TUTTOSCIENZE 29 luglio 92


VENERDI' MISSIONE TARGATA ITALIA Finalmente lo Shuttle va Dall' Atlantis Franco Malerba guiderà nello spazio il «satellite al guinzaglio» In orbita anche il laboratorio europeo «Eureca»: sarà recuperato tra dieci mesi
Autore: RAVIZZA VITTORIO

ARGOMENTI: AERONAUTICA E ASTRONAUTICA
NOMI: MALERBA FRANCO
ORGANIZZAZIONI: SHUTTLE TETHERED
LUOGHI: ITALIA
NOTE: 017

D UNQUE, se non nasceranno difficoltà dell' ultimo minuto, il gran giorno sembra arrivato davvero. Dopo il ritardo accumulato a causa della sospensione dei voli degli «Shuttle» in seguito all' esplosione del «Challenger» nell' 88; dopo una serie di rinvii a causa di vari problemi delle navette americane, alle 9, 56 di venerdì (corrispondenti in Italia alle 15, 56) da Cape Kennedy decollerà la missione STS 46 con a bordo Franco Malerba, il primo astronauta italiano, e il satellite Tethered, il «satellite al guinzaglio». La navetta sarà l' Atlantis, che ha esordito nell' 85 e che sarà al suo dodicesimo volo nello spazio. Il satellite Tethered è senza alcun dubbio il più importante impegno dell' Italia in campo spaziale, ed è anche una delle più originali applicazioni delle tecnologie spaziali in campo scientifico. La sfera di alluminio di un metro e 60 di diametro, collegata alla navetta con il filo (diametro 2, 54 millimetri) lungo 20 chilometri è la più grande struttura mai costruita nello spazio. Anche le difficoltà connesse con lo srotolamento del filo lungo 20 chilometri (costruito dall' americana Martin Marietta), ovviamente mai provato prima, contribuisce ad accrescere l' interesse intorno al volo. A bordo, nella «cargo bay» di Atlantis, accanto al «Tethered», realizzato per conto dell' Agenzia spaziale italiana dall' Alenia Spazio negli stabilimenti di Torino con la collaborazione di Bpd Spazio per la parte propulsione, Fiar, Laben, Officine Galileo, Gavazzi Spazio e della francese Matra, vi sarà un altro satellite pronto per essere messo in orbita. Si tratta di «Eureca», una grande piattaforma (quasi una navicella autonoma) realizzata per conto dell' Esa, l' Agenzia spaziale europea; resterà nello spazio per 10 mesi poi sarà recuperata da un' altra navetta. «Eureca» è l' acronimo di European retrievable carrier, cioè trasportatore recuperabile europeo: a bordo ha 15 esperimenti di astronomia, di fisica solare, di astrofisica, di biologia, di tecnologia, di scienza dei materiali. Alla sua costruzione hanno partecipato da parte italiana Alenia Spazio, Bpd Spazio, Microtecnica, Fiar, Galileo e Laben. La piattaforma è un «oggetto » dalle dimensioni ragguardevoli, lunga cinque metri, alta tre, larga un metro e mezzo e pesante 4400 kg. L' operazione di «varo» è programmata dopo 17 ore e 58 minuti dal decollo a 425 km di quota e avverrà sotto il controllo di Claude Nicollier, svizzero, astronauta dell' Esa. Il centro Esa di Darmstadt, in Germania, la controllerà da terra. Il braccio dello «Shuttle» preleverà «Eureca» sollevandola dal vano in cui è ancorata; quindi verrà acceso il sistema di propulsione che la porterà alla sua orbita operativa a circa 515 km di quota; qui resterà per 10 mesi per esporre gli esperimenti di bordo agli effetti dell' assenza di gravità poi sarà fatta ridiscendere alla quota di partenza per essere riportata a terra. L' Esa prevede di utilizzarla per una decina di anni. Tra gli esperimenti a bordo due sono made in Italy uno è del Cise e riguarda il collaudo di nuove celle solari all' arseniuro di gallio; sponsorizzato dall' Agenzia spaziale italiana, è stato sviluppato con la collaborazione della Carlo Gavazzi Space e della Fiar; l' altro riguarda il modo in cui si attraggono i metalli, è stato anch' esso finanziario dall' Asi ed è stato sviluppato dall' Università di Milano con la collaborazione di Centrotecnica (Milano), Control System (Cremona) e Rial (Parma). Un terzo esperimento, relativo alla scienza dei materiali, ha come «science representative» A. Passerone, dell' istituto di chimica fisica applicata dei materiali del Cnr di Genova. Vittorio Ravizza


IL NOSTRO PRIMO ASTRONAUTA «Una grande emozione» Nelle sue mani l' esito della missione
AUTORE: LO CAMPO ANTONIO
ARGOMENTI: AERONAUTICA E ASTRONAUTICA
PERSONE: MALERBA FRANCO
NOMI: MALERBA FRANCO
ORGANIZZAZIONI: SHUTTLE TETHERED
LUOGHI: ITALIA
NOTE: 017

D OPODOMANI dal Centro Spaziale Kennedy della Nasa la scena si ripeterà: un gruppetto di uomini rivestiti dalle loro tute color arancione esce dal proprio «quartier generale», saluta la folla e sale sul furgone che li porterà fino al complesso di lancio 39 dove sarà in attesa lo Shuttle. Ma questa volta, la prima in assoluto, ci sarà anche una bandierina italiana cucita su una di quelle tute e ad indossarla sarà Franco Malerba, 45 anni, da Busalla (Genova ), laureato in ingegneria e fisica, e «specialista di carico» per questa missione «Sts 46». Il suo compito principale sarà quello di rilasciare dalla stiva della navetta Atlantis il satellite tutto italiano «Tethered», realizzato da Alenia Spazio in collaborazione con altre aziende italiane, di gestirne la missione scientifica, e di riportarlo con cautela nella stiva. E' una grande «prima spaziale» che metterà in pratica le geniali idee dello scomparso professor Giuseppe Colombo, dell' Università di Padova, che fin dagli Anni Settanta propose il progetto. Questo satellite sferico di un metro e mezzo di diametro e pesante 520 chilogrammi, sarà collegato all' Atlantis tramite un cavo conduttore di 2, 5 millimetri di diametro realizzato in rame e rivestito con materiali che lo rendono resistente ad una trazione di 180 chili. «E' importante ci ha detto Malerba che l' Italia vada in orbita dimostrando con il nostro satellite a filo la grande maturità scientifica e innovazione tecnologica raggiunta dal nostro Paese nel settore aerospaziale». Qual è lo scopo della missione Shuttle Tethered? E' una missione dedicata allo studio della dinamica del satellite a filo, cioè a verificare come esso si comporta nelle fasi di estrazione dalla stiva dello Shuttle, di collocazione in orbita fino a venti chilometri di distanza dalla navetta stessa, e infine di recupero a bordo. Si tratta di una missione importante per iniziare a considerare il sistema Tether ed come strumento operativo, e soltanto dopo di essa si potranno aprire in via definitiva tutte le possibilità applicative, le più interessanti delle quali riguardano la generazione di potenza nello spazio e la propulsione. Costruiremo l' equivalente di una dinamo o di un motore elettrico nello spazio, dove il campo magnetico terrestre e il movimento offerto dalla velocità orbitale del sistema Shuttle filo satellite di 26 mila chilometri orari ci consentiranno questa operazione sinora mai tentata. Quale sarà, a grandi linee, il profilo della missione? Dopo il lancio, l' Atlantis si dovrà collocare su un' orbita circolare a poco meno di trecento chilometri di quota e con un' inclinazione di 28 gradi sull' equatore. Primo importante obiettivo sarà il rilascio dalla stiva, tramite il braccio robot di cui è dotato lo Shuttle, della piattaforma «Eureca». Al terzo giorno di volo toccherà a noi; l' esperimento del Tether ed dovrà durare circa 40 ore e tutti e sette i membri dell' equipaggio saranno in qualche modo coinvolti nell' operazione Il satellite sarà dapprima sollevato dalla stiva tramite il «deployer» e poi lanciato, rispetto alla Terra e allo Shuttle, verso l' alto, trattenuto dal filo conduttore che è previsto per effettuare gli esperimenti di dinamica ed elettrodinamica. Quale sarà la parte più delicata dell' esperimento? Senza dubbio quella del rilascio e quella finale del recupero e riavvolgimento dalla stiva, anche perché una spinta un po' troppo forte farebbe rimbalzare il satellite in modo difficilmente controllabile, mentre un rilascio troppo debole potrebbe trasformare lo shuttle in... gomitolo spaziale. Comunque tutte le simulazioni finora sviluppate ci tranquillizzano sul funzionamento e sui possibili pericoli. A bordo ci sarà anche una straordinaria macchina da ripresa. E' una speciale cinepresa da 16 millimetri, «Imax 6», che consentirà di effettuare particolari riprese sulle varie operazioni da svolgere in orbita, e che speriamo possa offrire anche per questa missione immagini spettacolari che si potranno vedere dopo la conclusione del volo di sette giorni. Vi sono particolari timori in vista del grande balzo? Devo dire che c' è parecchia emozione quando si tratta di salire su queste grandi e complesse macchine spaziali, ma è in quel momento che ti accorgi della grande motivazione per cui si è scelto di andare nello spazio. Antonio Lo Campo


LABORATORIO Nel Maryland i cittadini votano per dare più soldi alle ricerche in medicina
Autore: GIACOBINI EZIO

ARGOMENTI: RICERCA SCIENTIFICA, REFERENDUM, SONDAGGIO, TASSE, FINANZIAMENTO, SANITA'
LUOGHI: ITALIA, USA, MARYLAND
NOTE: 017

I risultati di un referendum nello Stato del Maryland, svoltosi nel gennaio di quest' anno parlano chiaro: l' 80% dei votanti sarebbe disposto a pagare più tasse per «fare in modo che il governo federale spenda di più nella prevenzione e nel trattamento delle malattie»; il 47% accetterebbe perfino un aumento delle tasse per sostenere le spese della ricerca nel campo medico biologico. Questi dati sono sorprendenti anche per il pubblico americano, che è assai più cosciente del valore e dei vantaggi di una ricerca attiva nel campo medico biologico di quello italiano. E' pure sorprendente che altri soggetti più «caldi» dal punto di vista politico, come la scuola e l' ambiente, siano usciti come molto meno favoriti dalle votazioni. I perdenti sono stati decisamente la difesa nazionale, con il 5%, e i programmi spaziali con il 13% dei voti. La pensione sociale e i programmi di assistenza sociale se la sono cavata un po ' meglio con il 23 ed il 39%. I risultati sono stati pressappoco uguali per i votanti registrati come repubblicani e per quelli dichiarati democratici. Durante la campagna elettorale erano stati usati annunci sui giornali, programmi, spot e interviste sia alla tv sia alla radio con la partecipazione di ricercatori per illustrare i vantaggi di una forte ricerca e i suoi effetti immediati sulla salute pubblica. Perché è stato scelto proprio lo Stato del Maryland? Tra le molte ragioni per il fatto che qui c' è Bethesda, sede del più grande istituto di ricerca degli Stati Uniti, il National Institute of Health, con oltre 10 mila ricercatori a tempo pieno e 15 mila tecnici, una vera città della scienza medica con un bilancio di oltre 2 miliardi di dollari; in più oltre all' università di Stato del Maryland, vi si trova l' Università Johns Hopkins di Baltimora, una delle 6 migliori nel campo della medicina I membri del Congresso a Washington si stanno rendendo conto del peso politico di questi risultati. Per questo un' indagine analoga sarà fatta anche a livello nazionale; uno degli organizzatori della campagna, John Donnelly, dice: «Noi vogliamo educare il pubblico circa il valore della ricerca medica, vogliamo che si renda conto che essa salva delle vite e fa risparmiare quattrini». Donnelly dice anche che «esiste in America una maggioranza silenziosa che è molto favorevole alla ricerca, vogliamo che questa muova la pubblica opinione». Perché questa reazione tra gli americani? Anzitutto c ' è una profonda insofferenza per gli enormi mezzi profusi finora nella difesa, per gli intrighi di Reagan prima e per quelli di Bush dopo nella vendita di armi, per i soldi dei contribuenti spesi ad armare mezzo mondo dall' Afghanistan allo stesso Iraq, da Israele e all' Egitto, per le basi militari europee ed asiatiche. Il contribuente americano vorrebbe che questi quattrini fossero spesi per progetti interni anziché internazionali. Nella lista delle priorità vi è la salute pubblica, che si caratterizza per la mancanza di qualsiasi assistenza medica per più di un quarto dei cittadini americani (27% ) e per la inadeguatezza delle cure per oltre un terzo (35% ). Gli Stati Uniti sono l' unico Paese industriale che non ha un programma nazionale di assistenza medica; questo spiegherebbe perché il 76% dei votanti del Maryland abbia dichiarato che il governo spende troppo poco per la salute dei suoi cittadini. Il 56% è a favore di maggiori investimenti nella ricerca medica. Perché ? Probabilmente il pubblico vede un legame diretto tra ricerca e assistenza, ma è possibile anche che si renda conto che senza ricerca problemi come il cancro, l' Aids e il morbo di Alzheimer non saranno mai risolti. Specie questi ultimi due sono molto sentiti dal pubblico, con un milione di cittadini in pericolo di contrarre il primo e 10 milioni già malati di demenza senile. In un referendum più specifico è stato chiesto quali fossero le ragioni per cui gli Usa hanno le spese per la sanità più alte del mondo e una deficiente assistenza. Risposta: l' esosità delle compagnie di assicurazioni private (66% ), degli ospedali (60% ) e delle ditte farmaceutiche (57% ). I medici sono stati giudicati come co responsabili dell' aumento progressivo dei costi (46% ) mentre la tecnologia medica, la regolamentazione federale e il costo della ricerca sono stati considerati come fattori minori. Certamente la risposta del Maryland avrà un impatto sulle prossime elezioni presidenziali e il programma dei candidati sulla questione salute e ricerca scientifica avrà un suo peso. Clinton pare favorito rispetto a Bush per aver aiutato entrambe nel suo Stato dell' Arkansas. Bush d' altra parte ha stanziato milioni di dollari a favore di programmi di ricerca sulla demenza senile e sull' Aids. Ezio Giacobini


CENTRALI All' Est il nucleare è a rischio Impianti 100 volte più pericolosi di Three Miles Island Per modificarli occorrerebbero 12 miliardi di dollari
Autore: REGGE TULLIO

ARGOMENTI: ENERGIA, NUCLEARI, FISICA
LUOGHI: ITALIA
NOTE: 018

RICEVO dal gruppo Framatome un invito a una conferenza del presidente Leny sui problemi del nucleare nei Paesi dell' Est europeo. Framatome è un gigante che controlla praticamente tutta l ' industria nucleare francese, che ha costruito circa 60 centrali nucleari, e che al momento si trova in difficoltà per la forte riduzione di commesse sia in patria sia all' estero. Non è possibile accettare tutti gli inviti che giungono a un eurodeputato ma all' ultimo istante decido di andare. Non rimarrò deluso. L' incontro si svolge in un elegante padiglione di un parco di Bruxelles battezzato «Chateau de Sainte Anne», dove ritrovo i colleghi Linkohr e Herve della mia Commissione, che si occupa di energia, ricerca e tecnologia. Leny va direttamente al cuore dle problema: cioè alle condizioni di sicurezza nucleare nell' Europa dell' Est. Esistono 4 serie di reattori in funzione nei Paesi dell ' Est. Il reattore esploso a Cernobil appartiene alla serie Rbmk giudicata, non a torto, sommamente pericolosa. Si tratta di reattori enormi, con potenza da 1000 MW (megawatt = 1 milione di watt) a 1500 MWatt, privi di difesa in profondità e della terza barriera protettiva contro la disseminazione di prodotti radioattivi. I dispositivi che debbono intervenire in caso di incidente non sono sicuri e mancano di ridondanza. Non è stato tenuto conto dell' incidente di Three Miles Island e non è stata migliorata l' interfaccia uomo macchina. Non esistono procedimenti standard e scritti da applicare in caso di incidente. Questo vale sia per la serie Rbmk sia per la serie Vver 440/230 che dovrebbe essere disattivata al più presto. Le serie Vver 440/213 e Vver 1000 hanno criteri di sicurezza più simili a quelli occidentali e potrebbero essere mantenuti in funzione con opportune migliorie. Il vero problema è ora politico e finanziario. Per rimettere in sesto tutti i reattori dell' Est occorrono circa 12 miliardi di dollari, bastanti per costruire due centrali nucleari tipo Montalto di Castro: non molti se si considerano le somme ben più alte finora investite per lo sviluppo nucleare occidentale, troppi se si considerano i rischi derivanti dall' instabilità politica dell' Est europeo. Altre difficoltà sorgono dalla carenza di energia cronica di quei Paesi. La Bulgaria trae praticamente tutta l' energia elettrica da reattori Vver 230 in pessimo stato e da Vver 1000 più recenti. Qualsiasi intervento su questi impianti comporta il loro arresto a tempo indeterminato e uno stato quasi totale di black out del Paese. La situazione bulgara è giudicata grave, i reattori locali sono un vero incubo che abita le notti non solamente dei tecnici del Framatome ma anche di tutti coloro che si rendono conto delle conseguenze di un nuovo incidente nucleare. L' Ungheria possiede reattori Vver 213 modernizzati e in buono stato di manutenzione. Non è un' area di intervento prioritario. L' Ucraina ha conosciuto un notevole sviluppo industriale ma manca di capacità nucleari, per cui dipende dalla Russia. In Ucraina sono installati 15 Vver, di cui 13 di 1000 MWatt. Tre reattori attendono l' autorizzazione a entrare in funzione; se questa venisse concessa potrebbero essere spenti i famigerati Rbmk ancora in funzione a Cernobil. In ogni caso l' Ucraina deve affrancarsi dalla tutela russa. In Russia esistono istituzioni di ricerca di alto livello e mezzi industriali possenti ma mal utilizzati. Il parco reattori include 4 Vver 230, 6 Vver 213 e 6 Vver 1000. Gli Rbmk contribuiscono solamente per il 6 per cento dell' energia elettrica prodotta nel Paese, in cui esistono enormi riserve di gas e petrolio con cui si potrebbe fronteggiare il deficit energetico prodotto dalla chiusura dei Rbmk. Infine è ben noto che nella ex Urss sia la rete di trasmissione elettrica sia quella del gas sono incredibilmente inefficienti. La rete del gas spreca una quantità di gas naturale pari al consumo della Francia. In queste condizioni varrebbe la pena di investire cifre considerevoli, tentare un intervento globale che coinvolga tutta l' Europa e che punti verso il miglioramento delle condizioni di sicurezza nucleare e verso la razionalizzazione del sistema energetico. Anche qui le risorse dell ' ex Urss sono tali da garantire il successo dell' impresa con vantaggi per tutti, se non sussistesse un regime permanente di instabilità politica che allontana i capitali. Le centrali dell' Est sono in media 100 volte più pericolose di quella di Three Miles Island e questa è in media 10 volte più pericolosa di una francese. Praticamente tutto il pericolo di un nuovo incidente è concentrato all' Est, ma le conseguenze economiche e politiche negative giungerebbero fino a noi amplificate e con gli interessi. In queste condizioni nessuno osa investire nel nucleare nella convinzione che un nuovo incidente, anche relativamente lieve, condurrebbe alla chiusura di impianti anche in buono stato ed a perdite gravissime. Dovendo investire nella sicurezza nucleare, conviene agire prontamente chiudendo i reattori che non possono essere recuperati, come gli Rbmk, sostituendoli con altre fonti energetiche sicure da reperire senza pregiudizi, siano esse fossili o sotto forma di nucleare sicuro. Il nucleare porta con sè un vizio di origine da cui deve affrancarsi se vuole uscire dalla stasi. Sin dagli inizi fu presentato come assolutamente sicuro, e non lo era, e fu impostata una politica energetica che lasciava ben poco spazio alla razionalizzazione dell' energia. Una centrale nucleare è costosissima, si giunge a oltre 10. 000 miliardi di lire per impianto; essa deve quindi recuperare i cospicui capitali investiti rastrellando tutta l' utenza disponibile e, nel sistema attuale, può farlo solamente in regime di monopolio e in contrapposizione a ogni forma di razionalizzazione energetica. Un rilancio del nucleare deve attuarsi in condizioni di altissima sicurezza ma anche di mantenimento della politica energetica iniziata con la legge 9/10. La ricostruzione energetica dell' Est europeo deve procedere senza contrapposizioni artificiose tra nucleare e altre fonti, in modo da uscire al più presto dalla gravissima situazione attuale. Come ha detto Leny: dopo un nuovo incidente non ci resta altro che mettere una croce sul nucleare. Non penso che questo possa essere occasione di gioia per coloro che non hanno mai avuto simpatie per l' atomo. La scelta tra nucleare e fonti alternative deve essere razionale e svolgersi a un livello più dignitoso di quello mostrato dai tifosi di calcio. Ogni anno un francese inietta nell' atmosfera 1, 74 tonnellate di carbonio sotto forma di anidride carbonica; la cifra sale a 2, 34 per il cittadino medio Cee, a 3, 63 per i russi, a 5, 45 per gli americani Non intendo polemizzare sul nucleare o no, ma certo se badiamo alla produttività dei rispettivi Paesi è più scusabile la cifra alta degli americani di quella russa. In ogni caso occorre sbrigarsi prima che accada un nuovo incidente. Tullio Regge Università di Torino


ENERGIA PULITA Il vento accende la luce Nuova centrale eolica in Sardegna
Autore: V_RAV

ARGOMENTI: ENERGIA, ECOLOGIA
ORGANIZZAZIONI: GAMMA 60
LUOGHI: ITALIA, PORTO TORRES
NOTE: 018

I N riva al mare dell' Alta Nurra, a due passi da Porto Torres, le lunghe pale di cinque candide girandole riempiono il cielo con il loro vorticare; è il «campo prove» dell' Enel dedicato all' energia eolica e le girandole sono aerogeneratori, cioè mini centrali elettriche mosse dal vento. Qui nei giorni scorsi è stato ultimato e messo in funzione «Gamma 60», generatore di grande potenza costruito dalla West di Taranto, del gruppo aerospaziale Alenia, in collaborazione con Enel, Enea e Comunità Europea; è il più avanzato oggi esistente al mondo, punto di arrivo di una tecnologia che, attraverso prove ed inevitabili errori, cerca di mettere a punto macchine efficienti per passare dalla fase sperimentale a quella produttiva. «Gamma 60» ha un rotore a due pale di 60 metri di diametro, collocato in cima ad una torre metallica alta 66 metri la «navicella» contenente il generatore vero e proprio, posta anch' essa in cima alla torre, è lunga 14 metri (come un autobus) e pesa 110 tonnellate. La potenza nominale è di 1500 kilowatt e produzione di 2 milioni e mezzo di kilowattora l' anno, regolarmente inseriti sulla rete dell' Enel. Se le prove in corso saranno positive entro la fine dell' anno comincerà la produzione di altri due esemplari già prenotati dall' ente elettrico. Complessivamente il programma richiederà un investimento di 36 miliardi, di cui 15 dell' Enel. La West, creata nell' 89 a Taranto, un centinaio di addetti, ha già realizzato una prima centrale eolica operativa a Bisaccia, in Campania, usando aerogeneratori di piccola e media taglia con una potenza complessiva di 1500 kilowatt; ha inoltre installato altri aerogeneratori a Villagrande e Carloforte in Sardegna, in Abruzzo, nel Sangro, nel Sannio. Pochi giorni fa a Tocco da Casauria, in provincia di Pescara, è stata inaugurata un' altra centrale eolica, realizzata questa dalla società Riva Calzoni di Bologna: è la prima centrale eolica «comunale» con due generatori M30 da 200 kilowatt. Dunque l' elettricità eolica sembra cominciare finalmente a sentire il vento in poppa. Il Pen (Piano energetico nazionale) ha posto come obiettivo 600 megawatt eolici nel 2000, che è meno dell' 1 per cento dell' elettricità complessiva consumata in Italia ma che potrebbe salire in un futuro un po' più lontano al 5. Se la produzione raggiungerà queste dimensioni, assicurano i tecnici della West, il costo del kilowattora eolico si assesterà intorno alle 100 lire, contro le 70 di quello da petrolio. Un costo accettabile, affermano sempre gli uomini della società costruttrice, se si tiene conto da un lato del contributo alla bilancia valutario energetica nazionale e dall' altro dei costi ambientali di cui oggi ci si comincia a rendere conto; ogni kilowattora generato dal vento evita che siano bruciati 230 grammi di olio combustibile e che sia spedito nell' atmosfera un chilogrammo di anidride carbonica, accusata numero uno per l' effetto serra. (v. rav. )


MATERIALI POLIMERICI Uno strano piatto di spaghetti I vantaggi dell' intreccio delle lunghe molecole
Autore: GUAITA MARINO

ARGOMENTI: CHIMICA
LUOGHI: ITALIA
NOTE: 018

PIETRA, bronzo, ferro: sono i materiali usati nell' antichità per costruire gli arnesi di maggior pregio: armi da guerra e da caccia, attrezzi per l' agricoltura e per la lavorazione di altri materiali come il legno, le pelli, il corno, l' osso, le fibre tessili animali e vegetali. Materiali, questi ultimi (ma l' uomo di quei tempi non poteva saperlo) estremamente più complessi dal punto di vista chimico: sono, infatti, materiali polimerici, le cui molecole sono costituite da decine di migliaia di atomi, connessi tra loro da legami permanenti e organizzati in gruppi che si ripetono per migliaia di volte (polimero, dal greco, significa molte parti). Ai materiali polimerici naturali «antichi» si deve aggiungere la gomma introdotta in Europa dopo la scoperta dell' America ma diventata interessante come materiale solo con la messa a punto, a metà del secolo scorso, del processo di vulcanizzazione. Per valutare l' importanza della gomma basti pensare che senza di essa sarebbero stati impossibili i trasporti veloci su strada. La complessità delle molecole polimeriche (dette anche macromolecole, per sottolinearne le grandi dimensioni) è la causa principale del fatto che i chimici siano riusciti a capire come sono costruite, e ad imitare per sintesi quelle naturali, solo in tempi molto recenti. Dalla scoperta dei primi materiali metallici (così come quelli ceramici e vetrosi) dovettero infatti trascorrere millenni prima che, negli Anni Venti di questo secolo, il chimico tedesco Hermann Staudinger dimostrasse il carattere polimerico di queste sostanze. Ma poi si è registrato uno sviluppo straordinario dell' industria dei materiali polimerici: secondo un rapporto della Società Chimica Americana questa industria ha avuto, negli Usa e negli ultimi 50 anni, uno sviluppo del 13 per cento annuo, di 3 volte superiore a quello del prodotto nazionale lordo, coinvolgendo più della metà dei chimici che operano in generale nell' industria, e si stima che nel 2000 essa genererà un volume di affari di 350 miliardi di dollari. La situazione europea è sostanzialmente analoga, e si può quindi a buon diritto parlare dell' epoca attuale come di un' Età dei polimeri: basta guardarsi intorno per constatare che i materiali polimerici sono presenti dovunque, dai veicoli spaziali alla spazzatura (per toccare anche un tasto dolente). Per farsi un' idea di cosa implichi la complessità delle molecole polimeriche, si può ricordare che la molecola dell' acqua è costituita da un atomo di ossigeno legato a due atomi di idrogeno. In un polietilene (il materiale polimerico dei sacchetti della spesa, che è anche quello chimicamente più semplice) fatto di molecole di media grandezza, queste sono costituite da qualcosa come 2000 atomi di carbonio legati a formare una lunga collana, a ciascuno dei quali sono uniti due atomi di idrogeno. Se si vuole mettere un ugual numero di molecole di acqua e di polietilene in due recipienti, quello che contiene il polimero deve avere un volume 2000 volte maggiore di quello che contiene l' acqua. Sulla base di questa cospicua differenza si possono fare almeno due osservazioni. La prima è che le molecole polimeriche, anche se chimicamente uguali, possono differire l' una dall' altra per il numero di atomi che le costituiscono. Mentre le molecole d' acqua contenute in un bicchiere sono tutte formate da un atomo di ossigeno e da due atomi di idrogeno, il numero di atomi di carbonio e di idrogeno nelle molecole di polietilene di uno stesso sacchetto per la spesa varia entro limiti molto grandi (diciamo, da un decimo a dieci volte un valore medio) pur mantenendosi nel rapporto di 1 a 2. La seconda concerne la forma complessiva delle molecole: mentre nelle molecole d' acqua i due atomi di idrogeno e l' atomo di ossigeno sono sempre ai vertici di uno stesso triangolo, la catena di atomi di carbonio nelle molecole di polietilene è dotata di una notevole flessibilità, per cui la loro forma è riconducibile a quella di un filo di ferro incurvato casualmente lungo la sua lunghezza. Naturalmente, se le incurvature sono casuali, molecole diverse avranno forma diversa; tuttavia, se si immagina di osservare simultaneamente un numero molto grande di molecole, si può comprendere che le diverse forme siano mediamente riconducibili a quella di un dominio sferico, entro il quale si dipana la catena di atomi di carbonio secondo un cammino tortuoso e disordinato. Le dimensioni di questo dominio possono essere misurate sperimentalmente. Il risultato è che il dominio da associarsi ad una singola macromolecola è soltanto in minima parte occupato fisicamente dai suoi atomi e che, di conseguenza, i domini di molte macromolecole devono sovrapporsi affinché lo spazio risulti riempito adeguatamente dai loro atomi. Questo fa sì che le diverse macromolecole risultino fortemente aggrovigliate le une con le altre (un modello idoneo per una massa polimerica è un piatto di spaghetti molto lunghi e molto fini). Il fatto che i materiali polimerici siano costituiti da molecole lunghe, aggrovigliate e, al variare della temperatura, più o meno flessibili, è quanto si deve sapere per l' interpretazione quantitativa dei loro comportamenti peculiari, che è lo scopo della scienza dei materiali polimerici, scienza in cui confluiscono molta chimica e fisica, ma che è ormai autonoma rispetto a queste discipline. Marino Guaita Università di Torino


SCAFFALE King Alexander, Schneider Bertrand, «Questioni di sopravvivenza», Mondadori
Autore: VERNA MARINA

ARGOMENTI: ECOLOGIA, LIBRI
LUOGHI: ITALIA
NOTE: 018

IL Club di Roma è stato impopolare per una ventina d' anni. I suoi rapporti, per quanto acuti e attendibili, subivano la sorte di tutti i messaggi scomodi: un cortese mutismo. Questo però non ha scoraggiato i suoi battaglieri cento membri, anzi. L' ultimo rapporto porta la firma del chimico inglese Alexander King (cofondatore del Club e suo presidente dal 1984 al 1990) e del suo segretario Bertrand Schneider. Si intitola «Questioni di sopravvivenza: la prima rivoluzione globale e il futuro dell' umanità » ed è articolato in due parti: nella prima, i problemi mondiali e le principali trasformazioni degli ultimi vent' anni; nella seconda, soluzioni, iniziative, proposte. Isolare le singole questioni, sperare di neutralizzarne la complessità affrontandole separatamente non è solo sbagliato. Ormai è impossibile: la loro interconnessione richiede un approccio globale scientifico, certo ma soprattutto morale. Senza la solidarietà, le cose sono destinate a precipitare irreversibilmente. E questo non lo dicono gli uomini di Chiesa: lo dicono gli uomini di scienza. Se non si entra nella logica dello sviluppo sostenibile e quindi della rinuncia a qualche cosa ci sarà una catastrofica rottura tra l' uomo e l' ambiente. O una ancor più catastrofica guerra tra i ricchi del Nord e i poveri del Sud.


SCAFFALE Goldsmith Edward, «La grande inversione», Franco Muzzio
Autore: VERNA MARINA

ARGOMENTI: ECOLOGIA, LIBRI
LUOGHI: ITALIA
NOTE: 018

E' ricco, colto, battagliero. Discusso, ovviamente, ma anche popolare. Tra gli ambientalisti, Edward Goldsmith rappresenta il radicalismo più estremo: è l' alfiere delle scelte che si dovrebbero fare ma costano troppo per prenderle sul serio. Ha fondato una rivista leggendaria, «The ecologist» e la dirige da più di vent' anni. Le parole chiave del suo pensiero sono tre: sostenibilità, stabilità, deindustrializzazione. Come i membri del Club di Roma, anche lui sa che la scienza, da sola, non potrà mai toglierci dai guai. D' altronde, i problemi non sono nuovi e la storia ce li ha già messi sotto il naso, a quanto pare inutilmente L' impero romano, ad esempio, non si sfasciò perché arrivarono i barbari, ma i barbari arrivarono perché c' era una situazione di degrado sociale e ambientale che permise loro di passare. E, allora come oggi, la classe al potere scelse di applicare espedienti a breve termine per non affrontare quei cambiamenti radicali che, per i suoi interessi, non erano nè opportuni politicamente nè convenienti economicamente. Questo scrive Goldsmith come introduzione al suo ultimo libro tradotto in italiano, «La grande inversione: la deindustrializzazione della società », una raccolta di sette saggi sulle malattie della società industriale. La scelta è caduta su quelle di tipo più politico che scientifico. Si parla infatti di istruzione scadente, disoccupazione, cattiva salute, guerra. L' ultimo capitolo è dedicato all' inquinamento ambientale Tra le ragioni per cui la nostra società non riesce a risolvere i suoi problemi, scrive ancora Golsdmith, c' è anche l' approccio riduzionista della scienza moderna e la frammentazione del sapere, che ci fanno vedere le cose isolate l' una dall' altra anziché unite in un medesimo quadro. D' altro canto, questo quadro unitario non lo vogliamo proprio guardare. Se lo facessimo, dovremmo arrivare alla conclusione che il disastro ambientale è l' inevitabile effetto collaterale del progresso e che i due si ridurranno solo in parallelo. Una conclusione che pochi sono disposti a prendere in considerazione, preferendo illudersi che da qualche parte esista ancora una reale alternativa.


SCAFFALE Miraglia Ferruccio, «Progetto Nascere», Rizzoli
Autore: VERNA MARINA

ARGOMENTI: MEDICINA E FISIOLOGIA, LIBRI
LUOGHI: ITALIA
NOTE: 018

Tutto sul parto e la nascita: un manuale classico, arricchito di quindici nuovi capitoli sugli aspetti antropologici e le dinamiche affettive connesse con la gravidanza. Marina Verna


CLIMA Fa caldo e nel 2000 pioverà di più Un' indagine nel triangolo industriale Pioggia e aridità sono sempre cicliche
Autore: BIANCOTTI AUGUSTO

ARGOMENTI: METEOROLOGIA
LUOGHI: ITALIA
TABELLE: G Grafico climatico per precipitazioni e temperature dal 1880 al 1985
NOTE: 019

IL curioso andamento di quest' annata meteorologica fa giustizia delle voci allarmate di chi pensava l' Italia avviata verso regimi sahariani. A un inverno aridissimo è seguito un maggio torrido e un giugno tra i più umidi del secolo: l' altissimo numero di giorni con precipitazioni (più di venti) ha creato condizioni pluviometriche di tipo più atlantico che mediterraneo o temperato, com' è invece tipico dei domini climatici nei quali l' Italia è inserita. Ai tre ultimi anni, caldi e secchi, tiene dunque dietro un 1992 che torna nella norma, se di norma si può parlare, a proposito del tempo. Proprio per vederci un po' più chiaro, e in preparazione del prossimo convegno internazionale di climatologia che si terrà a Digione a fine estate, sono state riviste le bucce all' andamento ultrasecolare del clima complessivo nel «triangolo industriale» del Nord Italia, l' area che per prima nel nostro Paese dovrebbe risentire dell' eventuale effetto serra dovuto all' emissione in atmosfera di anidride carbonica e di altri gas critici L' analisi è stata possibile visto che le serie delle temperature e delle precipitazioni a disposizione in questa zona sono lunghe e sufficientemente attendibili. Sono stati analizzati i dati dei tre vertici del triangolo: Milano Brera, dove le misure pluviotermiche sono rilevate dal 1790; Torino, con dati pregressi fin dal 1787, e Genova la cui serie inizia dal 1833. Ad essi sono stati aggiunti quelli di altre località come Moncalieri (1866 1991 ), Bra (1862 1991), Cuneo (1877 1991), Chiavari (1833 1991). L ' analisi comparativa attuata attraverso l' indice di anomalia standarizzata, rivela non poche sorprese. La temperatura è particolarmente bassa negli ultimi vent' anni del secolo scorso; poi segue un rapido riscaldamento dell' atmosfera che culmina nei decenni 1920 30 e 1940 50. In seguito, la tendenza si inverte e torna il fresco, in particolare fra il 1970 e il 1980. Il freddo della fine ' 800 è l' ultimo colpo di coda della piccola età glaciale, il gelo di tre secoli che aveva attanagliato l' Europa fra il 1550 e il 1850. L' altra breve fase fresca più recente trova riscontri altrettanto generali. Si sa che, fra il resto, portò alla diminuzione di un grado centigrado della temperatura delle acque dell' Atlantico attorno ai 45 gradi di latitudine Nord, e a un aumento mai visto dei passaggi di iceberg di fronte all' osservatorio di Cape Cod, la più vecchia stazione di avvistamento del Nord Est della costa americana. I sintomi parevano così generali che la pubblicistica di quegli anni si interrogava circa la possibilità del ritorno di un' era glaciale. Anche il caldo culminato una prima volta fra il ' 20 e il ' 30 si ripropone, negli stessi anni, ben lontano dalla Padania: anche in America quelli furono gli anni della grande siccità; la terra riarsa delle grandi praterie, il «dust bowl», la tazza di polvere erosa dal vento dell ' Ovest, si sollevò in nuvole dense che oscurarono il sole fino alle città del Midwest, al punto che si paventò la desertificazione di una vasta plaga del Paese. Nell' insieme il trend della serie termica è positivo, a dimostrare come nell' ultimo secolo il riscaldamento dell' aria sia fenomeno regionale, anche se in modo più esitante e discontinuo di quanto non si dica. Le precipitazioni mostrano una dovizia particolare fino al 1920, poi un' alternanza vistosa fra decenni secchi (gli Anni 20, 40, 60, 80) e decenni umidi (gli Anni 30, 50, 70). L' abbondanza di pioggia e neve a cavallo del 1900 può a sua volta essere l' ultima eco della lunga fase boreale dalla quale l' Europa intera stava uscendo. Se la tendenza all' alternanza di momenti aridi con periodi umidi verificata negli ultimi sessant' anni dovesse continuare anche nel futuro prossimo, allora il primo scorcio di quest' estate potrebbe essere il... tuono che annuncia le piogge dei prossimi anni. La sintesi dello stato meteoclimatico nell' area italiana più esposta agli effetti dell' impatto antropico sarà un ottimo punto di riferimento per altre ricerche avviate un po' ovunque, dal Circolo Polare Artico alle coste africane. Al momento è noto che l' incremento termico è generale, anche nelle stazioni più occidentali dell' Eurasia, nei Paesi Baschi e in Portogallo, dove i venti atlantici dovrebbero fare affluire l' aria pulita degli spazi oceanici, di certo la meno contaminata dai gas serra prodotti dall' uomo. La ciclicità delle precipitazioni nel nostro secolo, che non pare una costante spostandosi verso Nord, si ripropone invece nel Midi francese e sull' altra sponda del Mediterraneo, ad Algeri, dove esiste una delle poche serie meteorologiche ultracentenarie del continente. A Digione, e prima ancora a Tolosa nel convegno internazionale di meteorologia dei primi di settembre, saranno portati altri elementi di conoscenza alla costruzione ancora fragile della previsione climatica a lungo termine, un angolo di scienza da esplorare ancora a fondo, ma almeno ben frequentato dalla ricerca italiana. Augusto Biancotti Università di Torino


ADOZIONI INCONSAPEVOLI Il pulcino è mio o tuo? Nella Pianura Padana le cornacchie nidificano così vicine da creare equivoci «Costa» meno allevare il figlio di un altro che difendere un proprio territorio
Autore: INGLISA MARISA

ARGOMENTI: ETOLOGIA, ANIMALI
NOMI: BAGLIONE VITTORIO, PIERI MONICA, BOGLIANI GIUSEPPE
LUOGHI: ITALIA
NOTE: 019

COME si comporta una coppia di cornacchie grigie quando, durante l' allevamento della propria prole, arrivano a far visita nel suo territorio anche altri cornacchiotti, affamati figli del dirimpettaio? A porsi la domanda sono stati Vittorio Baglione, Monica Pieri e Giuseppe Bogliani del Dipartimento di biologia animale dell' Università di Pavia, che hanno indagato i meccanismi di riconoscimento della prole dopo l' involo dal nido. Negli uccelli territoriali, come la cornacchia grigia (Corvus corone cornix), il riconoscimento della prole è indiretto e legato al contesto spaziale; se i nidi sono ben distanziati e i giovani appena involati non si spostano molto, è evidente che non è necessario sviluppare raffinati meccanismi di riconoscimento. Ma nella Pianura Padana, dove a partire dagli Anni Settanta la specie è aumentata notevolmente e l' estensione dei pioppeti è andata via via riducendosi per lasciar posto alle colture intensive di riso e di mais, le cornacchie nidificano a stretto contatto d' ala, concentrandosi sui pioppi rimasti in questa area sempre più povera di alberi d' alto fusto. Nella Padania Nordoccidentale i ricercatori hanno rilevato una media di 6, 4 nidi per chilometro quadrato, cioè una densità molto più alta di quella conosciuta per le cornacchie dell' Europa del Nord (1, 9 2, 5 nidi per chilometro quadrato). L' alta densità di popolazione e la grande disponibilità alimentare offerta dall' ambiente (soprattutto dalle risaie) hanno influenzato l' organizzazione sociale delle cornacchie padane che, a differenza delle sorelle che vivono in Scozia, Svezia e Germania, non difendono veri e propri territori, ma solo una piccola area intorno al proprio nido, limitandosi a proteggere le uova e i pulcini. In una simile situazione ecologica, infatti, risulta più vantaggioso spartire le abbondanti risorse alimentari con le altre cornacchie, piuttosto che spendere tempo ed energie per rivendicare l' uso esclusivo di un territorio. Inoltre, le fluttuazioni poco prevedibili nella produttività dell' ambiente, dovute al continuo e relativamente veloce alternarsi delle diverse pratiche agricole, rende ancor più svantaggiosa la strategia territoriale: una risaia temporaneamente asciugata rappresenta sì una abbondante fonte alimentare, ma una risorsa alquanto effimera su cui contare. In un' area di studio di 9 chilometri quadrati, compresa fra i comuni di Pavia, Carbonara Ticino e Zerbolò, gli studiosi hanno marcato con targhe numerate tutti i piccoli nei nidi di cornacchia grigia. Su 13 nidiate seguite in modo intensivo sono stati osservati 4 casi di adozione di giovani estranei, provenienti da nidi vicini, da parte di 2 coppie adulte con prole propria. Allevare figli altrui riduce certamente il successo biologico dei riproduttori: come mai, allora, la selezione naturale non ha perfezionato nella cornacchia il meccanismo di riconoscimento parentale, permettendole in tal modo di ridurre l' incidenza di un fenomeno così sfavorevole? I tre ricercatori ritengono che il fenomeno dell' adozione sia in relazione alle particolari condizioni degli ambienti padani. Le cornacchie, che in normali condizioni demografiche mostrano una organizzazione di tipo territoriale, si troverebbero «impreparate», da un punto di vista adattativo, a questa nuova situazione: in particolare, il loro meccanismo di riconoscimento parentale, evolutosi in condizioni che rendono molto improbabile uno scambio di pulcini nel periodo successivo all' involo, si rivelerebbe decisamente inadeguato di fronte alla elevata densità di coppie nidificanti e non permetterebbe ai riproduttori di evitare quegli errori nell' identificazione della propria prole che stanno alla base dei fenomeni di adozione inconsapevole. Maria Inglisa


IL PARADOSSO DEL NEMATODE ELEGANTE E se trecento figli valessero più di cinquecento? Il successo riproduttivo è di chi si moltiplica di meno
Autore: ZULLINI ALDO

ARGOMENTI: BIOLOGIA
NOMI: LACK DAVID
LUOGHI: ITALIA
NOTE: 019

LA natura è piena di misteri, ma ci sono almeno tre specie di animali che gli scienziati, senza falsa modestia, possono dire di conoscere bene: l' uomo (Homo sapiens), il moscerino della frutta (Drosophila melanogaster) e il Caenorhabditis elegans. E' quasi un secolo che il moscerino della frutta viene studiato nei laboratori di genetica di tutto il mondo gli è stata perfino dedicata un' autorevole rivista scientifica. E se oggi la biologia è una scienza di avanguardia, lo si deve in gran parte a lui. Da alcuni anni una terza specie è entrata a far parte del «club» degli animali più studiati: è il nematode elegante, il microscopico vermetto trasparente Caenorhabditis elegans (solitamente abbreviato in C. elegans). Di lui si sanno già tantissime cose. Lungo un millimetro, è fatto di 1031 cellule somatiche e i suoi cromosomi possiedono circa tremila geni. In cinque anni di intenso lavoro (terminato nel 1980) un ricercatore tedesco e uno inglese sono riusciti a seguire lo sviluppo di tutte le cellule di questo verme, marcandole e identificandole a una a una. Hanno così ottenuto la genealogia cellulare completa, dalla fecondazione fino alla nascita dell' individuo. Con nessun altro animale è mai riuscita un' impresa simile. Il nematode elegante, come la drosofila, è ormai diventato un «animale domestico» della scienza. Viene allevato e studiato in molti centri di ricerca quale «modello biologico» ideale per affrontare i misteri della materia vivente. Studi recenti su questo vermetto gettano nuova luce sull' importante problema biologico della strategia riproduttiva. Vediamo di che si tratta. Ogni specie animale o vegetale dedica una parte delle proprie risorse alla produzione di uova e di spermatozoi. In altre parole: la femmina di ogni specie produce un certo numero, più o meno costante, di figli. Per esempio, ogni anno una mucca ne produce uno un gabbiano tre, una vipera quindici, un ratto cinquanta, una mosca novecento e un' aringa trentamila. Si tratta, naturalmente, di valori medi soggetti a una certa variazione. La teoria dell' evoluzione afferma che, nella lotta per l' esistenza, sopravvivono solo le specie che riescono a riprodursi di più. Pertanto è lecito chiedersi: perché non assistiamo, allora, a una gara continua a chi fa più figli? Perché, per esempio, mamma pettirosso depone da cinque a sette uova per covata, e non di più ? Oggi, grazie agli studi del grande ornitologo David Lack, abbiamo la soluzione del problema: la «razza» di pettirossi che depone meno di cinque uova per covata si è estinta, alla lunga, per la scarsità dei discendenti. Ma anche i pettirossi che tendono a deporre troppe uova vanno incontro a un fallimento evolutivo. Infatti i genitori non ce la fanno a sfamare una covata troppo numerosa e così i loro piccoli crescono stentatamente e muoiono anzitempo. Risultato: lo sforzo riproduttivo del pettirosso finisce per stabilizzarsi, per selezione naturale, intorno alle sei uova per covata. La tendenza a deporre tante o poche uova è infatti un importante carattere ereditario. Soltanto chi possiede il carattere «giusto» può lasciare numerosa discendenza ed avere successo evolutivo. Un po' diverso è il problema per gli animali che non curano i propri piccoli. In questo caso altri meccanismi intervengono a limitare la quantità di prole. Uno di questi meccanismi, per l' appunto, è stato da poco scoperto nel nematode elegante. Va detto innanzitutto che questa specie è per lo più ermafrodita: consta cioè di individui ambisesso, nel senso che ciascuno produce sia spermatozoi, sia uova. E' interessante il fatto che il C. elegans, caso raro in natura, pratichi di regola l' autofecondazione. In un primo tempo il verme porta a maturazione gli spermatozoi (funziona cioè da maschio). Poi, quando ne ha pronti circa trecento, cambia tattica e fabbrica parecchie centinaia di uova, comportandosi da femmina. (In questi animali, sia detto tra parentesi, non c' è molta differenza tra le dimensioni delle uova e quelle degli spermatozoi). Il risultato finale sarà che trecento spermi feconderanno altrettante uova causando la nascita di trecento figli. Ma veniamo alla scoperta di cui si diceva. Sono stati scoperti individui mutanti di C. elegans che funzionano da maschi per un tempo più lungo. Così facendo fabbricano un maggior numero di spermatozoi (cinquecento invece che trecento). Dopo di che, come nel caso precedente, si mettono a produrre centinaia di uova. Risultato finale: cinquecento figli. I ricercatori che hanno studiato questo caso si aspettavano che il ceppo di individui mutanti si moltiplicasse con grande velocità, dato il gran numero di figli. Inoltre, prima o poi i vermi mutanti dovrebbero diventare tanto numerosi da soppiantare gli altri. E invece accade esattamente l' opposto. Perché ? Indagini più approfondite hanno messo in evidenza che la maturazione di 500 spermi, invece che 300, richiede due ore mezzo in più. Le uova, perciò, inizieranno a maturare con questo ritardo. Ed anche i figli nasceranno più tardi. Due ore e mezzo non sembrano un gran che, ma per un verme che ha un tempo di generazione di soli tre giorni sono molte. Anzi, troppe, perché, fatti i conti, l' intera formazione della progenie segue un ritmo più lento e alla fine questo ceppo mutante si riduce a diventare una minoranza. Sembra un paradosso, ma i vermi che fanno più figli finiscono per moltiplicarsi di meno. Detto in altre parole, risultano meno adatti all' ambiente. Il punto delicato dell' intera faccenda sta nel momento in cui il verme smette di fare gli spermi per cominciare a produrre uova. E' importante che questo «interruttore» (switch) sessuale venga azionato al momento giusto. In caso contrario, anche se si producono più figli, si finisce per rallentare le nascite dell' intera discendenza. E a essere battuti dalla concorrenza di ceppi di vermi più efficienti. La sopravvivenza e l' evoluzione dei viventi dipende da molti meccanismi che, come questo, sembrano a tutta prima poco importanti Soltanto lo studio attento dei fenomeni biologici può avvicinarci alla comprensione della «logica» del vivente. E, a questo proposito anche un microscopico verme da laboratorio può essere d' aiuto. Aldo Zullini Università di Milano


CASI DI USURA I denti del fumatore di pipa
Autore: GIROTTI MARILENA

ARGOMENTI: ANTROPOLOGIA E ETNOLOGIA
LUOGHI: ITALIA
NOTE: 020

USIAMO i denti solo per masticare? Possiamo tranquillamente dire di no: questi organi, di cui ci ricordiamo soltanto quando dobbiamo andare dal dentista e che abitualmente associamo all' attività masticatoria, vengono utilizzati anche dall' uomo per compiere numerose azioni della vita quotidiana. Possiamo averne una conferma osservando alcuni caratteri fisiologici, parafisiologici o anche patologici che essi possono presentare. Tra questi, uno dei più significativi è l' usura, la cui entità e il cui aspetto (specie se assume forme peculiari) sono strettamente legati, oltre che all' alimentazione, all' attività lavorativa o alle abitudini «viziose» del soggetto. L' usura, fenomeno fisiologico dovuto principalmente all' attività masticatoria, è caratterizzata dalla progressiva riduzione in altezza della corona dentaria, la parte del dente che noi vediamo. Questa riduzione è dovuta all' assottigliamento dello smalto: inizialmente limitato ad alcune zone della superficie occlusale del dente, in seguito si estende a tutta la superficie, e alla fine porta alla sua completa scomparsa. A mano a mano che lo smalto viene asportato compare la dentina, più conosciuta come avorio. Nelle forme più gravi si arriva all' apertura della camera pulpare, una forma patologica spesso concausa di malattie del periodonto. In questi casi l' usura, soprattutto quando fa assumere alla superficie coronale morfologie peculiari, rappresenta con molta probabilità il risultato di un' attività extralimentare. Nella storia evolutiva dell' uomo si può infatti osservare quanto i denti siano stati impiegati per svolgere funzioni pratiche. Nelle popolazioni preistoriche e protostoriche, e in quelle che possiamo definire «primitive», si può dire che i denti rappresentassero e rappresentino una vera e propria «terza mano»: sono usati, ad esempio, per strappare, da foglie o da steli, fibre vegetali destinate alla costruzione di canestri e di reti da pesca, o per triturare sostanze di origine vegetale con proprietà terapeutiche per farne medicamenti. Si conoscono anche casi in cui i denti erano usati per strappare la carne che in seguito veniva fatta essiccare ed era conservata per i periodi in cui la caccia non era possibile. Tra le popolazioni attuali che vivono lontano dal mondo «civilizzato» , gli esquimesi si servono dei denti per strappare e tagliare il pesce da essiccare, ammorbidire le pelli con le quali vengono confezionati gli indumenti, aprire bidoni di benzina, sorreggere oggetti quando le mani sono occupate. Queste abitudini determinano, soprattutto nelle donne, una usura molto marcata che porta alla completa scomparsa della corona. La tendenza ad adoperare i denti come strumento decresce nel corso della storia a mano a mano che si affermano le nuove tecnologie. Ancora oggi, però , è possibile riscontrare una correlazione tra l' attività lavorativa del soggetto e la sua situazione dentaria. Caratteristiche sono, infatti, le usure che si osservano in alcuni artigiani, come i sarti che tagliano il filo con gli incisivi, i calzolai, i tappezzieri, gli elettricisti che hanno l' abitudine di tenere tra i denti chiodi e puntine, i soffiatori di vetro che sostengono il cannello con cui fabbricano gli oggetti artistici, i suonatori di strumenti a fiato che usano gli incisivi con l' imbocco del loro strumento, i parrucchieri che tengono e aprono le pinzette con i denti. Ognuno di noi, indipendentemente dal lavoro che svolge, ricorre ai denti nell' arco della giornata per compiere numerose azioni e spesso li adopera anche quando non sarebbe opportuno. Ci sono usure tipiche, legate ad abitudini che fanno assumere ai denti morfologie inconfondibili: il vizio di mordicchiare la penna, tipico di studenti o impiegati, con il tempo può originare una piccola incavatura a livello degli incisivi. La deformazione più nota e caratteristica, però, è quella che dei fumatori di pipa: l' abitudine di sorreggerla tra canino e premolare determina negli anni un profondo incavo. Marilena Girotti


I DIRITTI DEGLI ANIMALI Chi si batte contro la bistecca tenera? La vita dei vitelli devastata dagli anabolizzanti
Autore: BIOLLATI BARTOLOMEO

ARGOMENTI: BIOETICA, ANIMALI, ALIMENTAZIONE, ZOOTECNIA
LUOGHI: ITALIA
NOTE: 020

ATTRATTI dal miraggio del primato o, più banalmente, per motivi estetici, i campioni dello sport e i cultori del body building cedono talvolta alla tentazione di usare gli anabolizzanti, potenti induttori dello sviluppo delle masse muscolari. Anche gli animali corrono il rischio di essere trattati con queste sostanze, ma in questo caso il supermuscolo è perseguito per motivi alimentari e commerciali, alla ricerca della bistecca più magra, tenera e chiara. L' azione anabolizzante, per le sue applicazioni, rappresenta l' aspetto meno nobile di alcuni farmaci (sostanze ad azione ormonale, antiormonale, mediatori chimici) che spesso richiama l' attenzione dell' opinione pubblica, suscitando le preoccupate proteste dei consumatori. Essa viene scientificamente definita come la capacità di una molecola di incrementare l' anabolismo delle sostanze azotate, cioè di aumentare la produzione di tessuto muscolare e ridurre la deposizione di tessuto adiposo. La biotecnologia ci prospetta continuamente molecole in grado di trasformare animali di costituzione scadente in soggetti dal fisico prestante e muscoloso, siano essi vitelli, polli, tacchini, suini, conigli, o altro. Ma l' ipersviluppo della massa muscolare indotta dagli anabolizzanti è accompagnato da importanti effetti collaterali più o meno immediati. Gli anabolizzanti hanno la stessa azione di ormoni e di altre sostanze prodotte dall' organismo e ne regolano il complicato equilibrio endocrino e le funzioni metaboliche. Gli steroidi sessuali (estrogeni, progesterone e testosterone) regolano lo sviluppo e la funzione dell' apparato genitale e influenzano i caratteri sessuali secondari. Gli ormoni tiroidei, ad esempio, regolano il metabolismo basale. E' chiaro quindi che gli anabolizzanti non esercitano un' azione così selettiva sul muscolo ma i loro effetti si ripercuotono su varie funzioni organiche degli animali trattati. L' uso degli steroidi sessuali a scopo zootecnico provoca dunque gravi squilibri ormonali e conseguenti alterazioni dell' apparato genitale. Così i maschi si ritrovano con i supermuscoli (che diventeranno superbistecche), ma con i testicoli rimpiccioliti. Le femmine impuberi manifestano segni estrali: le ovaie, rese impazzite dal farmaco, si attivano precocemente ritrovandosi all' improvviso adulte e cicliche, oppure degenerano i cisti follicolari. L' utero si ingrossa e si riempie di muco, le mammelle dei giovani animali si gonfiano e secernono latte con grande anticipo rispetto ai tempi fisiologici. I composti tireostatici, responsabili della bistecca annacquata, causano invece l' insorgere del gozzo. I cortisonici, che stimolano l' appetito e rafforzano la resistenza agli stress, determinano la scomparsa del timo per la loro azione immunodepressiva. I beta agonisti, usati normalmente per la cura dell' asma e di altre patologie respiratorie e genitali, quando usati a dosi zootecniche causano agitazioni, tachicardia e interferiscono con l' equilibrio endocrino e le funzioni degli organi sessuali. Meno chiari sono gli effetti sul consumatore, il quale ingerisce e assimila i residui presenti nelle carni. Mentre per gli estrogeni di sintesi (dietil stilbestrolo, Des) è stato evidenziato un effetto cancerogeno, sulla reale tossicità dei cosiddetti ormoni naturali (come il 17 beta estradiolo) c' è battaglia tra gli stessi scienziati. Gli Stati Uniti consentono l' impiego di anabolizzanti a scopo zootecnico, la Cee lo proibisce. In Italia sin dalla metà degli Anni 80 è in atto una sistematica lotta sanitaria contro l' uso degli anabolizzanti, che ha sortito considerevoli effetti. E' certo comunque che il loro uso, oltre ai problemi sanitari, comporta implicazioni morali sia nei confronti dell' uomo che degli animali. I temi della sofferenza e dei diritti degli animali, spesso proposti all' attenzione del grande pubblico quando si parla di animali d' affezione o da laboratorio, sono trascurati quando si tratta degli animali da fattoria per la produzione della carne. In nome della «bistecca tenera» si ammettono sistemi di allevamento che adottano «tecnologie dure», come nel caso dell' allevamento del vitello a carne bianca, dove i ruminanti, dotati dalla natura di quattro stomaci per la digestione della cellulosa, sono costretti a comportarsi come monogastrici. Al fine di ottenere la cosiddetta «carne bianca», durante i cinque mesi che seguono la nascita essi vengono alimentati esclusivamente con latte artificiale (digerito dal quarto stomaco, mentre gli altri rimangono inattivi e atrofici). Infine sono macellati ancora impuberi a un peso di circa 250 chili, che corrisponde alla metà di quanto potrebbero raggiungere se allevati con i metodi tradizionali. Quando i vitelli vengono allevati fraudolentemente con anabolizzanti, alla sofferenza dovuta all' ambiente di allevamento si aggiunge uno sconvolgimento endocrino che si ripercuote sulle funzioni di molti organi, non ultimo il sistema nervoso, e che non allieta certo la breve vita di questi animali, tutta orientata al benessere umano. Non possiamo però colpevolizzare solo l' allevatore. Quanto succede nella zootecnia moderna è conseguenza diretta di una legge di mercato: sono le scelte del consumatore a guidare le tecniche di produzione e di allevamento. Noi, consumatori di prodotti di origine animale, potremmo condizionare le tecnologie di allevamento richiedendo «carni» che comportino sistemi meno crudeli, pur puntando alla qualità dell' alimento. Bartolomeno Biolatti Università di Torino


NEUROTRASMETTITORI Nel buio della psiche La dopamina, coinvolta nelle attività mentali superiori, avrebbe più recettori Questa scoperta potrebbe offrire nuove spiegazioni della schizofrenia
Autore: MARCHISIO PIER CARLO

ARGOMENTI: MEDICINA E FISIOLOGIA, RICERCA SCIENTIFICA
LUOGHI: ITALIA
TABELLE: D
NOTE: 020

CHE il cervello umano sia una struttura di straordinaria complessità è noto a tutti. Che sia ancora potenzialmente più complesso di quanto non pensassimo è cosa che fa notizia. Mi riferisco a un articolo apparso su Nature del 9 luglio scorso, che riporta l' esistenza di molte differenti forme di recettore per la dopamina nel cervello umano, i quali indicano per questo recettore uno straordinario polimorfismo genetico. Tutti sanno, per essere stato l' argomento più volte trattato sulle colonne di Tuttoscienze, che le cellule nervose comunicano tra loro attraverso numerosi neurotrasmettitori, molecole di forma e natura diversa, che interagiscono con recettori situati sulla superficie cellulare e prevalentemente a livello di strutture specifiche chiamate sinapsi. La dopamina è uno di questi neurotrasmettitori e il suo recettore, scoperto una ventina d' anni fa, è stato a lungo studiato anche perché farmaci usati nel trattamento di malattie mentali o psicosi come la schizofrenia, interagiscono con questo recettore. Era pure noto da tempo che esistevano diverse forme di recettore per la dopamina, identificate sulla base della diversa sensibilità a farmaci diversi. La novità della scoperta riportata su Nature prende origine da uno studio a tappeto fatto usando tecniche raffinate di indagine genetica. Si è trovato che del recettore per la dopamina esistono moltissime forme che probabilmente derivano da un rimaneggiamento, ottenuto durante l' evoluzione con la tecnica del «taglia e cuci», di un unico gene primordiale. Il risultato è che neuroni diversi e individui diversi possiedono forme di questo recettore altamente polimorfiche. Questo fatto non è nuovo in natura, in quanto l' esistenza di forme diverse della stessa proteina è dato comune. La cosa straordinaria per i suoi aspetti filosofici è che il sistema della dopamina è prepotentemente coinvolto nel controllo del funzionamento della psiche umana e probabilmente in quello delle attività mentali superiori. Questo meccanismo finissimo si rompe in quella malattia tremenda che è la schizofrenia, dove i neuropsicofarmacologi si trovano a dover controllare con farmaci manifestazioni morbose con sintomi molteplici. La scoperta della molteplicità dei recettori per la dopamina apre nuovi orizzonti alla neurobiologia. Da una parte questa molteplicità di recettori, probabilmente ancora più vasta di quanto non si sappia ora, apre nuove strade allo studio delle genetica molecolare della schizofrenia e alla possibile comprensione delle sue cause. Dall' altra, apre orizzonti potenzialmente ben più ampi sulla comprensione dei meccanismi delle attività cerebrali superiori. L' uso dei potenti strumenti conoscitivi dell' espressione dei geni applicata a questi fenomeni di grande complessità potrebbe consentire di comprendere meglio come funziona qualla parte di noi che ancora ci sfugge quasi totalmente. Non dobbiamo però farci eccessive illusioni: come capita abitualmente, una scoperta scientifica più che dare risposte pone sempre un' infinita serie di nuove domande. Pier Carlo Marchisio Università di Torino


Ecco un cervello al lavoro La zona attivata, dove aumenta il flusso di sangue, cambia colore
Autore: M_VER

ARGOMENTI: MEDICINA E FISIOLOGIA, RICERCA SCIENTIFICA
LUOGHI: ITALIA
NOTE: 020

E ccolo com' è, il cervello che riceve uno stimolo: in questo caso, trattandosi di una luce improvvisa, è la zona posteriore, deputata alla vista, che si accende di un colore diverso. C' è stato un aumento dei livelli di ossigeno nel sangue, che si è tradotto in una leggera variazione del campo magnetico. Un apparecchio l' ha registrato e lo evidenzia, con una variazione di colore, nelle straordinarie immagini che arrivano dalla Scuola di Medicina dell' Università del Minnesota e dai Laboratori Bell dell ' AT& T. Raffigurano qualcosa di più della semplice anatomia del cervello, qualcosa di molto vicino al pensiero: il cervello al lavoro. La Tomografia a Emissione di Positroni (Pet) e la Risonanza Magnetica (Rmi) ci avevano già abituati a questo genere di immagini, ma la Bold (Blood Oxygen Level Dependent Imaging, immagini connesse con il livello di ossigeno nel sangue) è andata oltre. Il suo vantaggio è essenzialmente quello di non essere una tecnica invasiva come la Pet, che richiede un' iniezione di marcatori radioattivi da seguire nel loro cammino fino al cervello. Questa necessità di limitare l' esposizione alle radiazioni consente un numero molto basso di «scansioni» per ogni singolo individuo. Le mappe del cervello in azione ricavate in questi anni sono perciò inevitabilmente imprecise, costruite come sono su gruppi di individui e non su di un' unica persona. La Bold, sfruttando il rapporto tra sangue ed emoglobina, non ha problemi di pericolosità e può quindi prendere tutte le immagini consecutive che servono. Il risultato è il primo film di un' attività neuronale unitaria, ripresa dall' inizio alla fine. E' noto ormai da anni che il cervello è suddiviso in aree anatomiche distinte, specializzate nelle diverse forme di pensiero. Le immagini Bold permettono di fare la mappa cerebrale di una persona sveglia e quindi mentalmente attiva con un' accuratezza impossibile con le tecniche precedenti La tecnica è una variante della Risonanza Magnetica. Quando una determinata zona del cervello viene attivata, si può misurare l' aumentato flusso di sangue cercando le «isole» di sangue più ricco di ossigeno. L' emoglobina priva di ossigeno nota come «deossiemoglobina» è paramagnetica. Ciò significa che, quando si trova in un campo magnetico, aumenta leggermente l' intensità del campo vicino. L' emoglobina che contiene ossigeno invece non è paramagnetica, sicché quando nella zona è presente molta deossiemoglobina, il campo magnetico attorno al vaso sanguigno è leggermente alterato: è questa alterazione che risalta nelle immagini della Risonanza Magnetica. Dalla prima osservazione del fenomeno, nel 1989, a oggi, la Risonanza Magnetica è stata continuamente migliorata, con il risultato di ottenere una definizione delle immagini tanto alta da localizzare l' attività cerebrale con una precisione di millimetri. E' stata migliorata anche la qualità del contrasto tra emoglobina e deossiemoglobina. Ora i ricercatori vorrebbero misurare funzioni cognitive più elevate, come la moltiplicazione di due numeri o la creazione di immagini mentali. L' obiettivo finale è un computer sempre più perfetto ma anche un aiuto alla neurochirurgia. (m. ver. )




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