TUTTOSCIENZE 13 maggio 92


TECNOLOGIA HI FI Dcc, senti che musica] Ecco come sarà il mangiacassette digitale Il nuovo sistema è compatibile con i registratori analogici
Autore: BIANUCCI PIERO

ARGOMENTI: ACUSTICA, TECNOLOGIA
LUOGHI: ITALIA
NOTE: 069

PREPARIAMOCI a un' altra rivoluzione nel modo di ascoltare e registrare musica ad alta fedeltà. Tra qualche mese arriverà la cassetta magnetica digitale, in sigla Dcc, Digital Compact Cassette Quella vera, dicono i tecnici della Philips che l' hanno progettata. Perché qualcosa del genere esiste già ed è il Dat (Digital Audio Tape) messo in commercio dalla Sony due anni fa. Ma il Dat ha un formato diverso ed è incompatibile con i registratori e i walkman analogici oggi in uso: non si può pretendere che la gente butti nella spazzatura i 500 milioni di lettori di audiocassette sparsi nel mondo per acquistare altrettanti apparecchi con uno standard che non consente di utilizzare la vecchia nastroteca e che per di più non ha ancora un suo repertorio di materiale preregistrato. Nel 1982 Europa e Giappone Philips e Sony marciarono insieme e dai loro laboratori uscì il compact disc, quel Cd che ormai sta mandando in pensione i 33 giri di vinile. L' accordo su uno standard mondiale si è dimostrato vincente. E si è dimostrato vincente il sistema di riproduzione digitale su quello analogico: altissima dinamica del suono, niente rumore di fondo, perfetta separazione tra i due canali, quasi nullo il logorio dei dischi. C' era da aspettarsi, prima o poi, l' arrivo della tecnica digitale anche nella riproduzione e registrazione su nastro. Questa volta però i due giganti dell' elettronica non hanno firmato un patto di alleanza. Il risultato è che lo standard Sony ha battuto sul tempo quello europeo. Ma quest' ultimo sembra destinato a battere quello giapponese sul mercato. I tecnici europei sono partiti da alcune considerazioni molto pratiche: non solo circola mezzo miliardo di apparecchi a cassetta analogica, ma il 75 per cento di essi è destinato al solo ascolto (non ha cioè funzione di registratore) e si vendono ancora 640 milioni di cassette analogiche preregistrate all' anno. Ciò significa che, pur con tutti i suoi limiti in fedeltà di riproduzione, la cassetta audio convenzionale, nata in casa Philips trent' anni fa, è ancora più che vitale. Di qui la necessità di garantire ai consumatori una transizione dolce dal sistema analogico a quello digitale, per prolungare la vita degli apparecchi e delle nastroteche esistenti. Vediamo le caratteristiche dei nuovi registratori che stanno per andare all' assalto del mercato Hi Fi. Dunque la Digital Compact Cassette permette di registrare e riprodurre in digitale, ma anche di ascoltare le vecchie cassette analogiche. Il sistema di codifica digitale, a 18 bit di risoluzione, promette secondo i tecnici una qualità del tutto simile a quella dei compact disc: staremo a sentire. L' autoreverse fa parte integrante del nuovo standard, per cui non sarà necessario girare la cassetta a metà ascolto: giunto alla fine, il nastro inverte la direzione di marcia, permettendo fino a due ore di ascolto ininterrotto. La tecnica digitale permette inoltre di visualizzare su un display le informazioni su ciò che si sta ascoltando e di accedere più rapidamente al brano desiderato. Il nastro, che ha la solita altezza di 3, 78 millimetri, è uguale a quello video, cioè ricoperto con 3 4 micron di biossido di cromo o di ossido di ferro e cobalto, su uno spessore totale di 12 micron (1 micron = 1 millesimo di millimetro). La registrazione digitale richiede 9 testine magnetiche. Altrettante sono necessarie per l' ascolto. Due testine convenzionali permettono l' ascolto delle cassette analogiche. Il sistema di codifica sviluppato alla Philips (Pasc) provvede alla trasformazione del segnale da analogico a digitale e da digitale ad analogico, all' individuazione e correzione degli errori di lettura, alla modulazione e demodulazione del canale, il tutto ottimizzato per il supporto magnetico, le cui caratteristiche ovviamente sono assai diverse dal supporto ottico del compact disc. Rispetto ai Cd, la cassetta digitale usa solo un quarto dei bit per la codifica del suono. Il processore Pasc divide il segnale audio in 32 sottobande di uguale ampiezza e le registra su 9 tracce parallele. La nona traccia è di servizio: contiene i dati ausiliari riguardanti l' ascolto. Ogni frame include 12. 288 byte di informazione, di cui 8192 occupati dalla codifica Pasc e 128 dal sistema di informazione. I rimanenti 3968 byte costituiscono la ridondanza di informazione necessaria per individuare e correggere gli errori di lettura. Il campionamento del suono avviene a 48 kHz: vale a dire che di ogni secondo di messaggio sonoro vengono prelevati 48 mila campioni, ognuno dei quali viene trasformato in cifre binarie corrispondenti alle caratteristiche del suono stesso (un po' come nel cinema ogni secondo di film corrisponde a 24 fotogrammi). Philips ha cercato la continuità anche dal punto di vista della produzione industriale delle cassette preregistrate: la duplicazione da master avviene a velocità 64 volte maggiore di quella di ascolto, come già si fa per le cassette analogiche. Infine, i dati tecnici ufficiali. Ovviamente il sistema è stereofonico. In teoria il campionamento a 48 kHz permette di registrare e riprodurre fedelmente suoni da 5 a 22 mila vibrazioni al secondo (ma l' orecchio umano non sente suoni sotto le 20 vibrazioni al secondo nè sopra le 12 15 mila). L' ampiezza dinamica è maggiore di 105 dB, wow e flutter sono quasi inesistenti. Nel passaggio dalla teoria alla pratica bisognerà però tenere presente che la catena dell' Hi Fi è composta da molti anelli: preamplificatore, amplificatore, cavi, diffusori. In ogni modo, tenendo conto che la Dcc si affermerà soprattutto negli impianti su auto, nei walkman e nei registratori portatili, il miglioramento rispetto alla qualità analogica sarà notevole, benché, per i noti motivi di compatibilità, la velocità del nastro rimanga quella delle cassette analogiche: 4, 76 centimetri al secondo. E il software? PolyGram è già al lavoro, da Vivaldi ai Dire Straits. Tra l' altro le nuove cassette saranno più protette e più resistenti. Il principio della registrazione magnetica ha quasi un secolo: nel 1898 il danese Valdemar Poulsen fu il primo a pensare di magnetizzare un supporto metallico tramite impulsi elettrici corrispondenti alle frequenze dei suoni da registrare. L' invenzione fu presentata all' Esposizione universale di Parigi del 1900. I primi registratori magnetici usavano un filo di ferro dolce La nuova tecnica però si impose solo dopo il 1927, quando l' americano O' Neill sostituì il filo di ferro con un nastro. Con la cassetta (1963), quella attuale è la quarta tappa della registrazione magnetica. L' ultima? Piero Bianucci


TECNOLOGIE DEL XXI SECOLO Tutte le invenzioni dei prossimi dieci anni Telematica e bioingegneria per una vita (forse) migliore
Autore: GIULIO CESARE DELLA MORTE

ARGOMENTI: TECNOLOGIA
LUOGHI: ITALIA
NOTE: 069

AEREI ipersonici, città sottomarine, robot babysitter, occhi bionici: sono alcune previsioni dei futurologi. Ma sarà proprio così il XXISecolo? Forse esagerano un po'. Ma è certo che molte scoperte e invenzioni miglioreranno la nostra vita. Vediamo quali. Il potenziamento delle trasmissioni via satellite, la diffusione della comunicazione mobile digitale (quella dei telefonini) e l' avvento delle reti integrate voce dati immagini avranno un enorme impatto. Si pensi agli obiettivi del programma europeo Prometheus: potremo ricevere, in tempo reale, informazioni su incidenti e ingorghi, punti di assistenza e percorsi alternativi. Speciali radar ci aiuteranno a evitare i tamponamenti. Un pilota automatico ci assisterà e, se avremo un malore o un colpo di sonno, fermerà la macchina in un posto sicuro. La telematica permetterà anche di gestire in modo integrato il traffico su rotaia, gomma, acqua, aria e i relativi servizi: dalla manutenzione dei mezzi al movimento delle merci, dall' assistenza ai passeggeri alla sicurezza. Con un unico biglietto, prenotato e pagato da casa attraverso il Videotel, potremo viaggiare alternando senza problemi vari mezzi di trasporto Facendo colazione, leggeremo il «giornale interattivo», già allo studio al Massachusetts Institute of Technology: in base ai nostri interessi, un microprocessore selezionerà le informazioni in arrivo dalle fonti consuete (radio, televisione, telefono, stampa) e confezionerà un quotidiano personalizzato. Il giornale interattivo apparirà sullo schermo del televisore. Potremo «sfogliarlo» in molti modi diversi: toccando una fotografia faremo partire un filmato, sfiorando un titolo richiameremo l' articolo. Il progetto è sponsorizzato da gruppi come Warner Bros, Abc, Nbc, Time Inc. e Apple. Anche la televisione diventerà interattiva: il computer seguirà i programmi dei vari canali e predisporrà per noi un palinsesto personale videoregistrabile su compact disc interattivi ad alta capacità, definizione e fedeltà. Passiamo alla medicina. I «fattori di crescita», polipeptidi che controllano lo sviluppo e la differenziazione delle cellule, costituiscono una delle aree di studio più promettenti. Il fattore di crescita nervosa (Ngf), scoperto dal Nobel Rita Levi Montalcini, potrebbe un giorno consentire il recupero funzionale dei traumatizzati spinali e la cura di molte malattie neurologiche (tipo morbo di Alzheimer). Ma i fattori di crescita potranno trovare applicazione anche in molti altri settori. Il fattore di crescita dei fibroblasti (Fgf) sarà utilizzato per accelerare la guarigione delle fratture ossee. E il fattore di crescita dell' epidermide (Egf) contribuirà a curare l' ulcera gastrica, le malattie della pelle e degli occhi e ad accelerare le riepitelizzazione cutanea negli ustionati. Lo studio del genoma umano consentirà di prevenire e forse di debellare molte gravi malattie ereditarie. La sostituzione dei geni alterati potrebbe facilitare l' eliminazione del morbo di Hungtinton, del retinoblastoma, della sclerosi laterale amiotrofica e della distrofia muscolare di Duchenne. Dalla salute allo spazio. Sebbene l' idea di vere e proprie fabbriche orbitanti attiri da sempre la fantasia di tecnici e scrittori, il costo dei lanciatori «a perdere» e delle missioni Shuttle non consentirà, nel medio termine, di realizzare infrastrutture industriali con volumi di produzione significativi. Non a caso il National Space Council americano ha drasticamente ridotto il budget per la stazione internazionale Freedom, il cui assemblaggio dovrebbe iniziare nel 1996. Per un bel po' dunque, dovremo accontentarci di piccoli laboratori per la sintesi e la sperimentazione di sostanze ad alto valore aggiunto, ma con volumi contenuti: proteine, catalizzatori e superconduttori a caldo. Lo spazio avrà importanti ricadute sulla robotica. Gli automi del Duemila saranno, molto spesso, simili a grossi insetti. Potranno muoversi con perizia e delicatezza e saranno abbastanza intelligenti da cavarsela nella maggior parte delle situazioni: sorveglieranno le centrali, esploreranno i fondali marini, soccorreranno le vittime delle catastrofi naturali, sventeranno gli attacchi terroristici. Potranno anche assistere gli anziani e gli ammalati: ma, considerata l' importanza dell' affetto nella cura delle persone più deboli, sarebbe meglio se continuassimo a pensarci noi. Giulio Cesare Della Morte


LO DICE «SCIENCE» In Italia i fondi «a pioggia» frammentano la ricerca e danno risultati mediocri
Autore: GIACOBINI EZIO

ARGOMENTI: RICERCA SCIENTIFICA, FINANZIAMENTO, PRODUZIONI, SONDAGGIO
ORGANIZZAZIONI: CNR
LUOGHI: ITALIA
TABELLE: T
NOTE: 069

IN aprile la rivista americana Science ha dedicato un numero speciale alla ricerca scientifica europea, confrontandola con le sorelle americana e giapponese. Gli articoli sono il risultato di interviste e studi di dieci giornalisti sguinzagliati in 15 Paesi europei a intervistare più di 300 scienziati, dalla fisica alla biologia. Le nazioni europee possono esser classificate dal punto di vista della qualità del prodotto scientifico e della loro produttività in quattro gruppi. Chi cerca di salvarsi e di emergere per raggiungere gli altri senza però farcela (l' Italia è prototipo di questo gruppo), chi cerca disperatamente di raggiungere non il gruppo dei migliori ma la media (i Paesi dell' Est, ad esempio l' Ungheria), chi cerca di rimanere in testa (la Svizzera e la Svezia) e chi sta declinando benché occupi ancora una posizione avanzata (l' Inghilterra). Circa la qualità, i tre grandi rimangono Francia, Germania e Inghilterra. Nella classe di bassa qualità e scarsa produzione vediamo nazioni come l' Irlanda, la Spagna e la Grecia. L' Italia fa classe a parte situandosi tra i Paesi scientificamente sottosviluppati e quelli avanzati. Per quanto riguarda la qualità degli articoli scientifici, in base al numero di citazioni internazionali siamo appena poco più su dell' Irlanda e dell' Ungheria, ma per numero di articoli sorpassiamo tutti i Paesi nordici, la Svizzera e l' Olanda. Il periodo di tempo analizzato è di un decennio, dal 1981 al 1990. Quali sono le cause della nostra mediocrità ? Non è difficile diagnosticarle (quindi è apparentemente facile curarle). Secondo il biologo Meldolesi «in Italia piovono i fondi, a grosse gocce e a piccole gocce, ma piove su tutti». Ciò viene confermato da Rossi Bernardi, presidente del Cnr: «Non c' è un singolo esempio di un buon ricercatore che non venga finanziato». Esaminiamo un attimo questi commenti. Il risultato della grande pioggia è che i gruppi di ricerca sono troppo piccoli e qualitativamente non raggiungono il livello necessario per gareggiare in campo internazionale. Scoraggiati, alcuni membri del gruppo se ne vanno all' estero o si dedicano ad altre attività. Il secondo punto, quello del «buon ricercatore», è critico. Come viene determinato il finanziamento? Science fa notare che l' Italia non ha ancora adottato il sistema universalmente riconosciuto come il meno erroneo e fazioso (non certamente l' ottimo): far esaminare severamente ogni proposta di finanziamento da un comitato di esperti nazionali e internazionali nel campo del progetto. Secondo lo stesso Ruberti, ministro della Ricerca scientifica, «non esiste una severa valutazione dei progetti e dei risultati». Questa può essere la causa della pioggia a piccole gocce in cui progetti di ricerca molto modesti possono ricevere un finanziamento a scapito di altri di maggiore qualità. Poiché l' Italia ha relativamente pochi scienziati, con l' avvento del Mercato comune potrebbe avvalersi anche di consulenti europei. Questo aumenterebbe non solo la qualità dello scrutinio ma anche il livello di imparzialità. Altre sono le cause citate negli articoli per le deficienze italiane, quali la mancanza di una rete efficiente di posti dopo laurea e la mancanza di centri di ricerca veramente internazionali che attirino i migliori ricercatori italiani ed europei. Ezio Giacobini Università del Sud Illinois


VOLO A VELA In cielo appesi a una fune Come si lancia un aliante con il verricello
Autore: BERNARDI MARIO

ARGOMENTI: AERONAUTICA E ASTRONAUTICA
LUOGHI: ITALIA
TABELLE: D
NOTE: 070

AL segnale di «pronto» il cavo si porta lentamente in tensione accarezzando l' erba del prato. Al «via» in meno di due secondi l' aliente è trascinato alla velocità di decollo e sfreccia verso il cielo su una rampa mozzafiato. L' assetto ripidissimo fa sparire l' orizzonte sotto la prua del velivolo lasciando al pilota solo una improbabile nuvoletta (non dimenticarsi di adocchiarne una prima del decollo... ) come labile riferimento di direzione. Col variometro a fondo corsa (siamo ad oltre 20 metri il secondo di velocità di salita) l' occhio sinistro regola l' assetto cercando di mantenere sui 45 l' angolo formato dall' ala col terreno mentre il destro si sforza di stabilizzare la lancetta dell' anemometro sui 120 chilometri l' ora. Le ali, inarcate come la superficie di un aquilone, modulano il fischio del vento mentre la lancetta dell' altimetro insegue quella del cronometro: 100... 200... 400 metri... 24 secondi...; ora il verricello dovrebbe trovarsi quasi a perpendicolo sotto l' aliante... la trazione cessa di colpo... appruo per ritrovare il solido riferimento dell' orizzonte... sgancio... Liberate dal sovraccarico aerodinamico della salita le ali si riallineano con la fusoliera mentre l' aliante sfoga in alto l' eccesso di velocità portandosi in assetto di veleggiamento. «... Poi su in alto al vertice del balzo/ esaurisce l' impeto del moto/ in ampi cerchi d' eleganza estrema/ come s' addice a chi domina il vuoto/ per il possesso di un divino dono». Questo modo d' iniziare la caccia alle ascendenze non è nuovo. Anzi negli Anni 30, prima che si generalizzasse l' impiego del traino aereo, il lancio al verricello ha rappresentato il mezzo più importante per la diffusione del volo a vela. Per realizzarlo ad una estremità del campo di volo si colloca il veicolo su cui è montato il verricello: è questo un tamburo azionato dallo stesso motore dell' automezzo che lo trasporta. Sul tamburo è avvolto un sottile cavo d' acciaio (lungo fino a 1500 metri) che viene srotolato e disteso fino a raggiungere, all' estremità opposta del campo, l' aliante pronto al decollo. Un dispositivo ad apertura comandata dal pilota, consente di agganciare il cavo all' aliante. Al «via», trasmesso per radio o con segnalazione ottica, l' operatore al verricello dà piena potenza al tamburo che, riavvolgendo rapidamente il cavo, fornisce all' aliante la trazione per la rapidissima salita. Giunto l' aliante quasi sulla verticale del verricellista questi toglie bruscamente potenza, il pilota dell ' aliante avverte il calo di trazione, sgancia il cavo e si porta in assetto di volo veleggiato. La descrizione non rende giustizia alla rapidità e all' impegno di una sequenza che prima dell' ultima guerra ha rappresentato un mezzo di propaganda ma anche di selezione per gli aspiranti alle squadriglie militari. Chi superava da solista la prova del verricello in genere non trovava difficoltà nell' addestramento su aerei a motore. Purtroppo dai 150 200 metri di quota raggiungibili con i rudimentali verricelli e con gli alianti di allora il volo si riduceva ad una planata di qualche minuto: quanto bastava per un contagioso assaggio di cielo e per apprendere l' uso dei comandi. Perciò dopo il conflitto, quando il volo a vela assunse carattere segnatamente sportivo e taglio agonistico, l' interesse ai voli di grandi prestazioni e la caccia ai primati privilegiarono le partenze a traino aereo: a rimorchio di un aereo a motore era più agevole raggiungere direttamente zone di cielo idonee per voli importanti e di primato e a favore di questa pratica giocò anche la disponibilità di aerei residuati bellici adatti al traino. Tuttavia in Inghilterra, in Germania e nei Paesi dell' Est europeo, in ambienti inclini all' addestramento di massa vuoi per radicata e democratica tradizione sportiva, vuoi per motivi di propaganda e formazione aeronautica a larghissima base il verricello continuò ad essere impiegato come mezzo didattico, economico e formativo, e a progredire sul piano tecnico. Che si tratti di un mezzo economico lo dice il fatto che un lancio (all' altezza raggiungibile col verricello) costa un quinto del traino alla stessa quota. Quanto al significato formativo occorre osservare che i moderni verricelli a sei tamburi consentono di compiere altrettanti lanci in stretta sequenza: fino a 24 all' ora. Questa cadenza, nettamente superiore a quella realizzabile col traino aereo, è particolarmente interessante in fase didattica, quando il numero dei voli conta più della loro durata. Una squadra di 12 allievi con tre istruttori e tre alianti resta intensamente impegnata, oltre che nel volo, in tutte le fasi ausiliarie ma non meno importanti che lo rendono possibile: dalla preparazione delle macchine al loro recupero dopo l' atterraggio, dalle segnalazioni alle operazioni di lancio. La disciplina che ne deriva genera «airmanship», cioè una mentalità aeronautica che è moderna nella misura in cui è di «sistema». Sul piano della pratica sportiva i moderni verricelli, dotati di motori da 200 e passa cavalli, consentono lanci a quote di 500 metri ed oltre: circa la metà della lunghezza del cavo, che dipende dalla lunghezza del campo di volo e dall' intensità del vento contrario. Da queste quote, con un moderno aliante, esistono buone probabilità di identificare e raggiungere zone di ascendenza favorevoli all' inizio di voli di notevole interesse. Sta di fatto che in Paesi come l' Inghilterra, la Germania, la Svizzera, non certo più poveri di noi, il 75% dei lanci si effettua oggi col verricello, tra l' altro esente dal rumore prodotto dal sorvolo dei rimorchiatori. Detto ciò, se anche un lancio, per i limiti di quota e posizionamento del verricello non produce i risultati attesi in termini di veleggiamento, lascia pur sempre la corroborante sensazione di un decollo semiacrobatico, emozionante e suggestivo, come quello di un caccia dal ponte di una portaerei. Mario Bernardi


FISICA Il rebus degli eschimesi: come mai è buono da bere il ghiaccio di acqua di mare?
Autore: BO GIAN CARLO

ARGOMENTI: FISICA
LUOGHI: ITALIA
NOTE: 070

GLI Eschimesi, per bere, devono mangiare ghiaccio. Ed è ghiaccio di acqua di mare, salato. Un blocco di ghiaccio salato «fresco» non può essere bevuto, perché a causa dell' eccessiva concentrazione di sale, non toglie la sete, mentre uno di un anno è quasi privo di sale. Ghiacci d' annata risultano quasi completamente potabili. E' stato scoperto che un blocco di ghiaccio salato impiega minor tempo a spogliarsi del sale sulla riva, al pallido sole della calotta polare, piuttosto che in acqua. Come mai? Dato che il poco sole del grande Nord facilita comunque l' evaporazione, il ghiaccio non dovrebbe, dopo un certo tempo, essere più salato? Immaginiamo il sale o, meglio, la soluzione di acqua e sale all' interno del ghiaccio come «sacchetti di impurità » incastrati nel blocco. Essi sono sottoposti a due forze. Una, quella di gravità, tende fatalmente a far scendere i sacchetti. L' altra è dovuta alla differenza di temperatura tra parti diverse del blocco, prevalentemente tra la parte alta e quella bassa. Che il ghiaccio si trovi in acqua o a terra, la parte più bassa è comunque a temperatura un po' più alta. Infatti se è in acqua, la temperatura dell' acqua è quella di congelamento e quindi più alta dell' aria intorno; se è a terra, è il terreno a essere più caldo dell' aria. Ogni «sacchetto» è come avesse un alto più freddo e un basso più caldo. Il basso, più salato per le ragioni dette prima, tende a ridurre la quantità di sale e perché ciò avvenga occorre che liquefi. In alto succede il contrario, c' è meno sale e, perché aumenti, bisogna che congeli. Un bel via vai, non c' è che dire, con il risultato che pian piano, seguendo la risultante delle forze il sale se ne va, svicolando verso il basso. Gian Carlo Bo


ORGANI ANTICHI Restauri a rischio L' Italia ha un parco smisurato di strumenti storici: ma i criteri usati per recuperarli sono così approssimativi da risultare più dannosi che utili
Autore: GIRARDI ENRICO

ARGOMENTI: ACUSTICA
LUOGHI: ITALIA
NOTE: 070

I nuovi orizzonti che le moderne strumentazioni scientifiche hanno dischiuso alle molteplici specializzazioni dell' acustica hanno imposto aggiornamenti, anche radicali, di precedenti conoscenze, evidenziando macroscopicamente fenomeni assai complessi, solo pochi anni addietro autentici rompicapo. Di ciò ha beneficiato l' acustica musicale sia nei riguardi degli strumenti che delle interazioni sonore con l' ambiente. Per le sue caratteristiche peculiari (ogni canna una fonte di suono: unico, fisso, invariabile ) e per il suo stretto legame con l' ambiente, un posto di privilegio spetta all' organo che, avvantaggiato da recenti acquisizioni scientifiche e liberato dal ciarpame di erronei luoghi comuni, è oggi in grado di riprendere il suo cammino tecnologico ed artistico. Il desolante spettacolo che oggi offre l' Italia con il suo smisurato parco di organi antichi «restaurati» (autentici «falsi inventati» ) si è ulteriormente arricchito. Un elaborato di Pietro Righini, decano degli specialisti in materia, relativo a 12 organi «tutti restaurati recentemente in Toscana sotto la sorveglianza delle Soprintendenze competenti per territorio» secondo «criteri cosiddetti filologici», mette in luce, attraverso una serie di rilievi eseguiti, anche in presenza di funzionari statali, e di analisi dettagliatamente descritte, come nel settore dei «restauri organari» si continui a «pedalare a ruota libera» con «generiche accordature inequabili consistenti nell' aggiustare, in modo più o meno accettabile, le principali consonanze»: esplicito richiamo a ciò che Hercole Bottrigari, nel 1593, definì molto argutamente «un tirare e mollare sino a raggiungere un tono medio». Conclude il Righini lamentando «quanto sia urgente instaurare una rigorosa disciplina in tutta la materia... a condizione che gli esperti non siano sempre e di nuovo le medesime persone». In attesa di nuove proposte in tema di restauri organari da parte di una specifica «commissione» è stata richiesta a Milano nello scorso novembre al direttore generale del ministero per i Beni culturali, professor Sisinni, la avocazione in sede ministeriale delle pratiche tuttora pendenti immotivatamente anche da anni ed una temporanea sospensione di interventi su organi d' epoca. Mentre perdura sulla prima richiesta il silenzio ( «becchino della democrazia» ) giunge notizia che la «restauromania» è allergica a qualsiasi rimedio. Viene infatti segnalata l' iniziativa in questi giorni del «restauro del capolavoro di Giovanni Cipri (1555) » nella chiesa di S. Martino Maggiore a Bologna. Sulla scorta di notizie storiche apparse, tempo fa, su una rivista bolognese di «cultura organaria» è possibile tracciare un quadro della situazione. La serie dei rifacimenti, delle alterazioni, delle eliminazioni e delle aggiunte ha stravolto la fisionomia sonora e l' equilibrio reologico dello strumento al punto che, nel 1801, è stato affidato ad un organaro locale il compito di «levare all' Organo il difetto dell' Asma». Altre manomissioni ed altre aggiunte sono poi continuate fino ai primi decenni dell' attuale secolo. Distorti e quindi irricuperabili i «timbri» originari, il «temperamento» originario è ignoto e, quanto al «corista», valga, oltre ad imprecisati e deprecabili allungamenti delle canne, l' affermazione dello storico: «Lo strumento è oggi circa mezzo tono più basso del corista originario», esso pure ignoto] Del «capolavoro» resta quindi qualche chilogrammo di materiale metallico musicalmente indecifrabile. Viene precisato, e il fatto non è senza importanza che all' iniziativa è rimasta estranea l' autorità ecclesiastica: ma nel contempo si nobilita il «capolavoro» agganciandolo ad altri «celebrati restauri»: quelli degli organi di S. Petronio e di S. Michele in Bosco, che, con lo strumento di S. Martino, dovrebbero fornire spunto e supporto privilegiato ad una progettata «Scuola di alto perfezionamento nella musica antica». Preso atto delle citate risultanze di Righini e ormai allo scoperto i «criteri consolidati» con cui si è operato monopolisticamente in Italia da circa 40 anni, è legittimo il dubbio sulla rigorosità di tali meraviglie. Un accertamento scientifico potrebbe riservare sorprendenti novità, tanto più che i profeti e i padri europei della cosiddetta filologia musicale oggi riconoscono che «gli strumenti d' epoca sono antichi solo a parole». Non giungeremo a sostenere la proposta che «per salvare i beni culturali si deve abolire il ministero», ma ci possiamo associare (completandolo sulla base di quanto sopra) all' inquietante interrogativo chiaramente allusivo in tema di «restauri» e di «ispettori onorari» emiliani espresso da un autorevolissimo esponente della musica sacra: «Chi ha dato ai bolognesi il diritto di comandare (e di turlupinare? ) l' Italia? ». Enrico Girardi


SCAFFALE Ambrosoli Mauro, «Scienziati, contadini e proprietari», Einaudi
AUTORE: VERNA MARINA
ARGOMENTI: BOTANICA, LIBRI
LUOGHI: ITALIA
NOTE: 070

LA rivoluzione verde sembrava la chiave di un futuro radioso, liberato dallo spettro della fame e sicuro di una crescita continua Le cose invece non sono andate così e l' ottimismo dei decenni passati ha lasciato il posto alla consapevolezza di una grande fragilità nell' agricoltura capitalistica. E' perciò interessante leggere la storia della precedente rivoluzione verde, assai più lenta ma non meno ambigua: la cosiddetta «nuova agricoltura», che si impose in Europa tra il 1350 e il 1850 e della quale scrive lo storico Mauro Ambrosoli nel suo corposo «Scienziati, contadini e proprietari». I presupposti erano molto semplici: rotazione delle colture, allevamento del bestiame e quindi produzione di erbe da foraggio. Dietro, ideologicamente, ci fu prima la riorganizzazione della botanica antica e medioevale, quindi la rivoluzione scientifica del ' 600. Come sottofondo continuo, le incomprensioni e i contrasti tra gli scienziati e la gente comune, non meno violenti di quelli tra contadini e grandi proprietari terrieri.


SCAFFALE Cianciulli Antonio, «Atti contro natura: la salvezza dell' ambiente e i suoi falsi profeti», Feltrinelli
AUTORE: VERNA MARINA
ARGOMENTI: ECOLOGIA, LIBRI
LUOGHI: ITALIA
NOTE: 070

Vent' anni fa i brasiliani invitavano a Rio gli inquinatori di tutto il mondo, per concludere quegli affari che altrove erano osteggiati Oggi Rio è pentita e si riscatta ospitando la seconda conferenza mondiale sull' ambiente, quella del prossimo giugno. Ogni Paese ha avuto la sua occasione per ravvedersi: in Italia è stato il latte imbevibile dopo Cernobil, negli Stati Uniti la grande sete dell' estate ' 88, nei Paesi dell' Est il crollo del comunismo, che ha reso visibile un avvelenamento neanche troppo invisibile. La tutela dell' ambiente, che qualcuno si ostina a presentare come lusso di chi ha la pancia piena, è in realtà il presupposto per l' esistenza stessa della pancia. Secondo i calcoli che Antonio Cianciullo cita nel suo battagliero «Atti contro natura», l' uomo si appropria del 25 per cento dell' energia primaria netta (cioè quella che le piante catturano dal sole e non utilizzano per respirare) e lascia ai coinquilini che sono svariati milioni di specie quello che resta. Una voracità che non si placa mai: a metà del secolo prossimo saremo il doppio, dieci miliardi. Che ne sarà allora della Terra? Cianciullo confida nel «buon senso»: un' espressione senza dubbio consumata, ma in origine efficacissima. E, se il riciclo continuo è l' arte che ci salverà, anche il buon senso può tornare a galla e diventare la lente attraverso cui giudicare le proposte di salvezza. Forse meno elegante dei vari «paradigmi», ma certamente più pratica;


SCAFFALE F. J. Varela, «Un know how per l' etica», Laterza
AUTORE: VERNA MARINA
ARGOMENTI: BIOETICA, LIBRI
LUOGHI: ITALIA
NOTE: 070

Francisco Varela è un brillante biologo cileno che lavora al Crea di Parigi e parallelamente coltiva metafisica e meditazione, con un interesse particolare per le tradizioni di saggezza orientale. Questa piccola premessa è importante per capire il suo ultimo libro, «Un know how per l' etica», che raccoglie un ciclo di conferenze tenute lo scorso dicembre all' Università di Bologna, nell' ambito delle Lezioni italiane proposte dalla Fondazione Sigma Tau. Varela crede nella possibilità di un' etica laica non smentita dalla razionalità scientifica, che guidi «spontaneamente» la nostra condotta nonostante il crollo di valori della società postmoderna. E infatti dimostra come le teorie più avanzate nelle scienze cognitive e nell' intelligenza artificiale trovino sorprendenti riscontri nel buddhismo e nelle altre grandi religioni orientali.


SCAFFALE Sulzberger Robert, «Guida al compostaggio», Giunti, 110 pagine, 18 mila lire
AUTORE: VERNA MARINA
ARGOMENTI: BOTANICA, LIBRI
LUOGHI: ITALIA
NOTE: 070

«Bioguide» è una collana della Giunti verde nella copertina e nello spirito: si tratta infatti di manuali per la coltivazione naturale della terra, anche solo quella dei vasi sul balcone. L' ultimo volume è dedicato alla trasformazione in concime dei rifiuti organici. Marina Verna


ARTERIOSCLEROSI Se fallisce l' impresa di pulizie Paghiamo ancora oggi un errore di 40 milioni di anni fa quando fu copiato due volte il gene che sorveglia i coaguli
Autore: PORTA MASSIMO

ARGOMENTI: BIOLOGIA, GENETICA, MEDICINA E FISIOLOGIA
LUOGHI: ITALIA
NOTE: 071

COME in tante storie di ordinaria burocrazia, anche in biologia da un errore di trascrizione possono derivare problemi gravi per la qualità della vita, se non addirittura per la nostra sopravvivenza L' errore in questione, del quale sembriamo pagare ancor oggi le conseguenze, sarebbe avvenuto 40 milioni di anni fa, quando i meccanismi preposti alla duplicazione del Dna di qualche nostro lontano progenitore ricopiarono due volte, invece che una sola, il gene del plasminogeno, o almeno una parte di esso, sul braccio lungo del cromosoma 6. Ai non biologi tutto ciò può suonare oscuro almeno quanto il linguaggio burocratico. Perciò sarà bene procedere con ordine. Il plasminogeno è una grossa proteina che circola nel sangue e che, sotto l' azione di attivatori specifici, si trasforma in plasmina. Quest' ultima è un enzima che dissolve i coaguli nei vasi sanguigni, sia quelli formatisi per fini legittimi vale a dire la riparazione di una ferita, sia quelli formatisi senza motivo apparente che possono ostruire vene e arterie con gravissime conseguenze: infarti, ictus, embolie e trombosi a ogni possibile livello. Il plasminogeno e il sistema che ne controlla l ' attivazione, denominato sistema fibrinolitico perché trombi e coaguli sono tenuti insieme dalla fibrina, un' altra proteina, rappresentano perciò una formidabile impresa di pulizie che mantiene i vasi sanguigni costantemente sgombri da rifiuti di difficile rimozione. Quaranta milioni di anni fa, accanto alla sequenza di Dna (gene) che contiene le informazioni per la sintesi del plasminogeno, si formò per errore una seconda sequenza simile, ma non identica, alla prima. La mancanza di identità fra i due geni fece sì che il secondo codificasse una proteina anomala, incapace di svolgere funzioni proprie. Mentre il vitale plasminogeno continuava a funzionare, ed eventuali mutazioni si rivelavano presto mortali, il gene della proteina inutile subì ulteriori modificazioni che passarono inosservate nel corso della selezione naturale. La proteina, sempre più anomala, prese nel corso dei millenni a frequentare altre compagnie, fino a trovarsi legata alle lipoproteine, la famiglia di trasportatori che veicolano le sostanze grasse e il colesterolo dai siti di assorbimento e deposito (intestino, fegato, tessuto adiposo) a tutte le cellule che ne hanno necessità per il proprio fabbisogno metabolico. Il problema delle lipoproteine è che alcune di esse sembrano essere aterogene, cioè capaci di contribuire alla formazione di placche, inattaccabili anche dal plasminogeno, che iniziano i processi ostruttivi a carico delle arterie, portando alla ben nota arteriosclerosi. Ebbene, la nostra proteina anomala si è non solo aggregata alle lipoproteine, venendo ad essere conosciuta con il nome di apolipoproteina (a) o apo (a), ma sembra essere la più aterogena di tutte. Alti livelli di apo (a) sono infatti associati ad alta incidenza di infarto. La apo (a) è presente solo nell' uomo e nelle scimmie antropomorfe del vecchio mondo (gorilla, scimpanzè, orang utan, babbuini) ma non in quelle del nuovo mondo. La geologia insegna che le masse continentali si separarono fisicamente circa 40 milioni di anni fa e questo ha permesso di stimare il periodo entro il quale avvenne la mutazione che dette origine alla apo (a). Tutti gli altri vertebrati, con la curiosa eccezione del porcospino, sono privi dell' apolipoproteina. In che modo la apo (a) diventa aterogena e, anche, trombogena? Una delle ipotesi prospettate è che, a causa della sua somiglianza con il plasminogeno, essa ne prenda direttamente il posto nel sistema fibrinolitico, prevenendone l' attivazione. La mancata dissoluzione della fibrina prolunga la presenza di eventuali trombi intravasali, favorendo anzi la formazione di nuovi. La apo (a) faciliterebbe anche il passaggio delle lipoproteine ricche di colesterolo, di cui fa parte integrante, dal sangue agli strati intermedi della parete arteriosa laddove si forma la placca aterosclerotica. Ma l' interesse per l' apo (a) non si ferma qui. Come si accennava prima, questa proteina ha subito altre mutazioni dopo la sua origine e oggi ne conosciamo 16 sottotipi dai pesi molecolari, e quindi grandezze, diversi. Più grande la molecola, più alti i livelli circolanti e maggiore il rischio per l' arteriosclerosi. In altri termini, le probabilità di essere colpiti dall' arteriosclerosi e dalle sue conseguenze sarebbero, almeno in parte, determinate geneticamente. I livelli circolanti di apo (a) non sono infatti modificabili dalla dieta o da gran parte dei farmaci ipolipemizzanti classici. Si è però osservato che gli alimenti ricchi di acidi grassi poliinsaturi della serie omega 3 (pesce) e l' esercizio fisico riducono valori alti di apo (a), pur non riportandoli alla normalità. E' quindi possibile che, pur essendo la apo (a) destinata a circolare in quantità prestabilite nei singoli individui, rimanga un certo spazio di manovra che ci permette di appiattirne i livelli sul pavimento del limite minimo consentito dai cromosomi personali. L' apo (a) rappresenterebbe quindi il punto di incontro, lungamente ricercato, fra sistema coagulativo, quello delle lipoproteine e la predisposizione ereditaria all' arteriosclerosi. Il consiglio, tuttavia, è di evitare per ora le zuppe di pesce a scopo terapeutico: non abbiamo ancora prove inconfutabili sulle colpe della proteina. Associazione fra apo (a) alta e infarto non significa assolutamente che la prima causi il secondo. Animali privi di apo (a), come i conigli, sviluppano anch' essi aterosclerosi e le arterie dei porcospini non sono state oggetto di studi approfonditi, forse per la scarsa maneggevolezza di questi animali. Dopo tutto, il brutto anatroccolo nato dall' erronea duplicazione del gene del plasminogeno non è stato eliminato dalla selezione naturale, e questo potrebbe anche significare che la apo (a) svolge qualche funzione utile che per ora ci sfugge. Non dimentichiamo, nei laboratori come nelle aule dei tribunali, che i presunti colpevoli rimangono presunti innocenti. Massimo Porta Università di Torino


AMBIENTE Vecchie cave: farne boschi o sculture?
Autore: A_R

ARGOMENTI: ECOLOGIA
LUOGHI: ITALIA
NOTE: 071

I N epoca romana le cave di sabbia, dopo essere state sfruttate, venivano riempite. Oggi, invece, generalmente le si lascia a cielo aperto, con un danno gravissimo all' ambiente perché modificano le pendenze originarie del terreno adiacente, il manto della vegetazione e il sistema di drenaggio delle acque, esponendo la zona al pericolo di alluvioni e di frane. Per queste ragioni è interessante sottolineare il caso della cava di Collerotondo, in Umbria, dove la Regione Umbria e il comune di San Gemini hanno progettato il ripristino ambientale della cava, che è molto estesa Nell' area interessata sono stati compiuti studi stratigrafici, morfologici, pluviometrici ed è stata fatta un' accurata scelta della vegetazione adatta per il rimboschimento. Sono state corrette le pendenze e le fosse, messi a dimora cerri, farnie, piante perenni come l' asparago, il carpine bianco, la ginestra, il cisto e la tamerice (buona per consolidare le scarpate). Alcuni esperti paesaggisti, però, ritengono che il rimboschimento non funzioni se la cava è di porfido. Per rivalutare questi ambienti suggeriscono la realizzazione di sculture sull' esempio di quanto è avvenuto negli Stati Uniti, dove i busti di Washington, Jefferson, Roosevelt scolpiti nella roccia tra il ' 27 e il ' 41 sono meta di visitatori. E' un' idea su cui meditare. (a. r. )


CENSIMENTO SUL TEVERE Cormorani di città In tutta Italia ne svernano ormai tredicimila
Autore: INGLISA MARISA

ARGOMENTI: ZOOLOGIA, DEMOGRAFIA E STATISTICA, ANIMALI
NOMI: MARTUCCI ORIANA
ORGANIZZAZIONI: PROGETTO CORMORANO
LUOGHI: ITALIA
TABELLE: C
NOTE: 071

HANNO iniziato alla chetichella con uno sparuto gruppetto di 5 6 individue e oggi sono più di 1300 i cormorani (Phalacrocorax carbo sinensis) che trascorrono l' inverno a Roma, in quel tratto del Tevere che scorre nel quartiere della Magliana. Si tratta di un fenomeno del tutto insolito per le città italiane, eppure è dal novembre 1987 che questi uccelli arrivano a Roma ogni inverno più numerosi, e colonizzano le chiome spoglie di alcuni pioppi sulla sponda del fiume in prossimità di una discarica. Affollati sulle cime degli alberi, dove trascorrono la notte e buona parte della giornata, questi uccelli pescivori dal piumaggio nero bluastro non sono sfuggiti all' occhio attento degli ornitologi. Qualcuno ha addirittura svolto una ricerca approfondita sui ritmi di attività e l' alimentazione di questi insoliti ospiti metropolitani: è il caso di Oriana Martucci, naturalista, che si è laureata all' ateneo romano con una tesi sull' argomento. Dal suo studio risulta che le aree di alimentazione frequentate dai cormorani della capitale si trovano sempre sul Tevere, in un tratto urbano alcuni chilometri a Nord della Magliana. Appena sorge il sole gli animali, riuniti in gruppi di centinaia di individui, attraversano il centro cittadino e, raggiunte le zone di caccia, trascorrono circa un' ora compiendo rapide picchiate in acqua e pescando il più possibile. Dall' analisi dei boli alimentari (rigurgiti a forma di pallottole contenenti le parti indigeribili delle prede) i pesci più appetiti sono cefali, cavedani e anguille. E' sorprendente il fatto che il Tevere, quanto mai inquinato a poche decine di chilometri dalla foce, possa costituire una preziosa fonte alimentare per più di 1300 cormorani. Tra la fine di marzo e l' inizio di aprile i cormorani migrano verso i quartieri riproduttivi nordeuropei (eccezion fatta per quelle coppie che nidificano in Sardegna e Emilia Romagna), dove li attendono altri ornitologi che ne studiano la biologia riproduttiva. Grazie a loro, e al marcaggio con anelli numerati, sappiamo che i cormorani di Roma provengono soprattutto dalla Danimarca. In generale, buona parte dei cormorani che svernano in Italia arrivano proprio dalla Danimarca e dai Paesi Bassi, che già nella prima metà degli Anni Ottanta hanno visto triplicare il numero di coppie nidificanti. Merito della «patente europea» di specie protetta concessa al cormorano 15 anni fa, con la direttiva Cee del 1977, che ne aveva vietato la caccia fin allora giustificata dalla convinzione che la specie fosse dannosa alla pesca. In realtà su questa colpa del cormorano si sa ben poco: recenti studi sulla popolazione svernante nel Parco Nazionale del Circeo, per esempio, dimostrano che nonostante la popolazione sia addirittura quadruplicata dal ' 75 all' 86, la produzione di pesce nel lago dei Monaci è aumentata notevolmente. L' occupazione di nuovi territori comprese le aree urbane della capitale, ha incuriosito parecchi ornitologi italiani che hanno preso parte al «Progetto Cormorano», coordinato dall' Istituto nazionale di biologia della selvaggina, per fare il punto della situazione. Ne è uscita una dettagliata mappa della distribuzione della specie in Italia: in totale i cormorani che trascorrono l' inverno nel Bel Paese sono circa tredicimila e le regioni che ne ospitano di più sono Lazio, Puglia Toscana, Emilia Romagna, Veneto e Sardegna. Maria Inglisa


LA STORICA WASHINGTON NAVEL Arancia senza semi Il suo succo può essere bevuto solo fresco Se riscaldato, diventa sgradevolmente amaro
Autore: KRACHMALNICOFF PATRIZIA

ARGOMENTI: BOTANICA, ALIMENTAZIONE
LUOGHI: ITALIA
NOTE: 071

LA terza sagra dell' arancia Washington Navel, che si è svolta qualche settimana fa a Ribera (Agrigento), ha celebrato un frutto «storico». Citata da Goethe nel suo «Viaggio in Italia», l' arancia Navel è presente da secoli nel bacino del Mediterraneo, come testimoniano scritti del 1646. Importata in Italia non si sa con precisione quando, probabilmente dal Portogallo o dalla Spagna, giunse in Sicilia solo nel 1933. Il nome Navel (in inglese ombelico) viene dalla forma del piccolo e rudimentale frutto secondario incastrato all' apice del frutto primario; il nome Washington deriva dalla città dove il frutto, proveniente dal Brasile, fu studiato per la prima volta, all' inizio dell' 800. Altre caratteristiche sono la mancanza di semi (il frutto si definisce «apirene» ), determinata sia dalla mancanza di polline funzionale che dai rari ovuli fecondabili. La fruttificazione avviene dunque per partenocarpia, cioè un rigonfiamento spontaneo che dà origine al frutto. La Washington Navel è ricchissima di vitamina C: un frutto medio del peso di 250 grammi ne contiene oltre 100 milligrammi, cioè l' equivalente del fabbisogno quotidiano di una persona. L' anomalia di questo frutto consiste nel fatto che non è utilizzabile per spremute non fresche perché il succo, riscaldato o stabilizzato, sviluppa un sapore amaro e astringente che lo rende non appetibile. Lo sviluppo di questo sapore è dovuto alla presenza di un gruppo di sostanze amare (terpenoidi) di cui fa parte la limonina. La limonina è presente nel frutto sotto forma di un precursore solubile in acqua, non amaro (monolattone dell' acido limonoico), soprattutto nell' asse centrale e nelle membrane dei segmenti. Quando questi tessuti si rompono durante il processo di estrazione, tale precursore a contatto con il succo acido e in presenza di un enzima contenuto nei semi si trasforma nei composti amari, limonina e isolimonina. I numerosi tentativi fatti per impedire lo sviluppo del sapore amaro o per rimuoverlo non hanno ancora avuto successo, quindi il frutto non ha per ora alcuna applicazione commerciale, è destinato solo al consumo fresco e ha trovato un suo spazio in ricette della cucina tipica siciliana. Patrizia Krachmalnicoff


ITALIA INVASA Il giallo del coleottero Viene dal Tibet, chi l' ha portato?
Autore: MONZINI VITTORIO

ARGOMENTI: ZOOLOGIA, ANIMALI
NOMI: PESARINI CARLO
LUOGHI: ITALIA
NOTE: 071

UN insetto venuto dal Tibet un misterioso coleottero cerambicide ancora sconosciuto sta invadendo l' Italia Settentrionale. Non appartiene a una nuova specie, perché la famiglia dei cerambicidi è fra le meglio conosciute e un insetto lungo almeno un centimetro e mezzo e tanto facile da trovare non avrebbe potuto passare inosservato. Un entomologo del Museo di Storia Naturale di Milano, Carlo Pesarini, ha appurato che si tratta di una specie extraeuropea, il cerambicide Xylotrechus stebbingi, originario del Tibet e dello Stato indiano del Basha nel Nord Est dell' Himalaya. E' probabile che sia arrivato da noi insieme a legnami importati, anche se questa ipotesi ha un punto debole: gli individui non sono concentrati in un' unica zona come ci si aspetterebbe se fossero arrivati tutti insieme con un carico di tronchi d' albero, ma le segnalazioni si succedono scaglionate nel tempo e distribuite in diverse città. Evidentemente l' insetto si è già ambientato nel nostro Paese e vi si è insediato ormai stabilmente. Le prime larve sono state segnalate nel 1988, in tronchi di gelso a Sondrio, una specie che fino a una cinquantina d' anni fa era molto diffusa nelle campagne per l' allevamento del baco da seta. L' insetto quindi non può essere giunto al suo seguito, poiché la sua comparsa è molto più recente. E' comunque probabile che la larva non si nutra solo di gelso, ma apprezzi anche altre essenze. Resta comunque da capire perché si diffonda solo in Italia e non negli altri Paesi importatori di legname. Vittorio Monzini


IL BAROMETRO ANEROIDE Una magica scatoletta Dilatandosi e comprimendosi misura la pressione
LUOGHI: ITALIA
NOTE: 072

L' ATMOSFERA esercita una pressione che è massima a livello del mare e diventa via via minore salendo di quota. Il barometro è lo strumento ideato per misurare la pressione. Ne esistono di vario tipo, alcuni che utilizzano un liquido, come il mercurio, altri invece, detti aneroidi, che sfruttano invece un sistema diverso. Il barometro aneroide consiste in un quadrante e in una bassa scatola metallica di forma cilindrica (detta capsula) ermeticamente chiusa dopo che ne è stata estratta gran parte dell' aria. Ciò significa che l' aria che rimane nella capsula si trova a bassissima pressione. Se la pressione atmosferica aumenta le pareti della capsula metallica si schiacciano leggermente, se la pressione diminuisce le pareti si sollevano. La bassa pressione indica brutto tempo, l' alta pressione bel tempo. I minimi movimenti delle pareti della capsula vengono amplificati grazie a un sistema di leve che tira o allenta una catena avvolta intorno ad un albero che reca in testa una lancetta. La catena (che è controbilanciata da una molla ) tendendosi o allentandosi fa muovere la lancetta sul quadrante, che è stato preventivamente graduato. Barometri di questo tipo vengono in genere usati nelle abitazioni e sugli aerei; in tal caso prendono il nome di altimetri.


LE DATE DELLA SCIENZA Quel dogma dell' energia
Autore: GABICI FRANCO

ARGOMENTI: STORIA DELLA SCIENZA, FISICA
PERSONE: PAULI WOLFGANG
NOMI: PAULI WOLFGANG
LUOGHI: ITALIA
NOTE: 072

UN secolo e mezzo fa Robert Mayer stabiliva il fondamentale principio di conservazione dell' energia. Formulato la prima volta per l' energia meccanica, il principio afferma che in un sistema isolato la somma dell' energia cinetica e dell' energia potenziale deve restare costante. L' energia meccanica, però, non si conserva, e infatti un pendolo (tipico esempio di conversione di energia cinetica in energia potenziale e viceversa) dopo un certo numero di oscillazioni si ferma. Il principio, però, risultava verificato se si considerava anche il calore causato dall' attrito. In effetti, come già aveva dimostrato Joule con i suoi esperimenti sull' equivalente meccanico del calore, una apparente perdita di energia meccanica portava sempre come conseguenza un aumento di temperatura. L' energia meccanica, dunque, non scompare, ma si converte in calore. L' estensione del principio di conservazione dell' energia, includendo anche il calore, non è altro che l' enunciato del primo principio della termodinamica. Il principio di conservazione dell' energia, però, è valido per tutte le forme di energia. Curiosità: negli Anni Venti alcuni fenomeni nucleari sembravano invalidare il principio e fu proprio per far quadrare i bilanci energetici che Wolfgang Pauli ipotizzò l' esistenza di una particella (il neutrino) che avrebbe apportato l' energia mancante. Alcuni anni più tardi il neutrino (questo nome gli fu dato da Fermi) venne rivelato e ancora una volta il fondamentale principio di conservazione dell' energia fu salvo. Franco Gabici


SISTEMI MULTIMEDIALI Il computer diventa professore Al posto del libro testi e immagini sul video
Autore: SERRA CARLA

ARGOMENTI: INFORMATICA, DIDATTICA, SCUOLA
LUOGHI: ITALIA
TABELLE: D
NOTE: 072

IL computer sale in cattedra, diventa laboratorio sperimentale, è compagno di studi e prepara pagelle severe. I sistemi multimediali si propongono come supporto didattico, versatile e accativante, in grado di attirare i giovani seguaci di «War Game», più inclini ad usare «mouse» e tastiera che carta e penna. Nei sistemi multimediali, testi, immagini animate e no, suoni e parlato, sono gestiti insieme lasciando all' utente la scelta del percorso di studio. Il libro diventa così «iperlibro». Per esempio, per studiare la storia del Risorgimento italiano, si parte con una premessa generale, in cui si offrono all' allievo diversi approfondimenti da selezionare: da chi era Mazzini, alle conseguenze economiche delle guerre di indipendenza, all' influenza esercitata dalle arti. Con un ritmo scelto dall' utente, scorrono sul video testi, immagini, ricostruzioni grafiche, senza mai perdere il filo conduttore. Negli Stati Uniti questi sistemi sono molti popolari, e non solo per giocare. La Philips offre su Cd I (Compact Disc interattivo) corsi di chitarra, di giardinaggio, di storia dell' arte. La storia dell' arte è stata fra le prime pubblicazioni multimediali della Sidac, la società del gruppo Iri Stet, indirizzata alle scuole. Anche la Sei Società Editrice Italiana ha intuito l' importanza dei multimedia nella didattica e dieci anni fa ha avviato la produzione di «macchine per insegnare». Le proposte comprendono laboratori linguistici ed informatici, oltre 400 software didattici e, ultimi arrivati, gli ipertesti su astronomia, biologia, storia, chimica, lingue straniere. Proprio le lingue straniere sono il terreno dove si concentrano le offerte multimediali più divertenti e in grado di stimolare anche gli studenti più svagati. «Klik» è un programma multimediale per imparare parole e strutture semplici in 7 lingue diverse. Tutte le spiegazioni vengono date nella lingua nativa dell' allievo. Il sistema è una coproduzione della canadese Eri e della Sidac. Facile da usare, «Klik» è adatto a tutte le età, dai bambini in grado di tenere un telecomando in mano in su. Il programma è suddiviso in diverse situazioni (in campagna, in città, in viaggio, ecc. ), con scenette animate in cui viene data l' esatta pronuancia delle parole (da 350 a 500 per ogni dischetto). In «Iperbook», sviluppato da Sym Media e Interwideo, libro e computer operano insieme perché l' alunno può richiamare sequenze audio e video memorizzate su computer passando una penna elettronica sui codici digitali inseriti nelle pagine del libro. Le risposte ai test sono memorizzate su dischetto e a video subito compare la correzione. Questi sistemi multimediali sono offerti su Cd I, Cd Tv, Cd Rom o floppy disc. Nonostante la sofisticata tecnologia che vi è dietro, il loro prezzo è molto contenuto; per esempio, Klik costa dai 50 ai 70 dollari, secondo le versioni. Carla Serra


STRIZZACERVELLO Quadrato di numeri primi
Autore: PETROZZI ALAN

ARGOMENTI: GIOCHI
LUOGHI: ITALIA
NOTE: 072

Quadrato di numeri primi Alle cinque lettere che figurano nel quadrato 4 x 4 vanno sostituite delle cifre in modo da ottenere il seguente risultato: leggendo le righe sia da sinistra a destra che da destra a sinistra e le colonne sia dall' alto in basso che dal basso in alto, si debbono leggere otto numeri primi di 4 cifre ciascuno, ognuno ripetuto due volte. Per evitarvi una ricerca troppo lunga sulle tavole dei numeri primi, vi aiuteremo dicendo che la somma delle 16 cifre impiegate nella soluzione è pari a 60. A parte le rotazioni e le riflessioni, la soluzione che troverete domani, accanto alle previsioni del tempo, è unica. A B C C A D E B B E D A C C B A La soluzione domani, accanto alle previsioni del tempo. (A cura di Alan Petrozzi)


LA PAROLA AI LETTORI Il battimani? Una pacca sulle spalle collettiva
LUOGHI: ITALIA
NOTE: 072

Perché si applaude battendo le mani? Il battimani è una forma di congratulazione che sostituisce la classica pacca sulla spalla o la stretta di mano, poiché è impossibile che dopo uno spettacolo tutti gli spettatori vadano a congratularsi con gli artisti. (Orania Zaccheo Cannobio, No) Ogni volta che applaudiamo qualcuno, stiamo congratulandoci con lui battendogli idealmente sulla spalla. Anche per questo chi è applaudito tende a inchinarsi come per offrire le proprie spalle al pubblico. (Andrea Fenoglio Barge, CN) Vorrei sapere quanto tempo vivevano i dinosauri Nella categoria dei dinosauri rientrano animali di dimensioni molto diverse, da quelle di un pollo alle trenta tonnellate. Quindi anche la vita aveva durate diverse. L' esame istologico delle ossa indica una spiccata longevità, che nelle specie di grandi dimensioni superava largamente il secolo. (M. L. B., Torino) Secondo le ricerche più avanzate di paleoistologia, la vita media di un sauropode era paragonabile a quella degli attuali grandi mammiferi. Analizzando i cicli annuali della crescita delle ossa (che continuava fino alla morte) si deduce che questi dinosauri raggiungevano la maturità sessuale intorno ai 35 anni, quando avevano raggiunto i 2/3 della loro completa dimensione. Possiamo dedurre per approssimazione una vita media di una cinquantina d' anni. (Alfonso Rigato Torino) Capita spesso che le zanzare infastidiscano una persona e lascino in pace quella vicina. Come fanno a sapere qual è quella succulenta? Le zanzare di sesso femminile, cioè quelle che necessitano di sangue per ragioni legate alla riproduzione, sono dotate di un sensibilissimo meccanismo biologico che permette di individuare la «preda» in base alla sua temperatura e alle emissioni di anidride carbonica. In pratica la zanzara individua il bersaglio seguendo l' anidride carbonica emessa, poi segue il calore emanato dall' individuo per trovare la zona migliore da pungere. Poiché i vasi sanguigni sono più caldi di altre zone, la zanzara va a colpo sicuro. La sua scelta di una persona piuttosto che un' altra dipende dal calore e dall' anidride carbonica emessi: chi ha una temperatura fisiologica maggiore e un più alto volume di aria respirata (quindi emette più anidride carbonica) sarà più bersagliato dei vicini dal corpo meno caldo. (Massimo Oliva Leinì, To) E' possibile incrociare un cammello con un dromedario? E se sì, quante gobbe avranno i figli? Le notizie sul cammello domestico risalgono al 1500 a. C.: era diffuso in immense aree dell' Asia e, a differenza del dromedario (che provvedeva alla sussistenza di milioni di persone ed era al centro di molte culture), veniva allevato in piccoli branchi e utilizzato come cavalcatura o, data la sua forza, animale da lavoro. I cammelli preferiscono accoppiarsi con i cospecifici ma quando specie con una e con due gobbe si trovarono ad occupare le stesse aree, probabilmente nel II secolo a. C. quando i Parti dominavano la valle del Tigri e dell' Eufrate, si accoppiarono tra di loro. L' ibrido si rivelò un animale da soma ideale, più grosso e più forte di entrambi i genitori, con un' unica, lunga gobba. Accoppiando un cammello ibrido con uno di razza pura, la progenie assomiglia all' animale di razza pura. Ai tempi delle carovane lungo la Via della Seta, i cammelli di razza pura vennero sostituiti dai più forti ibridi. Nella cultura islamica, l' incrocio dei cammelli diede origine a un tipo di dromedario dal pelo lungo, resistente al freddo e ben adatto all' altopiano iraniano. Sebbene non fosse come l' ibrido, finì però per sostituirlo gradualmente, anche perché questa nuova razza era del tutto indipendente da quella originaria. Oggi il cammello puro è drasticamente diminuito: lo si trova ancora nel Nord dell' Iran, nel Turkmenistan e nel Nord dell' Afghanistan. (L. U., Patologia Animale Università di Torino)


CHI SA RISPONDERE?
LUOGHI: ITALIA
NOTE: 072

La domanda sulla depressione non ha ricevuto risposte soddisfacenti Chi vuol provarci? & Perché la depressione è associata ai colori scuri? & Perché la carta riciclata costa di più, nonostante si risparmino legno, acqua ed energia? (Silvia di Stefano) & Un cavallo tira un carro ed esercita su questo una forza F. Il carro si oppone a tale forza con una resistenza F. Come fa il carro a muoversi? (Marco Taglienti) & Perché le foglie sono verdi? (Gabriele Trabia) _______ Risposte a: «La Stampa, TTS», via Marenco 32, 10126 Torino Fax 011 65. 68. 688.




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