TUTTOSCIENZE 6 maggio 92


VERTICE DI RIO La Terra alla deriva E' possibile salvarla ma c' è un prezzo da pagare
Autore: VERNA MARINA

ARGOMENTI: ECOLOGIA, VERTICE, CONFERENZA
NOMI: BUSH GEORGE, COLLOR DE MELLO FERNANDO
ORGANIZZAZIONI: ONU
LUOGHI: ESTERO, BRASILE, RIO DE JANEIRO
TABELLE: T Contributi all' effetto serra dai vari gas e dai vari paesi
NOTE: 065

CENTOVENTICINQUE miliardi di dollari l' anno da spendere per l' ambiente sono considerati una cifra improponibile. E' altissima, certo, ma equivale al costo di cinquanta giorni di guerra del Golfo Dodici giorni dal 3 al 12 del prossimo giugno sono giudicati pochi per arrivare alla firma di una convenzione sulle foreste, nonostante anni di preparazione: la mole di lavoro sarebbe eccessiva. Una modifica dei sistemi produttivi delle nazioni ricche è reputata incompatibile con gli interessi industriali e commerciali dell' Occidente: le elezioni americane di novembre, in cui Bush si ricandida, fanno passare in secondo piano il fatto che il 75 per cento dell' anidride carbonica (effetto serra) e la totalità dei clorofluorocarburi (buco dell' ozono) sono prodotti dai Paesi occidentali. E la Cee, che sembrava orientata a qualche misura restrittiva, finirà per accodarsi. Il «Vertice della Terra » parte malissimo. Avrebbero dovuto parteciparvi più di 160 nazioni e almeno cento capi di Stato ma questi sono già scesi a più realistici sessanta. Il presidente del Brasile, Fernardo Collor de Mello, che si è battuto perché la Conferenza si tenesse a Rio, proponendosi come cerniera dei difficili rapporti tra Nord e Sud del mondo e come alfiere della politica di scambio del debito estero contro la conservazione della natura, ha dovuto arrendersi: i latifondisti e i militari minacciano pesantissime ritorsioni se l' Onu, durante la Conferenza di Rio, approverà qualche trattato che limiti la sovranità brasiliana sull' Amazzonia o creerà una nazione indios sotto la sua tutela. Il primo atto di guerra sono state le dimissioni imposte al combattivo ministro dell' Ambiente. Le prospettive della Conferenza, dunque, sono molto magre e questa consapevolezza svuota fin d' ora un appuntamento fissato da dieci anni, enfatizzato come la più importante riunione internazionale del decennio, punto di partenza per la politica ambientale del prossimo secolo. Invece la convenzione sulle foreste non andrà oltre le belle parole e quella sul clima sarà una grande dichiarazione di disponibilità, con gli impegni veri a scadenza lunghissima. Eppure alcuni concetti di fondo sono ormai patrimonio comune: che le risorse della Terra non sono infinite e nessuno può permettersi di usarle a piacere. Che il degrado ambientale è legato a precise azioni dell' uomo e le contromisure sono spiacevoli ma ben chiare. Che la responsabilità di questo disastro è in larga parte dei Paesi ricchi e i costi non possono essere divisi in parti uguali con il Terzo Mondo, relativamente innocente. Dietro queste ovvietà ci sono resistenze di tutti i generi e il potere per tenerle in piedi. La nuova etica proposta dagli ambientalisti è ancora molto lontana. Marina Verna


GLI OBIETTIVI Lo «sviluppo sostenibile» una sfida politica da vincere con la tecnologia
Autore: COLACINO MICHELE

ARGOMENTI: ECOLOGIA, VERTICE, CONFERENZA
ORGANIZZAZIONI: ONU
LUOGHI: ESTERO, BRASILE, RIO DE JANEIRO
TABELLE: C Dove avanza il deserto
NOTE: 065

TEMA centrale a Rio sarà il cosiddetto sviluppo sostenibile; gli obbiettivi sono riassunti nella risoluzione 44/228 dell' Assemblea Generale dell' Onu, secondo cui «dovrebbero essere elaborate strategie e misure per fermare e capovolgere il processo di degrado ambientale nel contesto di maggiori sforzi nazionali e internazionali intesi a promuovere uno sviluppo duraturo e sicuro sotto il profilo ambientale in tutti i Paesi». A livello nazionale quindi, i singoli Stati sono invitati ad assumere iniziative rivolte verso una più efficace protezione dell' ambiente, mentre si raccomanda anche una maggiore convergenza a livello internazionale in modo che tutti possano concorrere al conseguimento della salvaguardia di quel bene comune che è l' ambiente globale. Con riferimento al problema dei cambiamenti climatici, i principali obbiettivi da perseguire sono da un lato la riduzione delle emissioni di gas serra in atmosfera e dall' altro la riduzione del disboscamento e del degrado delle foreste. Il primo riguarda essenzialmente i Paesi industrializzati che concorrono per il 70% circa del totale alle emissioni antropogeniche di gas serra, mentre il secondo è maggiormente associabile ai Paesi in via di sviluppo che procedono al taglio delle foreste per utilizzare il legname, per acquisire nuovi terreni per l' agricoltura e il pascolo. Quest' ultima pratica è particolarmente sviluppata nelle zone tropicali rappresentando la causa del 45% circa del disboscamento complessivo in quelle regioni. Anche in altre aree climatiche si presentano problemi di degrado boschivo: basti pensare, infatti, che nei Paesi del bacino mediterraneo ogni anno sono distrutti per incendi oltre 500 mila ettari di foreste. Infine, si può ricordare che nelle zone temperate un problema serio per la salvaguardia del patrimonio boschivo è costituito dal processo di acidificazione dell' ambiente, sempre dipendente dalle emissioni di sostanze inquinanti in atmosfera. Per quanto riguarda la prevenzione dell' effetto serra, un passo positivo è rappresentato dal Protocollo di Montreal, che prevede l' eliminazione della produzione dei Cfc entro la fine del secolo. Alcuni Paesi, tra cui quelli della Cee, prevedono di conseguire l' obbiettivo entro il 1997, ma sarebbe opportuno che l' accordo fosse siglato anche da altre nazioni, che ancora non hanno aderito all' intesa. Tuttavia il problema principale resta quello della diminuzione delle emissioni di anidride carbonica, che dipendono sostanzialmente dalla produzione di energia. Ora, tenendo presente che la popolazione mondiale tende verso la metà del prossimo secolo a superare gli otto miliardi e che attualmente la produzione di anidride carbonica è di 1, 45 tonnellate pro capite, si ricava che, per stabilizzare la concentrazione in atmosfera, la produzione dovrebbe ridursi a 0, 35 tonnellate pro capite. Va osservato a questo proposito che si ha una forte dissimmetria sui consumi e quindi nel contributo all' emissione di anidride carbonica da parte dei Paesi industrializzati rispetto a quelli in via di sviluppo. Infatti mentre i primi contribuiscono annualmente con emissioni pari a 3, 1 tonnellate pro capite, gli altri hanno un rateo molto più basso di 0, 4 tonnellate. I provvedimenti da prendere in considerazione sono di due ordini distinti: innanzi tutto occorre che i Paesi tecnologicamente avanzati sviluppino sistemi di produzione di energia utilizzando fonti alternative e rinnovabili e migliorino l' efficienza energetica in modo da praticare un consistente risparmio sui consumi. Sarà necessario poi che i Paesi dell' Occidente si facciano carico dei problemi dei Paesi in via di sviluppo per i quali le prospettive sono tutt' altro che rosee. La popolazione di queste nazioni è aumentata tra il 1960 e il 1990 del 100% e si prevede che essa possa raddoppiare passando dagli attuali 4 a circa 8 miliardi nel 2030. Già ora, secondo i dati della Banca Mondiale 1, 5 miliardi di persone circa vivono sotto il «livello di povertà »: ne consegue che l' ulteriore espansione demografica porterà a un peggioramento della situazione e mantenendo le attuali modalità di produzione e consumo si avrà un aumento esponenziale delle emissioni di gas serra con un serio aggravamento delle condizioni dell' atmosfera. I Paesi industrializzati, quindi, devono intervenire per aiutare quelli in via di sviluppo a orientare le loro scelte verso un progresso economico e sociale compatibile con la salvaguardia ambientale. Questo richiede non solo aiuti in termini finanziari, con l' assistenza ai progetti di risanamento ambientale, ma anche e soprattutto il trasferimento di tecnologie «pulite», e lo sviluppo di intensi programmi di formazione per preparare i tecnici in grado di gestire le nuove iniziative e i nuovi modi di produzione sia in campo industriale sia in campo agricolo. Problemi non dissimili da quelli dei Paesi in via di sviluppo presentano le nazioni dell' Est europeo dove l' inquinamento ha raggiunto livelli molto elevati a causa sia dell' impiego di materie prime combustibili di bassa qualità, sia della utilizzazione, per la produzione di energia e per l' industria pesante, di impianti obsoleti e inefficienti. Un altro modo per concorrere a ridurre le quantità di anidride carbonica emessa nell ' atmosfera è la protezione del patrimonio boschivo; occorre, quindi, non solo ridurre il processo di deforestazione, che ove non si prevedano seri interventi correttivi potrebbe portare all' esaurimento delle foreste tropicali, ma va incoraggiata l' opera di riforestazione e la salvaguardia dei boschi in generale, anche nelle zone temperate delle medie latitudini. In questo senso occorre prevedere un' azione educativa nei confronti del pubblico. Mentre sono state, più o meno sufficientemente, delineate a livello internazionale alcune strategie di risposta, il che indica, quindi, l' esistenza, almeno in linea di massima, di un accordo sul «come» intervenire, forti perplessità permangono invece circa i tempi della operazione. Esistono al riguardo due posizioni: la prima, che si richiama al principio della certezza scientifica, propone di agire solo di fronte a una chiara e inequivocabile manifestazione del fenomeno, tenendo conto dell' elevato costo associato agli interventi previsti. L' altra, che invece fa proprio il principio di precauzione, suggerisce di avviare comunque la riduzione delle emissioni di gas serra nel timore che, una volta innescate, le trasformazioni possano non essere reversibili. Altro motivo di contrasto è rappresentato dalla diversa posizione dei Paesi in via di sviluppo che, a torto o a ragione, ritengono di essere sacrificati, nella loro aspirazione al miglioramento del tenore di vita, dai Paesi sviluppati che tendono a scaricare su di loro il peso della salvaguardia dell' ambiente globale. Michele Colacino Cnr, Roma, Istituto di fisica dell' atmosfera


E' LA SETTIMANA DELLA SCIENZA Dal pressappoco al teorema E se il metodo della ricerca arrivasse in politica?
Autore: BIANUCCI PIERO

ARGOMENTI: RICERCA SCIENTIFICA, STORIA DELLA SCIENZA
NOMI: LEVI MONTALCINI RITA
LUOGHI: ITALIA
NOTE: 065

QUELLA che stiamo vivendo è la «Settimana della cultura scientifica e tecnologica»: 600 manifestazioni in 112 località italiane per avvicinare i cittadini al mondo della ricerca. E' la seconda volta che il ministro Ruberti lancia questa iniziativa. Rispetto all' anno scorso c' è una forte crescita, più di un raddoppio: allora le città coinvolte furono 65, le manifestazioni 250. Che l' Italia sia il Paese dell' arte lo sapevamo. Della scienza, un po' meno. Con le sue 350 pagine e il viatico di Rita Levi Montalcini, il catalogo delle opportunità di contatto con la ricerca offerte al pubblico tra il 4 e il 10 maggio rappresenta anche l' inventario di un sorprendente patrimonio scientifico di decine e decine di musei, mostre, laboratori, istituti e centri di ricerca d' avanguardia. Da Agrigento, che apre il catalogo, a Viterbo, che lo chiude, chi sfoglia queste pagine ha la sensazione che la cultura scientifica italiana stia vivendo una felice presa di coscienza del proprio ruolo nella società. Enti che di solito per la gente sono soltanto aride sigle (Cnr, Enea, Infn, Ien e così via) per una settimana aprono a tutti le loro porte e acquistano un volto umano (quello di chi organizza le visite guidate). Anche Torino e il Piemonte, naturalmente, sono ben presenti: Istituto di Metrologia Colonnetti, Galileo Ferraris, Centro Ricerche Fiat, Istituto di fitovirologia del Cnr, Enea di Saluggia, i musei di storia naturale di Bra e di Alba, l' Osservatorio del Liceo Peano di Cuneo, il «Donegani» e il Progetto Icaro a Novara... I frutti immediati di iniziative come questa sono facilmente immaginabili: una informazione più popolare sul lavoro dei ricercatori, una miglior consapevolezza dei fini che la scienza cerca di raggiungere, anche un controllo democratico sull' uso che si fa dei fondi per la ricerca. Ma c' è un frutto ancora più importante e duraturo: la scoperta del metodo scientifico, e più in generale la scoperta del valore della razionalità. Mi è capitato di osservare bambini di 5 6 anni in visita alla mostra Ars Lab organizzata dal Comune di Torino con pezzi provenienti dall' Exploratorium di San Francisco e dalla Villette di Parigi. Bene: questi bambini, davanti al fenomeno naturale, passavano da un iniziale timore allo stupore, dallo stupore alla curiosità, dalla curiosità alla voglia di manipolare il fenomeno per modificarne le condizioni, e infine dalla manipolazione al desiderio di impadronirsi delle regole nascoste dietro ciò che osservavano. E' esattamente il percorso dell' uomo per esempio dalla primordiale paura del fulmine alla conquista dell' elettricità. E' l' itinerario della scienza: osservare, misurare, sperimentare, verificare, capire. Se troppe cose vanno male nella nostra società si deve al fatto che questo metodo rimane confinato nei laboratori. Non lo si applica, invece, alla politica, all' amministrazione. Una mostra torinese per la «Settimana della scienza» è intitolata «Dal pressappoco al micron». Forse, se gli onorevoli Formica e Pomicino andassero a visitarla, la valutazione del deficit statale non cambierebbe ogni due giorni. Piero Bianucci


IL RAZZO SCOUT La «500» dello spazio Trent' anni, 116 lanci riusciti
Autore: RIOLFO GIANCARLO

ARGOMENTI: AERONAUTICA E ASTRONAUTICA
NOMI: BROGLIO LUIGI
ORGANIZZAZIONI: AGENZIA SPAZIALE ITALIANA, NASA
LUOGHI: ITALIA
NOTE: 066

TRA i razzi vettori, l' americano «Scout» è il più piccolo, il più semplice e il più affidabile. Con i 116 lanci perfettamente riusciti, vanta un record del 98 per cento di successi. Un altro primato è quello di longevità; il primo volo risale al 1960. Anziché in pensione, lo «Scout» va ora incontro a una nuova giovinezza grazie a un programma di sviluppo varato dall' Agenzia Spaziale Italiana. Tra due anni, nel 1994, dal poligono San Marco in Kenya partirà una versione potenziata del lanciatore, realizzata dal Centro di ricerche aerospaziali dell' Università di Roma. A bordo recherà il satellite scientifico internazionale Equator S. Il progetto, chiamato San Marco Scout, è del professor Luigi Broglio e prevede l' aggiunta al vettore americano di quattro motori Algol uguali a quello del primo stadio, in modo da accrescere la spinta e aumentare il carico utile, che passa da 220 chili in orbita equatoriale bassa (550 chilometri circa d' altezza) a 600 chili. Parallelamente, la Bpd Difesa e Spazio (Gruppo Fiat) lavora alla seconda fase del programma, che darà vita a una versione italiana del San Marco Scout. Avrà nuovi motori, un sistema di guida più preciso e una concezione modulare, con differenti configurazioni per satelliti di massa compresa tra i 250 e i mille chili. Sarà pronto nel 1995. La storia dello Scout è una continua evoluzione. Costruito dalla Ltv per conto della Nasa, da principio aveva un carico utile di una cinquantina di chilogrammi. Poi, nel corso degli anni, ciascuno dei quattro stadi a propellente solido, chiamati Algol, Castor, Antares e Altair, è stato sostituito con versioni via via più potenti. L' ultimo modello, lo Scout G 1, è alto 23 metri, pesa 21, 5 tonnellate e può essere lanciato dal poligono di Vandenberg (California), da quello di Wallops Island (Virginia) e dalla piattaforma San Marco, l' unico centro spaziale dal quale è possibile collocare satelliti direttamente in orbita equatoriale. Il programma della Bpd è concepito per passi successivi. Inizialmente è prevista la sostituzione del primo stadio (l' Algol concepito negli Anni Cinquanta) con un nuovo motore a razzo, sempre a propellente solido, progettato dall' azienda italiana. A questo potrà essere aggiunto uno «stadio zero», costituito da due o da quattro propulsori dello stesso tipo attaccati alla base del vettore e destinati a imprimere la spinta iniziale. Combinando i motori a razzo come si fa con i pezzi del «Lego», sarà possibile ottenere una vera e propria famiglia di lanciatori con prestazioni diverse. Successivamente anche l' ultimo stadio, l' Altair, verrà cambiato con uno della Bpd. Questo avrà un sistema di guida inerziale; un perfezionamento rispetto all' Altair che viene semplicemente stabilizzato dal movimento di rotazione (spin) impresso al momento dell' accensione, non diversamente dal proiettile sparato dalla canna rigata di un fucile. Con un costo per lancio stimato in 13 milioni di dollari, il futuro vettore «made in Italy» dovrebbe avere buone opportunità commerciali. Mentre i lanciatori americani Thor Delta e Atlas Centaur, così come gli europei Ariane, sono concepiti per portare carichi di diverse tonnellate, il San Marco Scout si propone come il veicolo più economico per mettere in orbita piccoli satelliti. E' una fascia di mercato trascurata, ma con buone potenzialità. Satelliti «leggeri » possono essere impiegati per esperimenti scientifici, studi sulla microgravità, sul clima e sulle risorse terrestri. E ancora per osservazioni ambientali, telecomunicazioni e telefonia mobile. A spianare la strada al progetto italiano si aggiungono le difficoltà che sta attraversando l' unico potenziale concorrente: il Pegasus vettore americano sganciato in volo da un B 52. Il secondo lancio ha rivelato problemi tecnici che si aggiungono a quelli economici della Orbital Science, l' azienda privata che lo costruisce. Giancarlo Riolfo


LE MODIFICHE Ricomincia la carriera in Italia
Autore: RIOLFO GIANCARLO

ARGOMENTI: AERONAUTICA E ASTRONAUTICA
NOMI: BROGLIO LUIGI
ORGANIZZAZIONI: RAZZO SCOUT, AGENZIA SPAZIALE ITALIANA, NASA
LUOGHI: ITALIA
NOTE: 066

VENTICINQUE mesi, massimo trenta. E' il tempo necessario all' equipe del professor Broglio per approntare il vettore Scout potenziato e le due piattaforme oceaniche, San Marco e Santa Rita, che costituiscono la base spaziale italiana. L' obiettivo è lanciare il satellite Equator S entro la fine del 1994. L' unica incertezza è legata alla disponibilità nei tempi previsti dei fondi (90 miliardi) che già sono stati stanziati dall' Asi. L' Equator S è un satellite internazionale per lo studio del campo magnetico terrestre a una distanza pari a dieci volte il raggio del pianeta. Verrà immesso in un' orbita fortemente ellittica, con un perigeo di 500 chilometri e un apogeo di 64 mila. Il programma è guidato dall ' istituto tedesco Max Planck e dalla Nasa, che ha messo a disposizione uno dei suoi vettori Scout. Intanto, con i primi finanziamenti si è già provveduto alla manutenzione delle strutture della Santa Rita, sede del centro di controllo. Per 26 anni la piattaforma era rimasta a 600 metri dalla San Marco, su cui è collocata la rampa di lancio, che viene evacuata durante il conto alla rovescia. Si è approfittato dei lavori per spostare la Santa Rita a una distanza di sicurezza doppia, in previsione dell' impiego di vettori con maggiore quantità di propellente. (g. r. )


E' LA CHIAVE DELL' UNIVERSO? L' enigma neutrino Gli esperimenti in corso nel Laboratorio del Gran Sasso potrebbero chiarire il funzionamento del Sole e risolvere il mistero della materia oscura del cosmo
Autore: DARDO MAURO

ARGOMENTI: FISICA, ASTRONOMIA
NOMI: PAULI WOLFGANG
LUOGHI: ITALIA
NOTE: 066

DUECENTO ricercatori giunti dai principali istituti scientifici del mondo hanno partecipato recentemente a Venezia al 4 simposio internazionale sui «telescopi a neutrini». Cioè sulla nuova tecnica per osservare il cosmo non tramite la luce o altre radiazioni elettromagnetiche emesse dai corpi celesti, ma captando con speciali strumenti le particelle più elusive dell' universo. Il neutrino fu introdotto nella fisica nel 1930 da Wolfgang Pauli per risolvere l' enigma dell' energia mancante nel bilancio delle disintegrazioni di certi atomi radioattivi. Si dovette attendere più di vent' anni per «vederlo» sperimentalmente, ossia per rivelare le sue interazioni con la materia. Oggi i fisici pensano che esistano tre varietà di neutrini: il neutrino associato all' elettrone, quello associato alla particella «muone» (cugino dell' elettrone ma 200 volte più pesante) e il neutrino «tau», quest' ultimo non ancora osservato sperimentalmente. Il capitolo dei neutrini è lungi dall' essere chiuso; molti problemi devono essere risolti. Il primo, che si trascina da più di vent' anni, riguarda i neutrini solari. Esiste una discrepanza tra le previsioni teoriche e l' osservazione sperimentale sul numero di neutrini provenienti dal Sole, prodotti dalle reazioni termonucleari che avvengono nel suo interno. Finora i neutrini solari sono stati captati in due esperimenti: uno in funzione dal 1970 negli Stati Uniti e l' altro, che ha solo 5 anni di vita, in Giappone. Il primo si basa su un metodo suggerito 45 anni fa dal fisico Bruno Pontecorvo. Una grande vasca contenente 600 tonnellate di liquido, tipo quelli usati come detergenti, è posta in una miniera a grande profondità. Nelle rarissime occasioni in cui un neutrino proveniente dal Sole urta il nucleo di un atomo di Cloro 37 del liquido, lo trasforma nell' isotopo radioattivo Argon 37. I fisici riescono a individuare questi atomi radioattivi e a determinare così il flusso dei neutrini solari. Il secondo esperimento usa una quantità equivalente di acqua. Le pareti della vasca sono completamente rivestite di sensori in grado di captare gli occasionali lampi di luce prodotti dal passaggio dei neutrini. Entrambi gli esperimenti misurano un flusso di neutrini solari molto più piccolo di quello previsto dai calcoli che si basano sui modelli teorici. Due nuovi esperimenti usano un metallo prezioso: il gallio. Il laboratorio sotterraneo del Caucaso ha già fornito i primi risultati, che non sono incoraggianti: si continua a misurare un flusso di neutrini inferiore al previsto. L' altro esperimento, che vede insieme ricercatori francesi, tedeschi, italiani, israeliani e americani, è installato sotto il Gran Sasso nel più grande laboratorio mondiale per questo tipo di fisica. Se i risultati finora ottenuti saranno confermati, ci saranno importanti implicazioni per la fisica delle particelle. Un' ipotesi avanzata per spiegare l' enigma è che i neutrini prodotti dal Sole durante il loro viaggio verso la Terra, si trasformino in un' altra varietà di neutrini, non osservabili con gli attuali strumenti. Questa ipotesi implica che le misteriose particelle, al contrario di ciò che si era pensato per anni, possiedano una massa sia pure molto piccola. E questo è il secondo enigma. Tutte le particelle di materia (salvo il fotone) hanno una massa e non si capisce perché i neutrini dovrebbero giocare un ruolo diverso. Così molti gruppi di ricercatori hanno tentato e continuano a tentare, con i più sofisticati metodi sperimentali, di determinare la massa dei neutrini. Questa ricerca ebbe il primo momento di clamore nel 1980 quando un gruppo (allora) sovietico, annunciò di avere misurato per il neutrino associato all' elettrone una massa 60 mila volte più piccola di quella dell' elettrone, la più leggera della particelle di materia. Seguirono altri esperimenti con risultati negativi fino a che, nel 1985, un fisico canadese annunciò la seconda clamorosa notizia: un neutrino di massa 500 volte più grande di quella trovata 5 anni prima. Da allora, tutti a caccia del neutrino pesante. La situazione dal punto di vista sperimentale è ancora confusa. Alcuni risultati sono positivi, altri negativi. Un neutrino così pesante creerebbe problemi anche ai cosmologi. Secondo la teoria del «Big Bang», il destino dell' universo, nato dalla gigantesca esplosione circa 15 miliardi di anni fa, è legato alla massa di materia di cui è composto. Se questa è inferiore ad un certo valore l' universo si espanderà indefinitamente: le stelle e tutti i corpi celesti si allontaneranno senza sosta gli uni dagli altri. Se la massa è invece superiore al valore critico, le forze gravitazionali avranno il sopravvento, rallentando l' espansione. A un certo punto l' universo incomincerà a contrarsi su se stesso. I neutrini hanno un ruolo cruciale in tutto questo. Il loro numero è stato stimato dagli astrofisici. E' enorme: un miliardo di volte superiore a quello dei protoni e neutroni dei nuclei atomici. E' sufficiente che i neutrini abbiano una massa piccolissima perché la loro massa totale, che è invisibile, superi quella dei nucleoni che formano le stelle. Se il neutrino avesse addirittura una massa pari a quella degli ultimi esperimenti, l' universo sarebbe già scomparso da lungo tempo e noi non saremmo qui a parlarne. Uno degli enigmi più affascinanti della moderna cosmologia è quello della «materia oscura» dell' universo. La presenza di una grande quantità di materia non luminosa, che i nostri strumenti non riescono a vedere, è ormai universalmente accettata dagli astronomi. Di che cosa è fatta? Una delle possibilità, la più suggestiva, è che sia costituita di particelle elementari, relitti dei primi istanti del Big Bang. Particelle che dovrebbero avere interazioni così deboli con la materia da creare solo effetti gravitazionali. La candidata è la più leggera delle particelle previste dalla teoria alla moda degli ultimi anni: la «supersimmetria». La fisica delle particelle, quella che si fa ai grandi acceleratori, potrà dare la risposta. Al Cern di Ginevra, è in progetto un grande anello collisionatore: il «Large Hadron Collider» (Lhc), dove fasci di protoni si scontreranno frontalmente ad energie mai raggiunte in nessun altro laboratorio. I futuri esperimenti con Lhc diranno se esistono le particelle supersimmetriche, spiegando così la materia oscura dell ' universo. Mauro Dardo Università di Torino


I JEST A TORINO Una famiglia di «meccanici» Cent' anni al servizio dell' Università
AUTORE: M_C_M
ARGOMENTI: STORIA DELLA SCIENZA
PERSONE: JEST CARLO
NOMI: JEST CARLO
LUOGHI: ITALIA, TORINO
NOTE: 066

IL 28 giugno del 1900 moriva celibe a Torino il «meccanico» della Regia Università, cavaliere Carlo Jest. La qualifica di meccanico indicava allora normalmente un costruttore di strumenti, e con Carlo finiva un rapporto durato quasi un secolo fra l' Università di Torino e la famiglia Jest. Non è ancora possibile dire quando e come questo rapporto sia cominciato, ma stanno gradualmente affiorando varie notizie che delineano una vicenda interessante e certo non comune. Il primo a trasferirsi a Torino deve essere stato Enrico Federico Jest, nato a Couvet in quello che allora era il Principato di Neuchatel (oggi un cantone svizzero, ma allora soggetto al re di Prussia, e lo fu fino al 1857) nel 1778. Il suo Paese d' origine aveva già allora una solida fama per la costruzione di strumenti di precisione, orologi in particolare, e la più antica traccia finora trovata da lui a Torino, l' atto di matrimonio del 1811, redatto quando Jest era a Torino da sei anni, e conservato presso l' Archivio storico comunale, porta già la qualifica di «mecanicien». Il libro di Paroletti «Turin et ses curiosites» del 1819 cita a Torino, per gli strumenti di fisica, uno Zest che deve certamente leggersi Jest, mentre la «Descrizione di Torino» del Bertolotti nel 1840 cita le «macchine chimiche, elettriche, dinamiche ed ottiche di Enrico Jest che introdusse da noi il Dagherrotipo, riducendolo a scatola portatile non superata ancora, se pure eguagliata altrove». Dopo Enrico Federico fu Carlo Jest, suo figlio, ad avere l' incarico di meccanico dell' Università, anzi per qualche anno vi furono un primo macchinista preparatore Carlo Jest e un secondo macchinista preparatore Costante Jest. Nel frattempo la famiglia gestiva un proprio negozio di strumenti scientifici. Erano persone notissime a Torino, anzitutto perché per un certo tempo fece parte dei compiti del meccanico illustrare al pubblico il Gabinetto di Fisica. Come si legge nel «Calendario generale pè Regii Stati» del 1825, «affinché tutti gli studenti approfittar possano delle pubbliche esperienze, s' eseguiscono dal professore nel giorno feriato di ciascuna settimana alle ore 10 del mattino, ed a queste intervengono pure moltissimi amatori delle fisiche cognizioni, ai quali è pur conceduto di vedere e d' osservare il Gabinetto di Fisica, tuttavolta che ne richiedono il macchinista della R. Università ». Che tutti li conoscessero è provato da un fatto riferito da Alberto Viriglio nel suo «Torino e i torinesi» del 1898. Fra il 1865 e il 1880 la gente chiamava ironicamente «il Jest» un tale che a metà di via Doragrossa (via Garibaldi) per vendere un suo rimedio per il mal di stomaco attirava l' attenzione del pubblico esibendo un paio di strumenti di fisica. Ma, a parte questo, i Jest furono i protagonisti di due exploit che in città furono conosciuti da tutti. Nel 1839, l' anno stesso in cui Arago presentava all' Academie des Sciences di Parigi l' apparecchio fotografico di Daguerre, ne costruirono uno simile, a quanto pare basandosi solamente sulla descrizione dell' originale, e con esso eseguirono, «presenti varie persone competenti a giudicare», dei dagherrotipi, uno dei quali rappresentante la chiesa della Gran Madre di Dio. Nel 1853, poi, presentarono alla città i primi saggi di luce elettrica illuminando fantasticamente il monumento appena inaugurato del Conte Verde, e poi con un' altra dimostrazione, da un balcone di Palazzo Madama. Gli strumenti scientifici costruiti dai Jest erano di eccellente qualità, come è dimostrato sia dai premi vinti in esposizioni italiane ed estere, sia dal loro catalogo (l' unico che abbiamo ritrovato finora, annesso ad un libro francese sulla fotografia, del quale furono traduttori ed editori nel 1845). Molti ne sono stati ritrovati a Torino, a Genova, a Cagliari e altrove. Una macchina dagherrotipica è conservata al Museo del Cinema di Torino. Sarebbe interessante ritrovarne altri per catalogarli. Chi avesse notizie può trasmetterle, a Torino, alla Biblioteca di Fisica dell' Università in via Giuria 1 e così contribuire a ricostruire la vicenda di questa famiglia che, venuta d' Oltralpe, ebbe una parte di rilievo nella Torino dell' 800 e nella storia della sua Università. (m. c. m. )


DISTROFIA MUSCOLARE Trapianto di cellule: forse funziona L' esperimento condotto su otto giovani pazienti: in tre le cellule muscolari hanno ripreso a produrre distrofina
Autore: GIUDICE GIOVANNI

ARGOMENTI: GENETICA, MEDICINA E FISIOLOGIA, SANITA', RICERCA SCIENTIFICA
LUOGHI: ITALIA
NOTE: 067

DAL diario del sig. A. R.: 25 gennaio 1975. Oggi ho festeggiato il mio 35 compleanno. Le bambine mi hanno regalato un pupazzo fatto da loro, vestito come me. Non capisco come mi sia scivolata di mano la coppa di spumante. 30 giugno 1975. La mia calligrafia diventa ogni giorno peggiore. La verità è che ho la mano stanca. 20 settembre 1975. Non sono riuscito a svitare la presa di corrente che volevo aggiustare. Da qualche tempo noto che il pollice non si oppone validamente alle altre dita. Andrò da un medico. 10 dicembre 1975 Le vitamine che mi hanno prescritto mi faranno certamente bene, ma ho come un' artrosi; la mia mano si è un po' deformata. 15 febbraio 1976. Il medico ha constatato che la mia mano ha la forma di quella di una scimmia e mi ha consigliato uno specialista. 30 marzo 1976. Mi hanno diagnosticato una distrofia muscolare di Duchenne. Probabilmente non è una forma grave, ma potrebbe peggiorare. So però che ci sono delle ricerche scientifiche in corso su questa malattia. 25 gennaio 1986. Ho dettato queste righe a mia moglie con molta fatica. Respiro molto male. Evito di guardarmi allo specchio perché mi riflette l' immagine di uno scheletro. Non lavoro più da cinque anni e sto a letto da un anno. Questo 45 compleanno è molto triste. 10 ottobre 1987. Una notizia meravigliosa] Una speranza concreta] A Boston hanno isolato il frammento di Dna responsabile della mia malattia. Forse potrò essere curato] Forse le mie figlie potranno di nuovo avere un padre che lavora e che pensa per loro e non per il quale si devono spendere tutte le risorse della famiglia. Mia moglie è felice... Dai registri dell' ospedale di X., 15 novembre 1987. Oggi alle ore 11 è deceduto il sig. A. R., per paralisi respiratoria. Ma non si poteva fare niente? Non si può ancora fare niente? Effettivamente dalla scoperta del 1987 la scienza ha lavorato. E' stato chiarito che le cellule dei malati, a causa di un difetto del Dna del cromosoma X, cioè quello che determina il sesso (chi ha due cromosomi X è una femmina e chi ne ha uno X e uno Y è un maschio) fabbricano poco o niente di una proteina che, proprio per la sua implicazione nella distrofia muscolare, è stata chiamata distrofina. Da quel momento si è cominciato a pensare se e in quale modo si potesse iniettare del Dna sano nelle cellule malate. Poiché, come si sa, è il Dna che fornisce l' informazione alle cellule perché sintetizzino le proteine, si poteva sperare di «insegnare», per così dire, alle cellule malate come fare la distrofina. Ma come far penetrare in modo efficace il Dna in ogni cellula malata? Le cellule di un uomo sono molti miliardi e ciascuna di esse ha un diametro di pochi millesimi di millimetro. Inoltre la sua parete non è permeabile a molecole grosse come quella del Dna che, se iniettate ad esempio con una siringa, resterebbero fuori di essa. Già due anni fa un gruppo di ricercatori aveva scoperto che cellule muscolari giovani (i mioblasti), che possono essere coltivate in provetta, hanno l' inattesa proprietà, se innestate in muscoli di topi adulti, di mettersi a crescere tra le loro cellule muscolari: e a un certo punto vi si fondono. La cellula muscolare infatti, pur larga pochi millesimi di millimetro, è molto lunga, sicché in un unico corpo cellulare contiene molti nuclei. Ecco che quando le giovani cellule muscolari innestate si fondono con quelle dell' ospite, si ottengono delle cellule muscolari che contengono nello stesso corpo cellulare nuclei delle cellule innestate e nuclei delle cellule dell' ospite. Questi esperimenti sono continuati nel 1990 e nel 1991, e si è visto che se si iniettano nei topi ammalati di distrofia giovani cellule muscolari di topi sani, si ottiene la formazione di cellule muscolari, che accanto ai nuclei malati, e quindi mancanti del Dna per la distrofina, contengono nuclei sani, quindi col Dna per la distrofina. Ebbene queste cellule miste fanno distrofina] Questo nei topi. E nell' uomo? Ecco la novità. Nel fascicolo del 2 aprile della prestigiosa rivista inglese «Nature» è stato pubblicato un articolo di tre gruppi di ricercatori californiani che hanno ripetuto l' esperimento dei topi su esseri umani. Sono stati trapiantate su otto giovani malati di distrofia muscolare cellule muscolari giovani provenienti da parenti stretti (il padre o un fratello) sani. A un mese dal trapianto si è ottenuta prova molecolare certa che almeno in tre dei casi trapiantati le cellule muscolari hanno cominciato e continuato a produrre distrofina normale; e, in un caso esaminato in questi giorni, cioè a sei mesi dal trapianto, si è visto che la distrofina normale continua a essere prodotta. Un ottimo successo dunque, anche se ancora passi fondamentali devono essere compiuti. L' efficienza di fusione delle cellule trapiantate con quelle normali è per ora molto bassa, circa l' 1 per cento, e dunque va aumentata con metodi che sono ancora da studiare. La persistenza del trapianto, almeno in presenza di ciclosporina, il noto farmaco antirigetto, sembra buona. Tutto questo incoraggia a procedere, anche perché, mediante la tecnica del trapianto delle giovani cellule muscolari, si potrebbero veicolare in un organismo anche altri segmenti di Dna sani per i moltissimi casi di malattie dipendenti da difetti del Dna. Giovanni Giudice


FILARIA Ultimo colpo al verme di Esculapio
Autore: PREDAZZI FRANCESCA

ARGOMENTI: ZOOLOGIA, MEDICINA E FISIOLOGIA
NOMI: LAUCKART RUDOLF
LUOGHI: ITALIA
NOTE: 067

L' OMS, Organizzazione Mondiale della Sanità, ha annunciato l' imminente vittoria completa sulla filaria di Medina, un maligno parassita che accompagna l' uomo fin da tempi remoti e che oggi è presente soprattutto in Africa, Asia e America Latina. E' probabile però che quel fastidioso verme sia parente stretto di un altro, ben più noto e illustre serpente: quello che si avvolge intorno alla verga di Esculapio, oggi simbolo delle farmacie. Secondo molti parassitologi tedeschi, non sarebbe altro che il Dracunculus medinensis, nome dotto della filaria di Medina. I medici dell' antichità infatti ebbero presto a che fare con questo parassita, che può raggiungere anche un metro di lunghezza e si insinua sottopelle, in particolare negli arti. Quando il verme bucava la pelle per espellere le sue larve entrava in scena il guaritore, che si serviva di una bacchetta per attorcigliarvi intorno la filaria, poco per volta, con grande pazienza. Questa spiacevole operazione poteva durare anche dieci giorni, durante i quali il paziente doveva portare con sè la famosa verga con il verme attorcigliato. Non è forse l' immagine stessa del simbolo di Esculapio, si chiedono i parassitologi? Il primo racconto certo sul parassita ci viene tramandato da Plutarco, che riporta i viaggi dello storico e geografo greco Agatarchide di Cnidos. Scrive Plutarco che «i popoli del Mar Rosso sono afflitti da molte e sconosciute piaghe, tra cui vermi che come piccoli serpenti escono da loro corpo, mangiano le loro braccia e le loro gambe e ritraendosi quando uno li tocca, si arrotolano nei muscoli e causano dolori insopportabili». Per il biologo tedesco Rudolf Leuckart, un fondatore della moderna parassitologia vissuto nell' Ottocento, la prima testimonianza sarebbe addirittura stata tramandata dalla Bibbia, quando nel Vecchio Testamento i figli di Israele vengono afflitti nel deserto da serpenti infuocati, che altro non sarebbero che i noti parassiti Avranno però vita breve, secondo l' OMS, che spera di dicharare estinta la dracunculosi, di cui essi sono la causa, entro il 1995. Negli ultimi dieci anni i nuovi casi sono scesi da dieci a tre milioni. La lotta contro il parassita sarebbe più facile che quella contro la malaria poiché l' unico modo di contrarre la malattia è quello di bere acqua non bollita. Il ciclo vitale del Dracunculus medinensis è il seguente: le larve nell' acqua vengono trasportate da minuscoli gamberetti che finiscono nell' intestino dell' ospite con l' acqua da bere. Poi attraversano le pareti dell' intestino e si accoppiano nel corpo dell' ospite, il maschio muore poco dopo, ma la femmina si stabilisce sottopelle, causando dolorose infiammazioni. Quando le nuove larve sono mature, perfora la pelle dell' ospite attendendo di poterle deporre di nuovo nell' acqua. Francesca Predazzi


CACCIATORI DI TESTE Nella danza di guerra la papaia è l' immagine del nemico decapitato
Autore: MORETTI MARCO

ARGOMENTI: ANTROPOLOGIA E ETNOLOGIA
LUOGHI: ITALIA
NOTE: 067

QUANDO il navigatore spagnolo Vaez de Torres scoprì, nel 1606, il passaggio fra Capo York e la Papua Nuova Guinea, descrisse gli indigeni che popolavano le isole dello stretto come gente nera, molto corpulenta e completamente nuda. Erano gli eredi di popoli di origine melanesiana e polinesiana sbarcati nell' arcipelago circa duemila anni fa e Vaez de Torres non immaginava che quei tagliatori di teste avrebbero preso il suo nome. Lo stretto, creato dalla sommersione della striscia di terra che quarantamila anni fa permise agli aborigeni di raggiungere l' Australia dall' Asia, prese il nome di Torres; e i suoi abitanti furono chiamati «isolani dello Stretto di Torres». Nella seconda metà dell' Ottocento, il mito dei tagliatori di teste lasciò il posto a quello più venale dei pescatori di perle: le isole diventarono uno dei più importanti centri mondiali di questa redditizia attività. Dall' arcipelago e dalla città di Broome (Australia Occidentale) veniva più della metà delle perle pescate nel mondo. Ma anche il mito delle perle si esaurì: oggi vengono coltivate e la principale attività degli isolani è diventata la pesca. All' arrivo dei inglesi, gli isolani erano tecnicamente più avanzati di qualsiasi tribù aborigena australiana. Usavano arco e frecce, pescavano, cacciavano, coltivavano la terra, allevavano cani e maiali e navigavano abilmente fra le onde dell' oceano. Nonostante fossero temibili guerrieri, non furono mai dominati da un capo, nè s' è trovata traccia di forme strutturate di potere. Il riferimento dell' organizzazione sociale era il clan, simboleggiato da un totem con sembianze animali. La proprietà della terra era però legata agli individui; tramandata di padre in figlio, era assoluta: chi entrava senza permesso nella terra altrui poteva essere ucciso. Il clan rappresentava la continuazione della tradizione, ma anche una sorta di difesa genetica e ambientale. Ai suoi membri era vietato sposarsi fra loro e uccidere l' animale che li simboleggiava. Benché poco diffusa, era ammessa la poligamia ed era praticato il divorzio. Non adoravano alcun essere supremo, associavano invece i miti di alcuni eroi guerrieri e pratiche rituali legate alla loro concezione totemica. A dispetto della loro antica fama di cacciatori di teste è ancora oggi la danza a scandire i momenti più importanti della vita dell' isolano e del clan a cui appartiene. Fra i vari cerimoniali di danza, il più importante ed elaborato è quello dell' iniziazione del maschio: segna il passaggio dall' infanzia all' età adulta. Prima della cerimonia il ragazzo viene condotto in un luogo appartato nella foresta, dove un anziano gli svela la tradizione, le regole di comportamento e la conoscenza tribale. Dopo un mese di isolamento il giovane ritorna al villaggio e viene avvicinato dai tre zogole, gli uomini della magia. Il primo zogole danza indossando una maschera con sembianze umane, il secondo ruba la maschera del primo e viene inseguito dal terzo travestito da squalo (si tratta di maschere in legno intagliato o fabbricate intrecciando foglie o lavorando gusci di tartaruga). Quindi i membri dei diversi clan impugnano i loro totem (con sembianze di cani, uccelli, pesci, serpenti, tartarughe) e, al ritmo dei tamburi ballano in cerchio attorno all' iniziato e ai tre zogole, che nel frattempo sono stati ricoperti di penne bianche. Altre danze celebrano i matrimoni, il cambio delle stagioni o momenti della vita quotidiana, come una buona caccia o un' abbondante pesca. Durante le feste è ancora praticata l' antica danza della guerra: ogni uomo balla stringendo nella mano sinistra un arco e una freccia e in quella destra una noce di cocco o una papaia (rappresentazioni simboliche della testa del nemico decapitata in battaglia). Le isole occidentali e orientali praticano riti funerari diversi fra loro: ambedue incentrati sulla danza, celebrata sul Kwod, il terreno di incontro degli uomini membri del clan totemico, e ritmata dal suono dei tamburi che accompagna lo spirito del defunto in una «isola oltre il mare». Interpreti di questi riti sono solitamente i maschi. In alcune isole e in certe occasioni, anche le donne praticano delle danze, mai però assieme agli uomini. Dal rito all ' arte: gli isolani dello Stretto di Torres sono diventati celebri per le loro danze in tutto il Pacifico, partecipando all' International Festival of Pacific Arts, il più grande raduno tribale del continente che coinvolge, ogni quattro anni, più di mille artisti provenienti da 26 nazioni dell' Oceania. Marco Moretti


I RAGNI PISAURA Pacco dono per conquistare la sposa Ma qualche volta la bella lo prende e scappa
Autore: LATTES COIFMANN ISABELLA

ARGOMENTI: ETOLOGIA, BIOLOGIA, ANIMALI
NOMI: THORNHILL RANDY, AUSTAD STEVEN
LUOGHI: ITALIA
NOTE: 067

IL biologo Randy Thornhill dell' Università del Nuovo Messico, famoso perché ha scoperto che anche tra gli insetti ci sono i travestiti, è considerato uno dei maggiori esperti in materia di costumi sessuali degli artropodi (il phylum, cioè la categoria degli artropodi, che significa «piedi articolati», comprende non solo gli insetti, ma anche i ragni, i crostacei e i miriapodi). Ed ecco che ora ci rivela i segreti d' alcova di un ragno, per l' appunto, la Pisaura mirabilis. Sono i risultati di una ricerca compiuta insieme con Steven N. Austad, con la certosina pazienza che uno studio del genere comporta. Sfatata innanzitutto la leggenda che tutti i ragni femmina si facciano pasto dello sposo dopo il connubio. Tra le trentamila specie di ragni conosciute, si può dire che si contino sulle dita di una mano quelle in cui l' accoppiamento si conclude così tragicamente. Nella stragrande maggioranza dei casi, il maschietto, sempre più piccolo della femmina, riesce a portare a termine la sua funzione fecondatrice e a svignarsela sano e salvo. Come al solito, basta il cattivo comportamento di pochi, per gettare una macchia d' infamia su tutta la famiglia. Ma vediamo come procedono i fatti nella Pisaura mirabilis. Non appena raggiunge la maturità sessuale, il maschio perde il vizio di mangiare. Continua però a dar la caccia alle piccole prede come faceva di solito. Ne cattura una, l' avvolge in un lembo di seta, se la tiene ben stretta tra le mandibole, senza per altro succhiarsela e parte alla ricerca dell' anima gemella. Non appena la trova, le si avvicina con una certa titubanza e le presenta l' omaggio commestibile. Lei allora lo esamina accuratamente passandoci sopra i pedipalpi (che sono le corte appendici poste ai lati delle mascelle ) come se volesse misurarlo con un compasso. E' chiaro che ne prende le misure, perché se lo stima troppo piccolo, lo rifiuta sdegnosamente e se ne va, piantando in asso lo spasimante. Se invece lo ritiene sufficientemente grande, lo morde e incomincia a mangiarselo, segno che accetta la corte del maschio. Certe volte però fa la furba, acchiappa il dono nuziale e cerca di allontanarsi. Lui però la segue e non la molla. Vedremo come fa a impedire che lei se la squagli. Una volta che la femmina è tutta intenta a divorarsi l' insettino, lui le sguscia sotto l' addome e introduce uno dei suoi pedipalpi in una delle due aperture genitali A questo punto bisogna conoscere l' antefatto. Sprovvisto com' è di organo copulatore, il ragno maschio delega la funzione fecondatrice ai pedipalpi, che sono anatomicamente conformati per la bisogna. Terminano con un bulbo contenente un tubicino avvolto a spirale. Hanno però l' inconveniente di trovarsi lontano dagli organi genitali che emettono lo sperma. Ma il rimedio è presto trovato. Con la sua fabbrica di seta perennemente in funzione, il ragnetto fabbrica un fazzoletto di tela, vi posa sopra una goccia di sperma poi vi intinge il bulbo dei pedipalpi che l' aspirano e in questo modo diventano carichi e pronti per l' uso. Il maschio dunque ne introduce uno e ve lo lascia per un' ora buona, poi fa un «coffee break» per rifocillarsi, cioè torna alla posizione primitiva e dà un morsettino alla preda che la femmina sta mangiando. Dopo di che torna sotto l' addome di lei e introduce l' altro pedipalpo carico di sperma nella seconda apertura genitale femminile e anche questa seconda fecondazione dura un' oretta. (Non avremmo mai immaginato che la fecondazione fosse una faccenda così lunga in un animaletto minuscolo come il ragno). Poi viene fuori e se c' è ancora da mangiare, vuol prendere parte anche lui al banchetto. Cosa che suscita l' ira di lei e i due combattono aspramente per contendersi il boccone. Capita anche che il maschietto riesca a pigliarsi quel che rimane della preda e se ne scappi via con il bottino. Gli servirà per abbordare un' altra femmina. Come hanno avuto modo di constatare i due ricercatori, il ragno maschio non manca d' astuzia. Se la preda che deve servire da dono nuziale è molto piccola, lui l' avvolge generosamente di parecchi strati di seta per farla sembrare più grande. Lei del resto non va tanto per il sottile. Si mangia l' insettino con tutto l' imballaggio. Del resto non ci fa un cattivo affare, la seta è un ottimo alimento, ricco di proteine. Il maschio ricorre poi a un' altra furberia. Tiene in un certo senso al guinzaglio il dono nuziale, mediante un sottile ma robusto filo di seta attaccato alle sue filiere. In questo modo, se la femmina tenta di scappare con il bocconcino prima che lui abbia terminato di fecondarla, non ci riesce, perché il filo di seta la trattiene. La femmina ha tutto l' interesse di dare la preferenza ai maschi che si presentano con un voluminoso dono nuziale. Più mangia e più diventa grossa. Più è grossa e più uova produce. I due ricercatori hanno constatato che una Pisaura a cui si somministri una mosca al giorno depone uova in quantità doppia rispetto a una collega alla quale si dia in pasto una mosca ogni tre giorni. Il dono nuziale rappresenta comunque uno dei suoi ultimi pasti e da esso dipende se lei, madre, sarà in grado di vivere abbastanza a lungo da proteggere efficacemente la prole. Una volta deposte le uova, la Pisaura femmina cessa di mangiare. La cura dei figli l' assorbe al punto tale che non ha più tempo per cacciare. Per circa tre settimane tiene stretto tra le mascelle il sacco sericeo che contiene le uova separandosene soltanto per esporle ogni tanto al sole. Ma poco prima che dalle uova sguscino i neonati, la madre costruisce una ragnatela nursery e vi appende il bozzolo, rimanendo a guardia del suo tesoro. La sua sorveglianza è indispensabile, perché se lo sperimentatore l' allontana dal suo posto, immediatamente accorrono da ogni parte ragni di altre specie, che in quattro e quattr' otto fanno piazza pulita dei teneri ragnetti. Isabella Lattes Coifmann


LA MISURA DEL TEMPO Dalla molla al quarzo Orologio meccanico o digitale?
LUOGHI: ITALIA
TABELLE: D
NOTE: 068

NEGLI orologi tradizionali, meccanici, l' energia per il funzionamento è fornita da una molla di acciaio a spirale; la distribuzione di tale energia viene controllata meccanicamente attraverso il bilanciere, che regola il movimento del tamburo a cui la molla è collegata; da questa il moto viene trasmesso direttamente al pignone dei minuti, che compie un giro ogni ora; una serie di ingranaggi lo rapporta poi ai pignoni delle ore e dei secondi. Nell' orologio digitale la molla a spirale è sostituita da un cristallo di quarzo e da un microprocessore. Il quarzo è un minerale piuttosto diffuso in natura, specie in Brasile; tuttavia per evitare impurità i cristalli impiegati negli orologi sono generalmente fabbricati artificialmente in condizioni controllate. Essi, quando sono attraversati dalla corrente elettrica di una batteria, hanno la proprietà di emettere vibrazioni, precisamente 32. 768 impulsi per secondo. Passando attraverso il microprocessore tali impulsi vengono ripetutamente dimezzati fino ad ottenere un impulso il secondo. Ogni impulso fa sì che il microprocessore invii un segnale al quadrante digitale in modo da fa avanzare il conteggio dei secondi; lo stesso impulso governa anche le altre funzioni: ora data, sveglia. Molti orologi moderni indicano il tempo in numeri su uno schermo a cristalli liquidi (Lcd); questo è costituito da una sottile pellicola liquida sensibile alle cariche elettriche inserita fra due superfici di vetro. Dei conduttori elettrici trasparenti dividono i cristalli in vari segmenti le cui molecole si «riorientano» a seconda che siano o no cariche elettricamente; quando non sono carichi elettricamente i segmenti sono invisibili mentre quando sono investiti dalla carica elettrica appaiono scuri; combinandosi tra loro «disegnano» i numeri.


LE DATE DELLA SCIENZA Suggerita da una banda musicale la prima idea dell' effetto Doppler
Autore: GABICI FRANCO

ARGOMENTI: STORIA DELLA SCIENZA
NOMI: DOPPLER CHRISTIAN
LUOGHI: ITALIA
NOTE: 068

CENTOCINQUANTA anni fa il fisico austriaco Christian Doppler pubblicava il saggio «Sulla luce colorata delle stelle doppie e di qualche altro astro celeste». In questo lavoro compariva la trattazione di quello che oggi è conosciuto come effetto Doppler. Per questo «effetto», valido in tutti i fenomeni ondulatori, la lunghezza d' onda emessa da una sorgente viene percepita «modificata» se osservatore e sorgente si muovono l' uno rispetto all' altro. Se un' auto si avvicina, ad esempio, percepiamo il rombo del motore più acuto mentre quando si allontana il rombo risulta più grave. Sembra che Doppler si sia interessato al fenomeno dopo avere ascoltato una banda musicale che sfilava per la strada (in particolare fu colpito dal suono di un «bombardone» ). Anche se gli esempi più evidenti si trovano nelle onde sonore, l' effetto fu studiato per le onde luminose e ancora oggi in astronomia è usato come prezioso strumento di indagine: per conoscere la velocità radiale delle stelle, per studiare la rotazione del Sole, per il rilievo delle stelle doppie. Lo stesso red shift (o spostamento verso il rosso) viene interpretato come effetto Doppler dovuto alla velocità di allontamento delle galassie. Curiosità: Doppler, nonostante avesse formulato esattamente il fenomeno, era convinto che i colori delle stelle fossero da interpretare sulla base del suo effetto. Se una stella stava avvicinandosi alla Terra il suo colore doveva essere azzurro, mentre una stella in allontanamento sarebbe apparsa rossa. La velocità della luce, però, è molto maggiore di quella delle stelle e quindi l' effetto risulta impercettibile. La stella Antares, ad esempio, è rossa non perché si sta allontanando ma perché la sua temperatura superficiale è tale da farle emettere luce rossastra (legge di Wien). Fu Armand Louis Fizeau, dopo che furono scoperte le righe di Fraunhofer negli spettri degli oggetti celesti, a dimostrare che le differenze di lunghezza d' onda potevano essere misurate e interpretate come effetto Doppler. Franco Gabici


STRIZZACERVELLO Travasando travasando
Autore: PETROZZI ALAN

ARGOMENTI: GIOCHI
LUOGHI: ITALIA
NOTE: 068

Travasando travasando Nel campo della matematica ricreativa sono piuttosto frequenti i problemi legati a determinate operazioni di travaso da compiere disponendo di recipienti di capacità particolare. In quello che vi presentiamo oggi, i recipienti in questione sono ben quattro: il primo da 24 litri, riempito completamente di acqua, e gli altri, vuoti, rispettivamente della capacità di 13, 11 e 5 litri. Il problema è quello di dividere esattamente i 24 litri in tre parti uguali e quindi in tre «razioni » da 8 litri ciascuna operando dei semplici quanto inevitabili travasi. Considerando che ogni passaggio d' acqua tra due recipienti conta come un' operazione, vi annunciamo che nella soluzione che leggerete domani accanto alle previsioni del tempo, il risultato si ottiene con 7 operazioni. (a cura di Alan Petrozzi)


LA PAROLA AI LETTORI Edifici altissimi, purché il sottosuolo regga]
LUOGHI: ITALIA
NOTE: 068

MOLTI lettori ci hanno fatto sapere che la risposta sulla cucitura dei palloni di cuoio non li ha soddisfatti. Eccone un' altra, più circostanziata: «Se ben ricordo il procedimento, i tasselli di cuoio venivano cuciti alla rovescia. Arrivati vicino all' apertura che serviva per infilare la camera d' aria, non si cucivano gli ultimi due lati e si rivoltava il tutto. Poi, con un ago ricurvo, si terminava la cucitura sui due lati ben consolidando i due estremi, così l' apertura con i buchi per la stringa di chiusura era sicura La camera d' aria aveva un beccuccio: si infilava sgonfia e si gonfiava con una pompa da bicicletta. Il beccuccio veniva poi inserito a forza dentro l' apertura. Infine, si tirava la stringa di cuoio il più forte possibile, usando una specie di asta di ferro ricurva, con un' asola per infilare la stringa». (Luigi Bellardi Regina Margherita, To) Ipotizzando la disponibilità di tutti i materiali da costruzione naturali e artificiali, quale altezza potrebbe raggiungere il più alto edificio oggi possibile? In teoria, non esistono limiti di altezza. In pratica, l' unica limitazione è dettata da problemi economici: i piani bassi, infatti, sarebbero costituiti unicamente dai pilastri dell' edificio. (Luigi Sisinna, Catania) L' altezza massima per un edificio non è limitata tanto dai materiali da costruzione (basterebbe infatti aumentare la sezione delle fondamenta e dei muri perimetrali proporzionalmente al carico sovrastante) quanto piuttosto dalla resistenza del suolo. A New York è stato possibile costruire un grattacielo come l' Empire State Building (380 metri) grazie alla presenza, nel sottosuolo di Manhattan, a circa trenta metri di profondità, di uno strato grani tico particolarmente resistente. Per contro, la Torre di Pisa, benché solidissima, sprofonda lentamente nel suolo perché questo non è sufficientemente resistente da sopportarne il carico. (Mauro Rima Bellinzona, Svizzera) In un edificio altissimo si avrebbero enormi pressioni sulla base nei pressi della quale i materiali, comportandosi come un fluido, verrebbero spinti verso l' esterno in direzione radiale. L' equilibrio tra peso dell' edificio e resistenza alla spinta all' esterno determina l' altezza massima. (Roberto Casalegno Moncucco, At) Per costruire muri diritti si usa il filo a piombo. Ciò significa che tutti i muri di una città sono paralleli? Secondo la legge di gravità, il peso del filo a piombo viene attratto verso il centro della Ter ra, per cui il filo a piombo è perpendicolare alla superficie terrestre. Essendo tale superficie curva, due fili a piombo posti in due punti diversi non potranno essere paralleli. Da ciò si deduce che i muri di una città, costruiti usando come riferimento un filo a piombo, in luoghi differenti, non possono risultare paralleli. (Elisabetta Zuvadelli Arona) Il filo a piombo si dispone secondo la verticale del luogo, si orienta cioè verso il punto di applicazione della risultante delle forze di attrazione terrestri, comunemente chiamato «centro della Terra». Pertanto, non solo i muri dei palazzi di una città, ma anche quelli di una stessa casa non saranno paralleli, ma impercettibilmente convergenti verso il basso. Per gli amanti dei dettagli, i muri di una casetta di undici metri di lato, nella direzione Nord Sud, saranno convergenti di 1/1000 di grado (poco più di un terzo di secondo). (Fabio Borsani Verbania) La forza di gravità attira le masse verso il centro della Terra, di conseguenza i fili a piombo si dispongono secondo rette convergenti in tale centro. Gli spigoli dei muri risultano segmenti di rette concentriche, perciò non sono paralleli. L' illusione del parallelismo nasce dalle dimensioni: le altezze dei muri sono molto piccole rispetto alle loro distanze dal centro della Terra. (Alessandro Pisano Torino)


CHI SA RISPONDERE?
LUOGHI: ITALIA
NOTE: 068

La domanda sul battimani non ha ricevuto risposte soddisfacenti. La riproponiamo perciò, insieme con quelle nuove. & Perché si applaude battendo le mani? & Vorrei sapere quanto tempo vivevano i dinosauri. (Louise Bloomfield) & Capita spesso che le zanzare infastidiscano una persona e lascino in pace quella vicina. Come fannno a sapere qual è quella succulenta? & E' possibile incrociare un cammello con un dromedario? E se sì, quante gobbe avranno i figli? _______ Risposte a: «La Stampa, Tuttoscienze», via Marenco 32, 10126 Torino, oppure al fax numero 011 65 68 688, indicando chiaramente TTS.




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