il suo supporto di servizi e di laboratori. Ma ogni gruppo deve arrivare con il suo programma e il suo finanziamento, che potrà venire dal Cnr, dalla Comunità Europea, dall' Università, da enti privati e così via. L' interazione ricerca industria, ovviamente, è considerata essenziale. Potenti multinazionali farmaceutiche come la Roche e la Bayer hanno già installato qui loro gruppi di ricerca, ognuno con una trentina di persone. L' aria che si respira al Dibit è di efficienza e di competizione. Anche di competizione dura. All ' americana, come americana, cioè molto bassa, è l' età media dei ricercatori. Qui la scoperta scientifica e le pubblicazioni di livello internazionale sono parametri di valutazione a cui non si sfugge, chi non produce non può disporre di una scrivania al Dibit Sfogliando gli appunti preparatori del rapporto sull' attività scientifica dell' ultimo anno lo si capisce subito. Benché il Dibit solo adesso incominci a essere operativo in grande (due piani di laboratori verranno messi in funzione nel prossimo anno, il terzo piano dovrà aspettare per problemi finanziari), la messe raccolta è già abbondante. Qualche esempio? Il gruppo di Meldolesi ha compiuto importanti progressi nella comprensione dei meccanismi di comunicazione cellulare tramite ioni di calcio aprendo nuovi orizzonti sul controllo della omeostasi del Ca2più, un' attività fondamentale dei neuroni. Claudio Bordignon ha realizzato la prima terapia genica in Europa e la seconda nel mondo restituendo la funzionalità del sistema immunitario a un bambino che ne era privo a causa di una rara malattia di origine genetica (non solo: le trasfusioni di cellule modificate geneticamente, previste con ritmo mensile, per ora non sembrano necessarie con tanta frequenza, ma occorrerà ancora parecchio tempo ci precisa Bordignon per annunciare risultati certi). Antonio Siccardi ha realizzato progressi nel campo dei marker tumorali e nella immunobiologia del virus dell' Aids. Roberto Sitia sta procedendo nell' esplorazione del «secondo codice genetico» , quello che determina la struttura tridimensionale delle proteine, un terreno potenzialmente fecondissimo. L' elenco potrebbe allungarsi ma a scopo esemplificativo ci sembra sufficiente. L' importante ora è che questo parco scientifico non diventi una anomalia, sia pure di segno positivo, nel panorama della ricerca italiana, così come è una anomalia (di efficienza) l' ospedale San Raffaele: con il rischio di ritrovarci poi con ospedali funzionanti per ricchi e raccomandati e con ospedali fatiscenti; con centri di ricerca da Nobel e altri da Terzo mondo. Già adesso si assiste a una fuga di cervelli da Università e Cnr verso il Dibit. La speranza è che da questa periferia milanese venga un effetto trainante, non un richiamo simile a quello delle Sirene che tentarono Ulisse. Piero Bianucci


Promesse e limiti della genetica A Genova si progettano farmaci figli del Dna
Autore: VERNA MARINA

ARGOMENTI: RICERCA SCIENTIFICA, BIOLOGIA, TECNOLOGIA, GENETICA
ORGANIZZAZIONI: CBA CENTRO DI BIOTECNOLOGIE AVANZATE
LUOGHI: ITALIA, GENOVA
NOTE: 077. Farmaci, biotecnologie

ANCHE Genova ha inaugurato qualche settimana fa il suo laboratorio di eccellenza: si chiama Centro di biotecnologie avanzate, abbreviato in Cba, è ospitato all' interno dell' Ospedale San Martino e la sua gestione è affidata a un consorzio (Istituto Nazionale per la Ricerca sul Cancro di Genova, Università, Istituto Gaslini, Consorzio Genova Ricerche e Finanziaria Ligure per lo Sviluppo Economico). E' un complesso di sedicimila metri quadrati, con un corpo centrale e quattro torri, trecento ricercatori e laboratori distaccati di grandi imprese interessate a collaborare su specifici programmi. Le ricerche sono mirate allo sviluppo di nuovi prodotti di diagnosi e terapia. Sono passati dieci anni esatti dall' approvazione del primo farmaco biotecnologico, l' insulina umana ricombinante. Oggi i farmaci e i vaccini biotecnologici sul mercato sono una quindicina e ce ne sono più di cento in sperimentazione clinica: per Aids, tumori, malattie infettive, ustioni, trapianti, epatiti e così via. In Italia sono 134 le imprese, tra le piccole e le grandi, che fanno ricerca biotecnologica e circa 900 i laboratori pubblici, tra Cnr e Università. La spesa per il 1989, ultimo anno per il quale si dispone di dati, è stata di 140 miliardi. Ma le biotecnologie rendono anche bene: 250 miliardi in quello stesso anno (metà in agricoltura, metà in salute), con previsioni di 2100 per il ' 95 e 4200 nel 2000. Questo terreno, che sembra così solido quando si ragiona di cifre e di progetti, è in realtà assai scivoloso. Perché le biotecnologie, come tutte le scienze, non si preoccupano solo di capire alcuni meccanismi, ma ne vogliono anche costruire di nuovi. Con una differenza, rispetto al passato: che i nuovi meccanismi siamo noi. E quindi, trattandosi della nostra pelle, la fantasia galoppa e immagina scenari cupi dai quali vorremmo tenerci lontani. Come dice il premio Nobel Renato Dulbecco, uno dei pionieri degli studi sul Dna, nel 1916 Einstein non pensava certo alle possibili applicazioni politiche o militari dei suoi studi e quindi non gli si possono imputare nè Hiroshima nè Cernobil. La lezione della fisica, però, ha lasciato il segno e oggi si devono fare i conti con il fantasma di una Cernobil biologica che magari non si produrrà mai, eppure accende polemiche non sempre serene. Finché si tratta di animali e piante, la paura è tuttosommato limitata. Anche l' interesse, però: solo la metà dei 12. 800 intervistati per il primo sondaggio d' opinione Cee sulle biotecnologie si è dichiarata attratta da questo campo, e ben l' 11 per cento ha detto di temere che possa solo peggiorare le cose. E' anche vero che la parola «transgenico» è nata oscura e tale rimane per il grande pubblico, ma è un fatto che in giro per il mondo ci sono pomodori, patate, piante di tabacco per non parlare di microrganismi che hanno incorporato un gene estraneo e funzionano senza dare problemi A ogni buon conto, in Italia siamo ancora al sicuro: i nostri due prodotti transgenici (i pomodori che resistono all' attacco di un virus che ne deforma la superficie e i particolari microrganismi che fissano l' azoto atmosferico nelle radici del mais) sono bloccati in laboratorio, in attesa che il Parlamento ratifichi le direttive Cee sull' uso di organismi modificati geneticamente evento che non si produrrà prima di febbraio. La grande paura, comunque, non è questa, ma è quella di una manipolazione genetica per costruire individui su misura. Una grande sciocchezza, dicono in coro tutti i ricercatori. Perché ogni carattere dell' uomo anche solo la forma del naso o il colore degli occhi è governato da un numero così alto di geni che sarebbe impossibile andarli a toccare tutti senza fare disastri. E le modificazioni per guarire una malattia? Anche qui siamo nella fantascienza. E' vero che la terapia genica è stata sperimentata su tre bambini e che tutti, a distanza ormai di anni, stanno bene, ma si tratta di un caso molto particolare. La malattia nota come Ada, dipende da un unico gene e quindi è stato relativamente semplice intervenire su di esso. Non si è ancora risolto, tuttavia, il problema di fondo: inserire un gene nel suo posto regolamentare quando si spara in un mucchio di centomila geni Pensare di controllare meccanismi complessi è dunque pura utopia, si tratti di aspetto fisico o di malattie ereditarie. Così dicono i ricercatori. Solo per tacitarci e proseguire in pace i loro studi? A sentirli, sembrano sinceri. Marina Verna


PARLA FAUCI E' l' Aids il primo bersaglio
AUTORE: VICO ANDREA
ARGOMENTI: MEDICINA E FISIOLOGIA, SANITA', RICERCA SCIENTIFICA
PERSONE: FAUCI ANTHONY
NOMI: FAUCI ANTHONY
ORGANIZZAZIONI: CBA CENTRO DI BIOTECNOLOGIE AVANZATE
LUOGHI: ITALIA, GENOVA
NOTE: 077. Farmaci, biotecnologie

ANTHONY FAUCI è il direttore dell' Istituto Nazionale della malattie infettive di Bethesda (Usa). Di origine italiana, è stato uno dei primi a lavorare sul virus dell' Aids. E ora guida una ricerca che vale quasi un milione e mezzo di dollari. Ospite del Centro di Biotecnologia Avanzata di Genova, inaugurato il mese scorso, è molto cauto nel rispondere alla domanda più pressante: A che punto è il vaccino? «Attualmente abbiamo in esame una quindicina di preparati. Non so dire se tra essi c' è anche il futuro vaccino anti Aids. Per due anni li studieremo tutti, accantonando via via quelli pericolosi per l' organismo umano. Solo allora, presumibilmente nel 1994, passeremo alla sperimentazione clinica sull' uomo del preparato più sicuro. Ma per ottenere un risultato utile, sotto il profilo dell' efficacia, dobbiamo aspettare almeno la fine del secolo. La conferenza sull' Aids di Amsterdam, nel luglio scorso, ha segnato un sensibile cambio di direzione nelle ricerche sul virus Hiv: l' attenzione si sta spostando sulla fase iniziale dell' infezione. Per un motivo molto semplice. Solo adesso cominciamo a capirne i meccanismi e a interpretare già nella primissima fase dell' infezione alcuni eventi come premonitori della malattia». Un nuovo tipo di test per snidare il virus durante il periodo di incubazione? «Non proprio. Direi piuttosto che si tratta di utilizzare meglio gli strumenti a disposizione. Ora siamo in grado di scoprire il virus prima che si manifestino gli anticorpi grazie a un sistema di amplificazione delle particelle virali chiamato Pcr. Ma è un procedimento riservato ai ricercatori perché ancora troppo costoso per essere utilizzato correntemente nella diagnostica. Negli Stati Uniti, comunque, con i test a disposizione del pubblico e gli screening della categorie a rischio, la probabilità di infezione è ora tra 1 a 40 mila e 1 a 250 mila casi». Quali sono i vostri prossimi obiettivi? «Ci muoveremo in due direzioni. Innanzitutto cercheremo di capire dove e come avviene la disseminazione del virus. Su questo fronte abbiamo appena scoperto che nei primissimi momenti del contagio il virus generalmente si distribuisce nelle linfoghiandole Altri gruppi di ricerca lavoreranno su pazienti volontari. I farmaci che abbiamo a disposizione sono solo in grado di rallentare per qualche tempo il dilagare dell' infezione. Ma vogliamo verificare l' effetto di un trattamento terapeutico della malattia fin dall' inizio dell' infezione. Esiste l' ipotesi che, trattando un paziente non appena sia individuata la sua sieropositività, si rallenti in qualche modo l' evoluzione della malattia. Avremo una risposta nei prossimi 12 13 mesi. Inoltre, con la collaborazione di alcune centinaia di sieropositivi stiamo studiando 15 differenti tipi di vaccino: 14 allo scopo di prevenire l' infezione (ma stiamo ancora valutando la sicurezza dei preparati e la singola capacità di stimolare una risposta del sistema immunitario), il quattordicesimo lo stanno sperimentando su alcuni ammalati volontari. Ma è ancora presto per fare commenti». Andrea Vico


DISSESTO GEOLOGICO C' è da rimpiangere l' Italia di Crispi
Autore: BIANCOTTI AUGUSTO

ARGOMENTI: GEOGRAFIA E GEOFISICA, ECOLOGIA
LUOGHI: ITALIA
NOTE: 078. Allagamenti, alluvioni, frane, pioggia, fiumi, erosione

IN settembre toccò a Savona; poi a Genova; pochi giorni fa è stata la volta della Valle dell' Arno: un autunno umido, e mezza Italia è andata a bagno. Il passato che ritorna pare un incubo. Per poche ore di pioggia in meno a Firenze non si sono ripetuti i cataclismi del 1966; Genova per un caso non è tornata quella di qualche lustro fa, quando i torrenti Bisagno e Polcevera misero in ginocchio tutta la città. Trent' anni sono trascorsi invano, come le tante Valtelline, le tante frane di Ancona, le tante Val di Stava. Il direttore del servizio geologico nazionale si indigna, ma con chi? Dovrebbe farlo con se stesso o, se ritiene che le colpe siano più in alto, si dimetta. I politici delle zone colpite da dissesto accusano inerzie, inadempienze, ritardi? Ma dovrebbero accusare se stessi visto che leggi basilari sono in disarmo perché prive di piani attuativi e di fondi. Più si parla di ecologismo e di ambientalismo, più l' Italia diventa terra incognita. Per restare a casa nostra, il Piemonte non possiede una carta tecnica aggiornata, e conosce se stesso attraverso le inossidabili «tavolette» dell' Istituto Geografico Militare, ferme sovente al 1962: cioè a un mondo che non c' è più. Il foglio geologico Cuneo fu rilevato nel 1900: l' Italietta di Crispi trovava tempo, uomini e denaro per questi compiti, oggi non più, anche se di soldi per la levata geologica ne bastano meno di quanti ne furono spesi per lo stadio dei mondiali di calcio. E situazioni simili si ripetono ovunque. Forse l' anniversario di Colombo sarebbe stato più degnamente celebrato a Genova con lo spurgo degli acquidocci e delle canalette a monte che con tante vanità effimere, e le acque in questo ottobre sarebbero rimaste quiete. Il glorioso Servizio idrografico nazionale, uno dei migliori del mondo, fu smantellato sull' altare dell' autonomia regionale. L' Ente periferico ha tardato a dotarsi di quadri efficienti, ed ora insegue il passato con spese astronomicamente superiori e risultati al paragone modesti. I nuovi laureati in geologia affollano gli atri dei provveditorati alla ricerca di uno spezzone d' orario di insegnamento, mestiere per il quale non sono preparati, e il servizio geologico, al cui capo c' è un fisico, langue privo di personale e di volontà di crescere. Il controllo dei ghiacciai, sono quasi mille, continua ad essere effettuato dal manipolo di volontari del Comitato Glaciologico Italiano, fatte salve iniziative scoordinate del l' uno o dell' altro assessore. Dopo il Progetto Finalizzato Conservazione del Suolo, finito ormai dieci anni fa, nel 1982, il Consiglio Nazionale delle Ricerche tace: da tempo è in travaglio un Progetto Ambiente che non nasce. La realtà è dura, ma chiara: ricostruire i servizi tecnici dello Stato, che funzionavano ai tempi di Giolitti, costa tempo e fatica, è un lavoro oscuro che rende poco ai politicanti. Meglio la bella piena, il gran dissesto: ci sarà tanto denaro da spendere in fretta, e senza controllo. Augusto Biancotti Università di Torino


INDUSTRIA AERONAUTICA Il pilota creò l' aereo Con il «simulatore di progetto»
Autore: BERNARDI MARIO

ARGOMENTI: AERONAUTICA E ASTRONAUTICA, AEREI, TECNOLOGIA
ORGANIZZAZIONI: ALENIA
LUOGHI: ITALIA
TABELLE: D Il simulatore funziona così
NOTE: 078

IL visitatore, in piedi dietro il sedile del pilota (siamo nella calotta del simulatore dell' Alenia a Torino) si aggrappa alla balaustra: cerca di contrastare illusori carichi di manovra suggeriti dalle immagini che spazzano lo schermo panoramico. E le stesse immagini, scandite al ritmo mozzafiato di un attacco a volo radente, impongono a chi abbia vissuto la tecnica del primo dopoguerra, la sensazione fisica di 50 anni di evoluzione della progettazione aeronautica. Alla fine degli Anni 40 la gestazione di un prototipo era breve. I dati sperimentali forniti dalle gallerie del vento e dai laboratori erano scarni ed elaborati in una mole di calcolo relativamente modesta. Dal trittico con le tre viste dell' aereo, dalle prime verifiche aerodinamiche e strutturali (fatte a colpi di regolo con il cicalante supporto delle calcolatrici meccaniche) alla realizzazione del prototipo non passava più di un paio d' anni. Poi il primo e spesso unico esemplare arrivava al campo volo. A questo punto toccava al collaudatore affrontare «la bestia» e scoprirne i reconditi umori in quella manciata di secondi che potevano segnare la differenza tra un successo e un mucchio di rottami a fondo pista. Dunque il contributo d' esperienza del pilota rimasto pressoché estraneo al processo progettativo era nullo ai fini della realizzazione della macchina e massimo era il rischio del primo volo. Oggi il simulatore di progetto capovolge la situazione: il comportamento psicofisiologico del pilota, seduto ai comandi di un simulacro della cabina, entra nello studio dell' aereo fino dalla fase di impostazione iniziale e l' armonizzazione del sistema uomo macchina precede l' inizio delle prove di volo, aumentandone la sicurezza e la resa. Il simulatore di progetto ha come elemento centrale un complesso di calcolo costituito da un insieme di computer. Questi processano il modello matematico del velivolo e dei suoi impianti integrando in tempo reale il sistema di equazioni che li rappresentano. Le azioni sui comandi vengono elaborate dal sistema che le restituisce al pilota insostituibile anello della catena di controllo della traiettoria di volo sotto forma di immagini dei riferimenti esterni corrispondenti alle manovre del velivolo. Le immagini vengono proiettate su uno schermo panoramico sistemato davanti al simulacro della cabina. Contemporaneamente i segnali corrispondenti alla situazione di volo pervengono agli strumenti del cruscotto ed a quelli di una sala di controllo occupata dai tecnici. Per il pilota le immagini vengono rese più realistiche assoggettandolo a pressioni tattili corrispondenti alle accelerazioni suggerite dalle immagini stesse (variazioni di prospettiva, rotazione d' orizzonte e spostamenti alla «top gun» dei bersagli fissi e mobili). I carichi di manovra sono realizzati variando la pressione dell' aria nei cuscini dei sedili e della tuta anti g. A differenza di quanto accade nei simulatori normalmente utilizzati per l' addestramento, nei quali il software è congelato a rappresentare il comportmento di uno specifico tipo di aereo, nel simulatore di progetto il modello matematico del prototipo può essere facilmente modificato. Cambiando, ad esempio, il sistema di equazioni che rappresentano il comportamento del motore, i dati aerodinamici che caratterizzano l' ala, o ancora le distribuzioni di peso che caratterizzano il centraggio, è possibile rimodellare il velivolo a piacimento fin dalla fase di impostazione iniziale. Anche i problemi connessi con situazioni particolari (di raffica, di visibilità... ), non sempre riscontrabili al momento delle prove di volo reali (per non parlare degli assetti inusuali e dei punti più remoti dell' inviluppo di volo) possono venire esplorati in modo sistematico ed in piena sicurezza non solo dal pilota ma anche dagli ingegneri. E così, attraverso il confronto di numerose soluzioni alternative, è possibile arrivare per approssimazioni successive alla ottimizzazione della soluzione finale. Sul piano economico la duttilità del modello matematico consente il pieno utilizzo e la razionale gestione delle immense risorse oggi disponibili nelle banche dati: dai risultati delle gallerie del vento a quelli dell' aerodinamica computazionale; dalle prestazioni dei motori a quelle dei più sofisticati sistemi di comando e stabilizzazione. Nel corso del processo di svilupo il simulatore di progetto emerge come un motivo conduttore; asse di guida e di continuità, essenziale integratore nel tempo di apporti multidisciplinari e spesso multinazionali che in un moderno velivolo valgono migliaia di miliardi erogati su tempi dell' ordine dei 10 anni. Mario Bernardi


LAGO DI COMO Sotto l' acqua una cava romana Perché il livello del bacino è salito di 40 metri
Autore: BASSI PIA

ARGOMENTI: ARCHEOLOGIA, GEOGRAFIA E GEOFISICA
NOMI: ROSSI CARLO
LUOGHI: ITALIA, OLGIASCA, COMO
NOTE: 078

SULLA sponda nordorientale del Lago di Como, detta Olgiasca, nei pressi dell' Abbazia di Piona, che si erge su una piccola penisola, è stata fatta una scoperta che rivoluzionerà le conoscenze geologiche e storiche del lago. A 40 metri di profondità, il sub Carlo Rossi ha individuato un pendio digradante a imbuto con bancate ad anfiteatro e massi di marmo bianco squadrati con evidenti segni di lavorazione a scalpello e con le tipiche tacche dei cunei che si usavano per aprire il marmo. Fra le due cave c' è un banco di scarti di scavo di scisto rosso. La stessa conformazione rocciosa è visibile nella cava dell' Olgiasca in superficie, a trincea, sfruttata fino al secolo scorso. Sono tuttora ben visibili sulle sponde dell' alto lago cave preindustriali a trincea con i loro attracchi rudimentali per il carico. E' stato provato che gli antichi romani che conquistarono Milano nel 196 a. C. e che l' abbellirono di monumenti marmorei durante il periodo imperiale (286 402 d. c. ) sfruttarono le cave lariane. Ne sono testimonianza le grandiose 16 colonne corinzie davanti alla Basilica di San Lorenzo in corso di Porta Ticinese a Milano, il cui marmo è stato estratto nelle cave di Musso presso Dongo e dell' Olgiasca vicino a Colico. Questa certezza ha indotto l' archeologo Massimiliano David a far curiosare sott' acqua e ad approfondire le ricerche con i geologi Vincenzo Michele e Alberto Giussani. Il gruppo di studio, sostenuto dal Museo civico di storia naturale di Milano, ha reso nota la scoperta dopo un anno di ricerche in più campi, investigando non soltanto la costa compresa fra Musso e Olgiasca, ma anche i fondali del lago nelle immediate vicinanze delle due trincee della Malpensata. Alle riprese fotografiche, difficili per le acque torbide, è stata affiancata una campagna di rilievi batimetrici affidata alla Subteco di Como, che con un sistema sofisticato computerizzato a raggi infrarossi è stata in grado di effettuare misure precise con una lettura di distanze inclinate e distanze rispetto all' orizzonte. Si suppone che l' innalzamento delle acque sia avvenuto verso il 400 d. C. nell' arco di alcune centinaia di anni. Non ci sono testimonianze scritte di terremoti fino al Medioevo, ma un evento sismico deve essere avvenuto. Si azzardano due ipotesi: un innalzamento delle terre a Sud del lago con conseguente basculamento della parte Nord, oppure l' innalzamento della soglia d' uscita del fiume Adda, oggi di 185 metri, ha fatto alzare il livello del lago soprattutto nella parte Nord. Nel ramo di Como sono stati rinvenuti reperti archeologici romani a circa sei metri di profondità, mentre all' isola Comacina a circa 10 metri. Archeologi, geologi e sub esploreranno ora tutta la costa Nord, alla profondità di 40 metri, poiché è facile supporre che attorno alla cava vi fossero villaggi, una rete stradale e forse tracce della famosa strada romana Regina che portava al Nord, di cui si sono trovate rari indizi in superficie. Gli studiosi escludono che l' inabissamento della cava dell' Olgiasca sia dovuta a una frana, dato che la linea costiera non presenta segni di discontinuità. La storia dei laghi glaciali insegna che essi diminuiscono di livelli fino a scomparire del tutto nel volgere di uno o due millenni, mentre quanto è successo al Lago di Como ha provocato una crescita di due centimetri all' anno in duemila anni. Il lago è interessato inoltre da una faglia che attraversa il lago da Nord a Sud, da Dongo a Lecco, Soncino, Cremona, faglia che in tempi lontani deve essere stata responsabile di eventi a noi sconosciuti. Pia Bassi


ENERGIE ALTERNATIVE Un tesoro nelle discariche Vale 2 milioni di tonnellate di petrolio
Autore: STORNELLO GIANNI

ARGOMENTI: ENERGIA, ECOLOGIA, INQUINAMENTO, RICERCA SCIENTIFICA
NOMI: CASERTA GIUSEPPE
ORGANIZZAZIONI: ITABIA
LUOGHI: ITALIA
NOTE: 078. Utilizzo di prodotti vegetali a scopi energetici

LE nuove norme antismog che ci accompagneranno il prossimo inverno confermano l' interesse e le crescenti preoccupazioni per il livello d' inquinamento delle aree urbane. E quindi si ripropone, come tema di grande attualità, l' utilizzo di prodotti vegetali a scopi energetici. Un settore di sperimentazione molto intensa e che registra una presenza non trascurabile su alcuni mercati, è quello che cerca di utilizzare la biomassa naturale quale fonte di produzione di calore, elettricità, trazione. Di questi temi si occupa l' Itabia (Italian Biomas), un' associazione nata nel 1985 sotto l' egida della Cee e formata da operatori, studiosi, industrie (ad esempio Enel, Eni, Regione Umbria, Università di Padova) che operano per lo sviluppo della produzione e l' utilizzo della biomassa a scopi energetici. «Biomassa spiega il presidente di Itabia, Giuseppe Caserta è tutta la sostanza organica prodotta dal mondo vegetale e dal mondo animale». E con queste sostanze si vogliono sostituire, almeno in parte, i combustibili fossili tradizionali per realizzare l' unica via possibile per arginare la temuta crescita dell' effetto serra (anche se, evidentemente, anidride carbonica si produce anche bruciando biomassa). La biomassa può quindi essere una nuova strada da seguire per l' agricoltura, una nuova serie di coltivazioni, che possono sostituire quelle che oggi danno eccedenze, e che possono essere o piante tradizionali già usualmente coltivate in Italia, come le oleaginose, o nuove piante in grado di assicurare maggiori rendimenti di conversione, come il sorgo zuccherino. Ma oltre a questo filone, spiega ancora Giuseppe Caserta, Itabia ora ne segue un altro, non meno interessante: quello dei rifiuti urbani che, precisa, «dovrebbero più esattamente essere definiti residui, prodotti riciclabili, materie seconde, ma non rifiuti». Osservate in questa chiave, le discariche cittadine non saranno più i luoghi di accumulo di materiali indistinti, ma una sorta di miniera urbana da cui estrarre materie nuove, da utilizzare soprattutto a fini energetici. I venti milioni (e forse più ) di tonnellate di rifiuti solidi urbani prodotti ogni anno in Italia potrebbero costituire una risorsa importante, pari a oltre due milioni di tonnellate di petrolio, se soltanto venissero espressamente destinati alla produzione di energia. La prima condizione necessaria perché i rifiuti solidi urbani si trasformino da problema di igiene pubblica in risorsa economica è che venga ampliato il patrimonio di conoscenze tecniche, utilizzando sistemi di campionatura e analisi dei materiali di scarto, per valutare in modo corretto il vero potenziale contenuto nei rifiuti urbani. L' argomento è stato trattato in un recentissimo convegno a Roma presso la sede dell' Enea, durante il quale è stato sottolineato come sia necessaria la raccolta differenziata e il perfezionamento delle tecniche di separazione del materiale organico. «Ricavare energia da rifiuti, oltre che dalle biomasse agricole ricorda ancora Caserta e utilizzare materiale di recupero sono divenuti obiettivi importanti soprattutto per un Paese come il nostro la cui dipendenza energetica dall' estero supera il 95 per cento del consumo globale nazionale a fronte del continuo incremento della stessa massa dei rifiuti. Si pensi solo che in cinque anni una città come Roma è passata da 300 grammi di rifiuti mediamente prodotti per ogni abitante a oltre un chilogrammo, avviandosi rapidamente verso le medie delle maggiori metropoli internazionali, come Parigi (oltre due chilogrammi), o New York (due chilogrammi e mezzo per abitante) ». Gianni Stornello


TUMORI Metadone sì per la terapia del dolore
Autore: HENRIQUET FRANCO

ARGOMENTI: MEDICINA E FISIOLOGIA, SANITA', RICERCA SCIENTIFICA
ORGANIZZAZIONI: OMS
LUOGHI: ITALIA
NOTE: 079. Farmaci, medicinali

E' un farmaco stupefacente, ad azione simile a quella della morfina e di pari efficacia. Agisce dunque contro il dolore e viene sintetizzato in laboratorio a costi molto bassi. Come la morfina, è considerato l' analgesico ideale perché ha la caratteristica di mantenere le sue proprietà antidolorifiche parallelamente all' aumento della dose, per quanto la si innalzi. Eppure il metadone dieci anni fa è stato vietato ai malati. Il motivo di questa decisione è sempre stato misterioso e il ministero della Sanità, ripetutamente interrogato, non ha mai dato spiegazioni. Nello stesso periodo, però, veniva autorizzato per la disassuefazione dei tossicodipendenti da eroina. Erano stati gli Stati Uniti a usarlo per primi a questo scopo, ma contemporaneamente non ne avevano impedito lo scopo fondamentale per il quale era stato prodotto. In Italia chi cura il dolore severo da cancro si è battuto per anni perché questo assurdo divieto venisse tolto. Oggi l' obbiettivo è stato raggiunto e un decreto del ministero della Sanità ne consente la vendita in farmacia per il trattamento analgesico domiciliare di malati con dolori gravi. La pressione per il suo reinserimento tra i farmaci disponibili per la terapia del dolore è stata motivata dalla necessità di avere un farmaco da affiancare alla morfina quando questa scatena intolleranza o refrattarietà. L' Organizzazione Mondiale della Sanità (OMS), nelle linee di indirizzo che ha tracciato per il trattamento del dolore da cancro, ha posto il metadone al primo posto tra i farmaci alternativi alla morfina. Nel nostro Paese, sino ad oggi, chi voleva dare il metadone ai suoi malati ha dovuto far ricorso a pratiche illegittime. Poiché l' unica possibilità per avere il metadone era quella di essere tossicodipendente e come tale accedere ai servizi di salute mentale il malato di cancro doveva spacciarsi per drogato. I medici della terapia del dolore dell' Associazione Gigi Ghirotti di Genova hanno seguito più volte questa strada e ne hanno anche dato pubblica notizia: una sorta di autodenuncia per combattere un provvedimento insensato. Lo Stato ha sempre risposto con il silenzio, ma evidentemente la provocazione è servita. Franco Henriquet Ospedale San Martino, Genova


MIGRAZIONI STAGIONALI Stormi ignari sulle rotte aeree Catastrofici impatti con i caccia militari
Autore: INGLISA MARIA

ARGOMENTI: ZOOLOGIA, ANIMALI, TRASPORTI, AEREI, INCIDENTI
LUOGHI: ITALIA
TABELLE: C La rotta
NOTE: 079. Uccelli migratori

OGNI anno, in autunno e in primavera, milioni di uccelli in migrazione attraversano i cieli di Israele. Situato all' incrocio fra Europa, Asia e Africa, Israele rappresenta una zona di passaggio obbligato per gli uccelli migratori. Una di quelle zone del globo che i biologi definiscono «collo di bottiglia» e nella quale grandi stormi di cicogne, pellicani, rapaci e altri uccelli si concentrano in uno spazio aereo molto ristretto. Uno spettacolo della natura che entusiasma birdwatcher provenienti da ogni angolo del mondo per assistere a questo prodigioso «spiegamento d' ali», ma che ha creato seri problemi agli uomini dell' Aeronautica militare israeliana. I frequenti impatti fra aerei militari (quelli civili volano a quote più alte) e stormi di uccelli in migrazione, infatti, hanno avuto in passato tragiche conseguenze: nel 1974 un pilota ha perso la vita e alcuni aerei sono precipitati. Fra gli anni Settanta e Ottanta il danno economico prodotto dalle collisioni con i volatili è costato all' Aeronautica militare 10 milioni di dollari e agli uccelli migliaia di perdite. Per regolamentare il frenetico via vai di aerei e stormi di uccelli in migrazione, l' Aeronautica militare ha chiamato i «rinforzi» e si è rivolta agli ornitologi della Società per la protezione della natura israeliana Per studiare il fenomeno delle migrazioni gli ornitologi si sono mossi su più fronti: alcuni di loro, utilizzando il radar dell' aeroporto «Ben Gurion», intercettavano l' arrivo di uccelli nel raggio di 70 chilometri di distanza. Da questa torre di controllo avvisavano altri colleghi, 150 uomini distribuiti in 28 postazioni chiave, che seguivano a vista gli stormi man mano che si avvicinavano. Quando gli uccelli erano sufficientemente vicini veniva azionato uno speciale mini aereo radiotelecomandato che permetteva di seguire e filmare gli animali in volo e, soprattutto, forniva preziose indicazioni sulla quota raggiunta. I risultati di questo ingente spiegamento di uomini, di mezzi e di sofisticate apparecchiature si sono rivelati di grande utilità pratica. Oggi, grazie al lavoro svolto in questi ultimi anni, sappiamo che aquile, cicogne, pellicani e molti altri volatili attraversano i cieli di Israele seguendo un programma ben preciso: ogni specie ha il suo calendario di viaggio e occupa spazi aerei ben delimitati. Ciò ha permesso di individuare «aree ad alto rischio di collisione» e, rispettando il protocollo di volo fornito dagli ornitologi, negli ultimi anni non si sono più verificati incidenti gravi, nessun pilota è rimasto ferito e nessun aereo è stato danneggiato seriamente. Dai cieli di Israele, quindi, ci giunge un felice esempio di serena convivenza fra homo «technologicus» e gli altri abitanti alati del pianeta. Concepiti dalla natura con una ampia struttura alare in grado di sostenerli anche senza essere messa in movimento, i grandi uccelli come le cicogne e i rapaci di maggiori dimensioni evitano nei lunghi spostamenti il volo battuto, che comporterebbe un eccessivo dispendio energetico; adottano, invece, il più vantaggioso «volo a vela». In corrispondenza dei punti del terreno più riscaldati dal Sole, come le zone rocciose o gli agglomerati urbani, si formano delle colonne di aria calda, le correnti termiche ascendenti: rimanendo all' interno di esse, con le ali ferme e spiegate al massimo, gli uccelli guadagnano quota compiendo uno sforzo minimo. L' energia spesa da un uccello per mantenere le ali aperte e attuare qualche minima correzione che consenta di controllare il volo, infatti, è solo il 3 5 per cento di quella necessaria per battere le ali. Maria Inglisa


FUMO Perché lasciare la sigaretta sembra tanto difficile? E' tutta questione di geni
Autore: GIACOBINI EZIO

ARGOMENTI: GENETICA, MEDICINA E FISIOLOGIA, PSICOLOGIA
LUOGHI: ITALIA
NOTE: 079. Fumatori

T EMPI neri, per i fumatori: in Francia le sigarette sono ormai fuorilegge, in Italia ancora si tratta, ma ormai il clima è decisamente salutista. Ma perché è così difficile smettere? Gli ultimi studi sull' argomento dimostrano che è una questione di geni: il patrimonio ereditario può contribuire non solo alla decisione iniziale di divenire fumatori, ma anche a quella di decidere di smettere. Studi su diversi ceppi di topolini dimostrano chiare differenze genetiche nella sensibilità agli effetti della nicotina. In questi animali la tolleranza alla nicotina, la distribuzione dei suoi ricettori chimici nel cervello e i suoi effetti fisiologici e farmacologici dipendono tutti da fattori ereditari. Altre ricerche compiute sui gemelli fanno ritenere che una simile influenza esista anche nell' uomo. Quasi sempre si accende la prima sigaretta per gioco, per curiosità, per emulare gli adulti. La prima reazione è generalmente spiacevole. Perché allora molti diventano fumatori e altri si fermano lì ? E perché più tardi, quando l' abitudine è fermamente acquisita ma si vorrebbe smettere, pochi ci riescono? Come per tutte le dipendenze anche per la nicotina sono in gioco molti fattori: l' effetto della sostanza sul cervello, l' influenza dell' ambiente, lo stress il piacere e i vantaggi psicologici, l' influenza della pubblicità, il costo. La maggior parte degli studi sono stati compiuti sui gemelli, un metodo valido per distinguere tra influenze ambientali (educazione, stato sociale ed economico) ed ereditarie. La prevalenza di una caratteristica del comportamento può essere paragonata tra gemelli geneticamente simili (monozigoti) e geneticamente non simili (eterozigoti). Un gruppo di ricercatori californiani (Sri International, Menlo Park) ha descritto sul «New England Journal of Medicine» i risultati di uno studio compiuto su quasi cinquemila coppie di gemelli nati tra il 1917 e il 1927 negli Stati Uniti, tutti soldati dell' esercito americano durante la Seconda guerra mondiale. Erano stati esaminati nel 1967 (età 40 50 anni) e poi nel 1983 e 1985 (età 56 66 anni), cioè a distanza di 16 anni. Le date sono importanti. Infatti solo nel 1964 il ministro della Sanità americano aveva reso noto il primo rapporto sui danni del fumo, seguito nel 1965 dall' obbligo di indicare tale pericolo sui pacchetti di sigarette. Il primo periodo dello studio riflette quindi un' attitudine più rilassata della società verso il fumo, mentre nel secondo il pubblico si è già reso conto del danno potenziale. Com' era prevedibile, il numero dei gemelli fumatori, in questi 16 anni, cade dal 52% al 27%. Il persistere a fumare malgrado una forte pressione ambientale riflette una dipendenza molto più radicata nel gruppo di fumatori superstiti. I risultati dello studio dimostrano che il rapporto con il fumo è più forte tra i gemelli monozigoti che tra quelli eterozigoti. Tre aspetti sembrano particolarmente influenzati da fattori ereditari: non aver mai fumato, continuare e fumare e smettere. Il contributo genetico è ben visibile all' inizio, con una predisposizione al desiderio della prima sigaretta o a una risposta diversa dell' organismo alle prime sigarette (tolleranza migliore, piacere maggiore). Anche l' abitudine può essere interpretata in termini genetici. Lo studio dimostra un' influenza genetica non solo per i forti fumatori (più di trenta sigarette al giorno) ma anche tra quelli leggeri (meno di dieci sigarette al giorno). Non esiste invece una relazione diretta tra numero di sigarette e influenza genetica. Fumatori pesanti e fumatori leggeri possono però essere influenzati da geni diversi. Sapere che dietro l' abitudine di fumare ci sono fattori ereditari può servire per la terapia. E' chiaro che dal punto di vista genetico l' abitudine di fumare dev' essere considerata come un comportamento complesso dipendente da molti geni. La conoscenza dei fattori genetici può aiutare a riconoscere sin dall' infanzia quegli individui che corrono un rischio maggiore se esposti a un ambiente di fumatori. Le implicazioni di questo studio sono al momento più teoriche che pratiche, infatti sapevamo già che i genitori fumatori aumentano il rischio che i figli diventino fumatori loro stessi. Ezio Giacobini


SCOPRIAMO L' ETOLOGIA Picchiarsi senza farsi male Un «Dizionario» del comportamento animale
Autore: P_B

ARGOMENTI: ETOLOGIA, ANIMALI, PSICOLOGIA
LUOGHI: ITALIA
TABELLE: D I segnali comportamentali dell' uomo e degli animali
NOTE: 080

ECCO uno strumento di conoscenza che non dovrebbe mancare in nessuna biblioteca scolastica (e neppure in quella di ogni persona colta, ma questo è un altro discorso). E' il «Dizionario di etologia» curato da Danilo Mainardi e pubblicato da Einaudi: quasi 900 fittissime pagine con cui l' editore torinese torna nel settore delle «grandi opere», questa volta però affrontando le discipline scientifiche anziché quelle storico umanistiche. L' etologia è una scienza giovane. Benché il suo nome sia settecentesco (come ricorda Mainardi, lo coniò l' Accademia Francese delle Scienze nel 1762), gli sviluppi importanti sono venuti a partire dagli Anni 30 del nostro secolo grazie al lavoro di Konrad Lorenz, di Niko Tinbergen e Karl von Frisch. Il premio Nobel assegnato nel 1973 a questi tre pionieri ha segnato la consacrazione ufficiale dell' etologia come scienza che studia il comportamento degli esseri viventi, uomo incluso. Crocevia di varie discipline (biologia, zoologia, genetica), l' etologia ci insegna molte cose interessanti anche per una lettura del nostro comportamento. Qui, per esempio, con disegni tratti dal «Dizionario», abbiamo rappresentato tre temi etologici essenziali e tra loro collegati: l' aggressività, i segnali di resa e i segnali infantili. Nel mondo animale l' aggresività si esprime spesso, all' interno della stessa specie, in forme rituali, così da non lasciare sul campo morti e feriti. L' individuo perdente, infatti, dando precisi segnali di resa (come offrire il ventre indifeso all' aggressore), riconosce la propria posizione gerarchica subalterna ed evita il peggio. Spesso i segnali di resa ricordano comportamenti infantili, come la giacitura sulla schiena o l' atto di chiedere il cibo alla madre. Quanto ai segnali infantili veri e propri (testa arrotondata, occhi grandi e così via), sono comuni a specie animali molto lontane tra loro e mirano a suscitare protezione e adozione.


ECOLOGIA Una cura per la Terra Chi è Lovelock, il paladino di Gaia
Autore: P_B

ARGOMENTI: ECOLOGIA, GEOGRAFIA E GEOFISICA, BIOLOGIA
NOMI: LOVELOCK JAMES
LUOGHI: ITALIA
NOTE: 080

NATA 4, 6 miliardi di anni fa, la Terra ha conosciuto trasformazioni profonde, a cominciare dalla forma dei continenti. Qui vediamo come da Pangea, circa 200 milioni di anni fa, si siano separati i continenti che conosciamo. Ma oltre all' evoluzione fisica, la Terra ha avuto anche una evoluzione biologica. Ogni specie in qualche modo si è adattata all' ambiente e alle altre specie. A sua volta l' ambiente è stato modificato dai viventi. Il risultato è che possiamo vedere la Terra come un grande unico organismo vivo. Questa è la tesi di James Lovelock, uno scienziato americano che ha ribattezzato il nostro pianeta con l' antico nome mitologico Gaia. Di Lovelock l' editore Zanichelli ha appena pubblicato «Gaia: manuale di medicina planetaria», una suggestiva serie di raccomandazioni affinché l' uomo, con i suoi inquinamenti, non metta a rischio la sopravvivenza della Terra.


DATE DELLA SCIENZA Ecco l' atomo secondo Bohr
Autore: GABICI FRANCO

ARGOMENTI: STORIA DELLA SCIENZA, FISICA
NOMI: BOHR NIELS, RUTHERFORD ERNST
LUOGHI: ITALIA
NOTE: 080

18 novembre 1962: trent' anni fa moriva il fisico danese Niels Bohr premio Nobel (1922) e uno dei fondatori della nuova fisica. Era nato a Copenaghen nel 1885. Il modello più famoso dell' atomo è quello «planetario» di Ernst Rutherford, con il nucleo centrale (composto di protoni e neutroni) attorno al quale orbitano elettroni in numero pari ai protoni. Questo modello classico, però, non rendeva ragione della stabilità degli atomi. Le cariche in movimento, infatti, irradiano e dunque perdono energia e pertanto gli elettroni, secondo l' elettrodinamica classica, avrebbero dovuto cadere sul nucleo in un tempo brevissimo (10 8 sec. ) distruggendo l' atomo. Il modello messo a punto da Rutherford andava dunque modificato ed è a questo puntoche si inserisce Bohr il quale, per superare le difficoltà, introdusse nell' atomo le nuove idee quantistiche. Bohr formulò l' ipotesi che gli elettroni potessero muoversi solo su determinate orbite, a ognuna delle quali corrispondeva un livello energetico (i cosiddetti stati stazionari) Inoltre, finché l' elettrone restava in queste orbite, non irradiava e, infine, l' elettrone poteva saltare da un' orbita a un ' altra emettendo o assorbendo un fotone la cui energia era pari alla differenza fra i valori dei due livelli energetici corrispondenti. L' esistenza dei livelli energetici fu poi rivelata sperimentalmente nel 1913 da Franck ed Hertz. Curiosità: Bohr era famoso tra i fisici per i suoi rapporti con la pipa che riusciva ad accendere con grande difficoltà. La frase: «Ogni difficoltà grande e profonda ha in sè la propria soluzione. Essa ci costringe a modificare il nostro pensiero per trovarla». Franco Gabici


STRIZZACERVELLO Lotto e matematica
Autore: PETROZZI ALAN

ARGOMENTI: GIOCHI
LUOGHI: ITALIA
NOTE: 080

Lotto e matematica Il gioco del Lotto, con i suoi 90 numeri, le sue combinazioni vincenti e i suoi 5 estratti settimanali a ognuna delle 10 ruote, è una palestra ideale per esercitarsi su problemi di matematica ricreativa. Non sto a chiedervi quanti siano, con i 90 elementi, gli ambi (4005), i terni (117. 480), le quaterne (2. 555. 140) e le cinquine (43. 949. 268) differenti che si possono realizzare. Vi chiedo invece di calcolare quanto segue: se poniamo in gioco su un' unica bolletta quattro numeri e suddividiamo la posta tra ambo, terno e quaterna, quante sono le cinquine capaci di darmi: a) la vincita di un solo ambo; b) la vincita di un solo terno; c) la vincita della quaterna secca? In pratica si chiede di calcolare quante siano le cinquine differenti che contengono rispettivamente 2, 3 o tutti e 4 i numeri da noi scelti. La soluzione domani, accanto alle previsioni del tempo. (A cura di Alan Petrozzi)


NELLE FORESTE DI PINO DI ALEPPO E il ratto si trasformò in scoiattolo Per sfamarsi ha imparato ad aprire le pigne
Autore: BOZZI MARIA LUISA

ARGOMENTI: ETOLOGIA, ANIMALI
LUOGHI: ITALIA
NOTE: 079

VERI campioni nell'arte di arrangiarsi, i ratti (Rattus rattus) si sono messi a vivere come gli scoiattoli. E' successo nelle foreste di pino di Aleppo (Pinus halepensis) in Israele: qui, favoriti dal fatto di non avere competitori, perché mancano sia gli scoiattoli sia i topolini selvatici che nel resto del mondo occupano questo habitat, i ratti vivono sugli alberi, dove fanno il nido e si nutrono esclusivamente di pinoli, scendendo raramente a terra. In queste foreste non c'è altro da mangiare, dal momento che il suolo è un deserto sterile a causa delle piogge acide. Per quanto se ne sa, finora nessun ratto aveva mai sperimentato questo tipo di cibo. Gli scienziati R. Aisner e J. Terkel dell'Università di Tel Aviv, indagando su come questi roditori abbiano potuto invadere un habitat così inconsueto per la loro specie, hanno scoperto che essi devono il successo al fatto di aver imparato ad aprire le pigne e di saper trasmettere ai piccoli le istruzioni per l'uso. Una pigna, che ha la forma di un cono allungato, è coperta da una serie si squame dure e legnose, disposte una accanto all'altra, secondo un andamento a spirale, intorno a un "torsolo" centrale. Ogni pinolo si trova sotto una squama, tenacemente protetto da questo involucro. Estrarre i pinoli da una pigna è un'impresa tutt'altro che semplice. Non si può procedere a caso, ma bisogna strappare le squame seguendone l'andamento a spirale. Secondo le ricerche di Aisner e Terkel, frutto di dieci anni di osservazioni sul campo e di esperienze in laboratorio, un ratto adulto che non abbia mai visto una pigna in vita sua non è in grado di imparare ad aprirla procedendo per tentativi ed errori, neppure se ha tre mesi di tempo e patisce la fame, una motivazione che in genere aguzza l'ingegno. Pare invece che la capacità di imparare sia legata a uno stadio precoce dell'infanzia. Durante lo svezzamento i piccoli imparano in fretta ad aprire le pigne se la madre lo sa fare. Scambiando i cuccioli fra femmine esperte e femmine inesperte si è scoperto che i piccoli non ereditano questa capacità per via genetica, ma la acquisiscono per trasmissione culturale. Infatti, mentre nessuno dei cuccioli allevati da madri incapaci alla fine dello svezzamento sapeva aprire le pigne, tutti quelli che avevano avuto il privilegio di averne una abile erano in grado di farlo. I piccoli ratti imparano in questo modo: quando passano dalla dieta lattea a quella solida, al momento del pasto stanno tutti intorno alla bocca della madre, e, mentre lei strappa via via le squame da una pigna, cercano di appropriarsi dei pinoli. Fattisi un po' più grandi e resi più arditi dal maggior appetito, sottraggono alla madre le pigne che lei ha già parzialmente aperto e, rintanandosi in un angolo della gabbia, provano a continuare da soli. Crescendo, i piccoli non riescono a sfamarsi con il cibo che passa la madre e l'appetito li spinge sempre più spesso al furto. Sembra che avere fra le mani pigne a cui manca via via un minor numero di squame sia lo stimolo chiave per il processo di apprendimento, mentre la presenza fisica della madre sarebbe meno determinante. Seguendo la spirale già iniziata, i piccoli continuano a strappare le squame e a liberare i pinoli, finché sono in grado di farlo da soli su una pigna intatta. La pressione selettiva a imparare, e a farlo in fretta, è molto forte per questi piccoli, dato che le pigne sono l'unico nutrimento possibile in questo ambiente. Anche i ratti adulti privi di esperienza hanno dimostrato nelle prove di laboratorio di poter imparare se si trovano tra le mani pigne in fase avanzata di apertura. Ma, a differenza dei piccoli che rubano alla madre, gli adulti non hanno occasione di trovarne nell'ambiente. Sul suolo della foresta ci sono solo torsoli completamente denudati dai ratti. E soltanto in brevissimi periodi dell'anno, i giorni dell'hamsin caldi e secchi, si possono trovare pigne aperte con le squame sollevate e i pinoli in mostra. Tuttavia, nelle esperienze di laboratorio i piccoli ratti dimostrano di non sapere trarre da queste pigne stimoli utili per imparare la tecnica di apertura. E allora, come si sono addestrati i primi pionieri che hanno inziato ad appropriarsi della foresta? Per il momento, nessuno ha trovato la risposta. Maria Luisa Bozzi




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