TUTTOSCIENZE 1 aprile 92


TRE MOSTRE: TORINO, VENEZIA, GRENOBLE I dinosauri tra noi Alcune specie non si sono estinte ma si sono evolute dando origine agli uccelli Dall' Archaeopteryx, «rettile pennuto», al Sinornis, antenato di passeri e galline
Autore: BOZZI MARIA LUISA

ARGOMENTI: PALEONTOLOGIA, MOSTRE
LUOGHI: ITALIA
NOTE: 045

E' stato chiamato Sinornis, uccello cinese, e ha 135 milioni di anni. Sterno, coda e zampe da uccello, denti, bacino e scheletro della mano da dinosauro, Sinornis è un «anello mancante», una tappa di quel lungo cammino verso il volo che segnò l' evoluzione degli uccelli a partire dai dinosauri. La conferma di questo legame di parentela sottolinea ancora una volta il ruolo centrale che i dinosauri coprirono nell' evoluzione dei vertebrati superiori, e nello stesso tempo mette in evidenza che questi rettili estinti, a 150 milioni di anni dal loro ingresso nel nostro mondo, sono protagonisti di un dibattito scientifico vivace, almeno tanto quanto le nostre fantasie. Il più antico uccello finora conosciuto è Archaeopteryx, che visse 150 milioni di anni fa. Nonostante la piccola taglia (grande quanto un piccione, ma anche certi dinosauri carnivori superavano di poco queste misure) è più un rettile pennuto che un uccello, con il becco armato di denti appuntiti, le tre dita munite di artigli sull' ala, la lunga coda di 23 vertebre, il bacino primitivo e il torace privo di sterno. Ma degli uccelli ha già l' osso a forcella, conosciuto nel pollo delle nostre mense come l' osso dei desideri, e soprattutto le penne. Fin dalla sua scoperta, avvenuta nel 1861, il dibattito su Archaeopteryx è stato acceso, sia per le implicazioni teoriche (solo due anni prima Charles Darwin aveva pubblicato «L' origine della specie»: riconoscere Archaeopteryx come anello mancante significava ammettere la teoria dell' evoluzione), sia perché l' interpretazione del fossile richiedeva una conoscenza dei dinosauri che non si aveva. Ciononostante, già allora Thomas Huxley sostenne fortemente che le somiglianze fra Archaeopteryx e certi dinosauri carnivori (i celurosauri) erano troppo evidenti perché non si dovessero considerare parenti. Solo nel nostro secolo, però, e da pochi anni, questa idea è stata accettata. Nel frattempo, altri fossili sono venuti alla luce e un nuovo modo di interpretarli si è affermato, così che oggi i dinosauri appaiono non più come bestioni lenti, goffi e un po' tardi, bensì come rettili portatori di caratteri innovatori rispetto agli animali del loro tempo. Fu soprattutto la scoperta nel 1964 di Deinonychus, un carnivoro lungo poco più due metri e dalle caratteristiche di predatore scattante, agile e veloce, a chiarire la posizione di Archaeopteryx, che con questo dinosauro divide certe caratteristiche scheletriche, come la conformazione del polso. Si affermò così, all' inizio degli Anni 80, l' idea che gli uccelli sono i diretti discendenti di dinosauri carnivori di modeste dimensioni, probabilmente caratterizzati da un metabolismo elevato tipico di animali a sangue caldo, e dotati di comportamenti complessi. Molti problemi però sono rimasti aperti. Non è ancora chiaro infatti se Archaeopteryx è davvero l' antenato degli uccelli o non è piuttosto un vicolo cieco dell' evoluzione, nè sono note le tappe successive, perché i fossili finora ritrovati dei suoi probabili discendenti si collocano a 125 milioni di anni e hanno caratteristiche più di uccelli che di rettili. Ma ora Sinornis, che si pone in questo intervallo, colma una lacuna di 30 milioni di anni e getta una luce sulle prime fasi della storia evolutiva degli uccelli, finora avvolte nel mistero. Sinornis viveva, dunque, 135 milioni di anni fa nel Cretacico inferiore, in un ambiente di palude ricco di pesci e di insetti della regione asiatica. Ricoperto dal limo e preservato così dai processi distruttivi della decomposizione, il fossile è stato scoperto nella Cina Settentrionale nel 1990 e descritto ora su Science da Paul Sereno e Rao Chenggang. Ancora più piccolo (quanto un passero) di Archaeopteryx, Sinornis ne conserva il cranio corto, i denti, le tre dita (solo il secondo però è completamente sviluppato) munite di unghie sulle ali e la struttura del bacino. Ma la coda è già quella degli uccelli, e così pure il polso: flesso, in modo che l' ala può piegarsi nel volo battente e chiudersi sui fianchi nella fase di riposo. E, soprattutto, Sinornis ha lo sterno, sul quale si inseriscono i muscoli pettorali, il vero «motore» del volo alato. Diversamente da Archaeopteryx, sulla cui capacità di volare molto si discute (probabilmente da buon corridore «decollava» starnazzando come i polli per brevi tratti) Sinornis non pone dubbi: secondo i suoi scopritori questa è la struttura di un animale che vola. A confermare ulteriormente la vita aerea si aggiunge la struttura delle zampe: a quattro dita, con l' alluce opponibile rivolto all' indietro, indicano che questo uccello primitivo poteva stare appollaiato su un ramo. Secondo Paul Sereno ora sono evidenti i punti salienti delle fasi primitive dell' evoluzione degli uccelli: da «dinosauri pennuti» che razzolavano a livello del terreno come Archaeopteryx, divennero animali modellati per il volo come Sinornis, che conducevano vita prevalentemente sugli alberi. E di qui agli uccelli attuali, passeri, falchi, gabbiani. Grazie a loro, i dinosauri non si sono estinti. Maria Luisa Bozzi


DOVE VEDERLI Dalla Cina un colosso di 22 metri
Autore: BOZZI MARIA LUISA

ARGOMENTI: PALEONTOLOGIA, MOSTRE
LUOGHI: ITALIA
NOTE: 045

SI è aperta in questi giorni a Torino (28 marzo 14 giugno) la mostra «Mamenchi e Tsintao» che espone reperti di dinosauri provenienti dalla Cina. Ambientati nella scenografica architettura di uno degli edifici più importanti del barocco piemontese (l' ospedale S. Giovanni) recuperato con un' abile opera di restauro, sono esposti come «radiografie metafisiche» gli scheletri di Mamenchisaurus, un prosauropode lungo 22 metri, l' animale dal collo più lungo del mondo, e di Tsintaosaurus, un dinosauro di 4 metri dal «becco d' anatra». Nell' inaugurare in questo modo le prime sale espositive del nuovo Museo Regionale di Scienze Naturali, la mostra, che si avvale anche di un percorso didattico, si colloca nella serie di iniziative sorte in tutto il mondo tra la fine del ' 91 e l' inizio del ' 92 per celebrare «l' anno del dinosauro». Ricorre infatti in questo periodo il centocinquantesimo anniversario della creazione del termine «dinosauro» da parte del paleontologo inglese Richard Owen. Grazie a questa ricorrenza, il visitatore italiano ha più occasioni per approfondire le sue conoscenze sui dinosauri. A Venezia (Museo di storia naturale, fino al 10 giugno) la mostra «I dinosauri del deserto di Gobi» presenta i risultati degli scavi della fondazione Ligabue in Mongolia, fra cui 13 scheletri completi. Oltralpe, a Grenoble (Orangerie du Museum d' Histoire Naturelle, fino al 26 aprile) la mostra «Les dinosaures» presenta in grandezza naturale robot animati di alto valore scientifico e tecnologico. m. l. b.


BUCO DELL' OZONO Minaccia sui mari antartici Troppi ultravioletti, meno (6 12% ) fitoplancton
Autore: RAVIZZA VITTORIO

ARGOMENTI: ECOLOGIA, MARE
LUOGHI: ITALIA
NOTE: 045

L' AUMENTO della radiazione ultravioletta che raggiunge la superficie terrestre a causa della rarefazione dell' ozono, il gas che ha il compito di filtrarla, provoca nei mari antartici una drastica diminuzione della produzione di fitoplancton, cioè dei minuscoli organismi vegetali che costituiscono la base della catena alimentare e dai quali dipendono tutti gli altri organismi marini e terrestri dell' Antartide. Lo afferma un gruppo di studiosi Usa valutando i risultati di una ricerca di sei settimane nei mari antartici svolta nella primavera del 1990. In un dettagliato resoconto pubblicato sulla rivista americana «Science» gli studiosi affermano di aver riscontrato «per la durata della ricerca una diminuzione nella produzione primaria tra il 6 e il 12 per cento in concomitanza con l' assottigliamento della copertura dell' ozono». Questa notizia esce proprio mentre viene pubblicato a cura del Programma delle Nazioni Unite per l' ambiente (Unep) un rapporto in cui si mette in evidenza la responsabilità delle radiazioni ultraviolette nell' aumento dei tumori della pelle, e mentre si attendono i risultati delle ricerche sull' ozono compiute durante l ' ultimo volo della navetta americana «Atlantis». E' la prima volta che vengono documentati in maniera precisa gli effetti del «buco dell' ozono», che in primavera si forma sull' Antartide per cause naturali ma che è stato ingigantito negli ultimi anni dall' effetto distruttivo dei Cfc. Le conclusioni, purtroppo, sono piuttosto allarmanti. Nei mari antartici il fitoplancton, costituito per la massima parte di alghe unicellulari, è l' unico alimento del «krill» , termine con il quale si indicano i grandi banchi di «Euphasia superba», un gamberetto lungo pochi centimetri. Di krill si nutrono in primo luogo molti pesci, che a loro volta sono l' alimento base di foche, pinguini e altri uccelli. Il krill, poi, costituisce l' alimento praticamente esclusivo dei cetacei misticeti (quelli cioè privi di denti ma dotati di fanoni) tra cui balenottere e megattere. La ricerca è stata compiuta da 13 studiosi delle università di California, delle Hawaii e della prestigiosa Scripps Institution of Oceanography di La Jolla (San Diego) nel Mare di Bellingshausen. Durante la primavera antartica il ghiaccio marino sciogliendosi provoca in mare la formazione di uno strato superficiale di acqua relativamente dolce al disopra di quella profonda più salata. E' in questo strato che si concentra la proliferazione delle microalghe. «Pettinando» un rettangolo di mare di circa 280 per 72 chilometri la spedizione ha constatato che i raggi ultravioletti penetrano fino ad una profondità di oltre 60 70 metri. Lo strato di ozono è stato misurato ricorrendo al sistema Toms posto sul satellite «Nimbus 7», con apparecchi collocati su palloni stratosferici e con stazioni a terra. E' stato accertato che la sua consistenza è stata per la maggior parte del tempo di circa 150 unità Dobson, contro le 350 unità normali durante l' estate, e che il fitoplancton ha sofferto in particolare per il forte aumento della radiazione ultravioletta della banda B (quella di lunghezza d ' onda intermedia). Volutamente lo studio non giunge a conclusioni univoche: «Bisogna essere cauti affermano i ricercatori americani nell' ipotizare conseguenze ecologiche di lungo termine sulla base di osservazioni limitate nel tempo». E ancora: «L' estrapolazione di questi dati per fare una previsione dell' impatto sulla dinamica e sulla vitalità dell' insieme degli organismi marini è incerta e l' impatto stimato sull' ecosistema marino dell' Antartide potrebbe essere insignificante ma anche catastrofico». Quanto al rapporto dell' Unep esso prevede che la diminuzione del 10% della consistenza della fascia dell' ozono attesa entro il 2000 causerà un aumento del 26% dell' incidenza dei tumori della pelle diversi dai melanomi (anch' esso attribuibile prevalentemente alla radiazione B). Il dermatologo olandese Jan Van Der Leun, che ha presieduto il comitato di esperti dell' Unep, ha aggiunto che c' è da attendersi un milione di casi in più di cataratta nei dieci anni successivi. Alla domanda se ritenga che il buco dell' ozono sia una minaccia alla biodiversità delle specie ha risposto: «Sì, l' equilibrio tra le specie vegetali rischia di essere modificato, e alcune potrebbero scomparire». Anche Van Der Leun ritiene che la radiazione ultravioletta causi una diminuzione della produzione di fitoplancton nelle acque marine. Le microalghe che lo compongono per crescere assorbono anidride carbonica. Vedremo dunque aumentare questo gas nell' atmosfera? E con quali effetti? «Principalmente un' accelerazione dell' effetto serra» risponde Van der Leun. Vittorio Ravizza


NUOVI ELABORATORI Alla frontiera del supercalcolo Computer potente come tutti quelli attuali messi insieme
Autore: FOCARDI SERGIO

ARGOMENTI: INFORMATICA, TECNOLOGIA
NOMI: SIMON HERBERT
ORGANIZZAZIONI: THINKING MACHINES
LUOGHI: ITALIA
NOTE: 046

NELLE scorse settimane una piccola azienda americana dal nome provocatorio, Thinking Machines, ha annunciato di essere in grado di costruire elaboratori che, in linea di principio, possono superare la barriera del Teraflops. Teraflops, acronimo delle parole inglesi Tera Floating Point Operations per Second, è una misura di velocità di elaborazione che equivale a un milione di milioni di operazioni aritmetiche su numeri decimali al secondo. Per avere un' idea della dimensione di questo numero in rapporto alla tecnologia del calcolo si pensi che la potenza di calcolo cumulativa dei circa 600 supercomputer installati nel mondo al 1990 si può stimare in 1 4 Teraflops, per cui una sola di queste nuove macchine si avvicina alla potenza di tutti i supercomputer in esercizio in tutto il mondo nel 1990. Installare la prima macchina capace di un Teraflops è il traguardo più ambito nel mondo del supercalcolo. Al momento la soluzione della Thinking Machines non sembra ancora pratica in quanto, ad esempio, chiunque voglia procurarsi una di queste macchine deve disporre di almeno mezzo miliardo di dollari e di uno spazio grande quanto un campo da tennis. Insieme con la Thinking Machines, la grande azienda americana di semiconduttori Intel Corporation sembra la più vicina a poter produrre un elaboratore da un Teraflops, ma almeno altre cinque o sei aziende di supercalcolo in America, in Europa e in Giappone ci stanno lavorando. Tutte le aziende applicano a questo fine la nuova tecnologia dell' elaborazione ad alto parallelismo, in cui un gran numero di microprocessori lavorano tutti assieme. In questo modo si possono ottenere prestazioni crescenti, senza limiti teorici, aggiungendo microprocessori. Poiché si impiegano tecniche di produzione su larga scala, i costi di queste macchine sono molto bassi rispetto a quelli dei tradizionali supercomputer. Si pensa che, entro due o tre anni, elaboratori capaci di un Teraflops saranno disponibili a costi economicamente giustificabili. Gli elaboratori ad alto parallelismo presentano alcune difficoltà di programmazione in quanto rendono necessario decomporre i problemi in un gran numero di sottoproblemi indipendenti e di individuare strategie di comunicazione molto efficienti. Ma poiché le macchine parallele possono essere acquistate in taglie variabili semplicemente riducendo o aumentando il numero dei processori, esse vengono nel frattempo vendute in versioni ridotte rispetto alla loro massima potenza teorica, consentendo l' accumulo di una grande esperienza di programmazione. Perché tanto interesse per elaboratori capaci di superare il Teraflops? Ci sono molte ragioni che promettono non solo di cambiare profondamente il modo di fare scienza e tecnologia ma di rivoluzionare anche il mondo della finanza. La prima, ben nota, è la tecnologia della simulazione. La scienza moderna si è sviluppata con l' accumulo di conoscenze sperimentali interpretate matematicamente. La fisica matematica si è rivelata uno strumento molto potente per esprimere leggi fisiche di grande generalità ed organizzarle in uno schema deduttivo. Tuttavia, per quanto potente nella sua capacità esplicativa, la matematica tradizionale è piuttosto povera nella sua capacità di fornire dettagli nei problemi pratici, con la conseguenza che, fino a tempi molto recenti, le applicazioni tecnologiche della scienza hanno dovuto accontentarsi di drastiche semplicificazioni teoriche. Con l' arrivo dei computer ad alta velocità si è scoperto che gran parte delle leggi fisiche si potevano ricostruire come procedure elaborative che agiscono su modelli dettagliati. Un modello è una rappresentazione di un oggetto o di un processo fisico attraverso un gran numero di dati che rappresentano grandezze fisiche che lo descrivono, legate da procedure che un elaboratore può eseguire. L ' accuratezza del modello è limitata solamente dalla potenza dei mezzi di calcolo disponibili, per cui, in pratica, disporre di elaboratori di potenza superiore al Teraflops apre la possibilità di simulare fenomeni e prodotti su una nuova scala di dimensioni con importanti conseguenze per la competitività industriale. Aree importanti aperte alla simulazione sono le previsioni meteorologiche, la simulazione globale dei veicoli terrestri e del volo dei velivoli, la fisica delle particelle, la chimica computazionale, lo studio della combustione, la simulazione dei giacimenti petroliferi. La corsa al Teraflops ha anche un' altra ragione, meno nota ma le cui conseguenze sono rilevanti. La scienza e la tecnologia sono state in buona parte frutto della creatività individuale, che in tempi recenti è stata incanalata nel lavoro di ampie equipes di ricercatori e tecnici. Con le potenze di calcolo che saranno disponibili, stiamo oggi per assistere all' automazione del processo di ricerca scientifica e di costruzione di soluzioni tecnologiche attraverso l' intelligenza artificiale. Le tecniche dell' intelligenza artificiale simulano la creatività attraverso una ricerca guidata da opportuni criteri in un insieme di possibilità, come è il caso dei metodi euristici introdotti dal premio Nobel Herbert Simon. Si comincia solo ora a intravedere le enormi possibilità in termini di capacità di scoperta scientifica e di sintesi di soluzioni tecniche di questi metodi che utilizzano la simulazione come base di conoscenza o creano le loro proprie strutture causali a partire dai dati dell' esperienza. Un fatto molto significativo, anche se ancora poco sfruttato, è l' applicabilità di metodologie di calcolo intensivo alle scienze sociali ed economiche nonché a problemi finanziari. Grandi potenze di calcolo a basso costo rendono economica la costruzione di grandi modelli econometrici con tecniche di intelligenza artificiale su cui basare i processi decisionali e di costruzione di politiche. C' è oggi un grande interesse per queste metodologie non solo da parte degli istituti centrali di statistica e delle agenzie di pianificazione economica ma anche da parte delle grandi banche, delle società di assicurazione e di altri enti finanziari. L' American Express ha una Thinking Machines, la Prudential Securities la più potente macchina parallela della Intel, la NatWest si è dotata di un elaboratore parallelo Meiko di costruzione europea. Sebbene molte di queste applicazioni siano coperte da segreto, è ormai chiaro che i grandi elaboratori paralleli programmati con tecniche di intelligenza artificiale autoadattativa saranno uno dei fattori di maggiore cambiamento nel mondo economico e finanziario. Sergio Focardi


ASTRONAUTICA Ritorno alla Luna Parla Alan Shepard, primo americano nello spazio e comandante della missione Apollo 14 «Il nostro satellite è la base più vantaggiosa per proseguire nell' esplorazione del cosmo»
AUTORE: LO CAMPO ANTONIO
ARGOMENTI: AERONAUTICA E ASTRONAUTICA
PERSONE: SHEPARD ALAN
NOMI: MITCHELL ED, ROOSA STUART, SHEPARD ALAN
LUOGHI: ITALIA
NOTE: 046

OGGI, quando si parla di astronautica, la parola «Freedom» (Libertà ) indica il progetto della futura stazione spaziale internazionale. Ma Freedom nella storia dei voli spaziali ha un altro grande significato: è il nome della capsula «Mercury» che portò per la prima volta un astronauta americano nello spazio in una missione suborbitale di 15 minuti e 22 secondi. Alan B. Shepard, 68 anni, ha recentemente parlato di passato, presente e futuro delle imprese spaziali alla «Fondazione Mercury» di Washington, una società creata dagli astronauti protagonisti di quei primi voli. «Il ricordo è sempre quello di un' impresa pionieristica e straordinaria ricorda Shepard . Ero molto eccitato e preoccupato, quella mattina del 5 maggio 1961, non tanto per la mia incolumità quanto per timore di un' eventuale brutta figura che l' America e il programma spaziale avrebbero fatto in caso di fallimento. Era l' inizio della gara spaziale con i sovietici, ma le nostre imprese si svolgevano sotto gli occhi del mondo fase per fase. Ero molto concentrato, perché bastava una piccola distrazione e tutto poteva fallire». Al suo rientro Shepard venne accolto da eroe, sfilò per le strade delle principali città americane, ebbe la medaglia al merito da Kennedy alla Casa Bianca. Nel 1963, prima di essere assegnato con Thomas Stafford al volo della Gemini 3, i medici della Nasa e della Us Navy gli riscontrarono la «sindrome di Meniere», una malattia che riguarda l' orecchio interno e quindi il senso dell' equilibrio. Per Shepard significò rimanere a terra. Venne nominato capo dell' Ufficio Astronauti Nasa. «Fu un periodo contraddittorio per la mia carriera dice ora . Il nuovo incarico era importante e soddisfacente, ma la nostalgia delle rampe di Cape Kennedy era forte» . Nel maggio 1969 fu sottoposto a un intervento chirurgico all' orecchio, tornò all' addestramento e venne nominato comandante dell' Apollo 14, con Ed Mitchell e Stuart Roosa. Destinazione: la Luna. «Fu il coronamento del mio grande sogno di sempre, pensavo alla Luna ancora prima del breve volo della Mercury Freedom, e ho sempre lavorato per anni in modo tale che questa enorme soddisfazione potesse giungere per i miei ex colleghi e per me stesso». Infatti appena poggiati i piedi sulla superficie lunare (5 febbraio 1971) disse: «E' stata una strada lunga, ma adesso ci siamo» . Tra i primati nella sua carriera di astronauta, ce n' è uno che spesso viene dimenticato: Shepard è l' unico ad essere stato lanciato nello spazio, nelle sue due imprese, dal più piccolo e meno potente e dal più grande e più potente dei razzi finora realizzati per il volo di astronauti. Lasciata la Nasa nel 1974 e diventato un importante uomo d' affari di Houston, Shepard è tornato a occuparsi di spazio partecipando a manifestazioni, promuovendo e finanziando varie iniziative e società con lo scopo di far conoscere anche ai giovani i primi (e un po' dimenticati) voli spaziali, creando Space Camp e «Scuole spaziali» per studenti delle scuole medie e dell' università. Come vede Shepard il futuro dell' esplorazione spaziale? La sua tesi è in linea con quelle della maggior parte degli ex astronauti, tranne il «polemico» John Glenn. «Bisogna definire in maniera accurata i piani per un ritorno sulla Luna e per l' arrivo su Marte dice . Tutto questo con grandi motivazioni e seri approfondimenti, poiché si tratta di progetti molto costosi e complessi, specialmente dove viene richiesta la presenza dell' uomo per lunghi periodi da trascorrere nello spazio». Quali sarebbero i vantaggi scientifici di un ritorno sulla Luna? «Dovrà essere un ritorno fatto in maniera logica e permanente, e i benefici possono essere moltissimi. Per esempio si potrà sfruttare la ridotta gravità lunare per effettuare lanci di veicoli spaziali con minore dispendio di energia. Le risorse energetiche necessarie potranno essere estratte dal materiale lunare. La Luna è una sorta di grande raccoglitore di energia proveniente dal Sole; installando osservatori astronomici sulla faccia nascosta si potrebbero fare straordinarie scoperte. E l' elenco è ancora lungo... Avessi la possibilità di tornarci] ». Antonio Lo Campo


BANCA DATI La chimica nel computer Informazioni su 14 mila sostanze
Autore: BASSI PIA

ARGOMENTI: CHIMICA, INFORMATICA
ORGANIZZAZIONI: CISE, SINTALEX
LUOGHI: ITALIA
NOTE: 046

UNA banca dati con informazioni su oltre 14. 000 sostanze chimiche è stata messa a punto dall' Associazione ambiente e lavoro di Sesto San Giovanni (Mi) in collaborazione con il Cise, che ha fornito il «cervellone». Da essa si possono ricavare tutti i dati sui tossici ambientali e la relativa legislazione nazionale con riferimenti alle normative internazionali più importanti. Ogni sostanza chimica è registrata sotto i diversi modi di classificazione dei vari Paesi e ciò favorirà la ricerca da parte dell' utente anche del prodotto importato fuori dell' ambito Cee. Dal 1993 questo sistema, denominato Sintalex on line, diventerà multilingue. I fruitori possono essere Usl, Comuni, Province, ministeri, enti di controllo; ma soprattutto lo saranno le piccole e medie aziende produttrici di materiali che nella lavorazione richiedono prodotti chimici. Il datore di lavoro troverà tutto quanto riguarda le visite periodiche alle quali devono essere sottoposti i lavoratori, le precauzioni che devono essere prese per il maneggio delle sostanze tossiche, che cosa fare in caso di emergenza ed altro ancora. Ad esempio sono contenute le classificazioni di cancerogenicità della Iarc (Agenzia internazionale di ricerca sul cancro di Lione) e della Cctn, la Commissione consultiva tossicologica nazionale italiana. Al Sintalex si possono collegare coloro che possiedono un qualsiasi personal computer con modem e il collegamento si ha telefonando al numero 02 216. 726. 40 (gli utenti Itapac possono usare l' identificativo Itapac, Nua 226. 040. 28). Alla richiesta «login», rispondere con la password «demo». Il proprio programma dovrà essere così configurato: 8 bit di dati / parità NO / 1 bit di stop / in emulazione di terminale VT 100. Altre informazioni ai numeri telefonici 216. 733. 68 e 216. 725. 65. Pia Bassi


ALLARME TAXIFOLIA L' alga vorace sotto un telo nero Di origine tropicale, da Monaco dilaga in tutto il Mediterraneo Poche le contromisure possibili per arrestare gli implacabili cespugli
Autore: FAZIO MARIO

ARGOMENTI: BOTANICA, ECOLOGIA, MARE
LUOGHI: ITALIA
NOTE: 047

STA diffondendosi in misura esponenziale. Rappresenta una minaccia per il mondo sommerso del Mediterraneo: è l' «alga assassina», nel linguaggio destinato a colpire l' immaginazione popolare. Nome scientifico Caulerpa Taxifolia, da una certa somiglianza con l' albero di tasso: ha foglie aghiformi, verde brillante, molto belle. I suoi rizomi striscianti si incollano a qualsiasi appiglio come tentacoli. Invade grotte e anfratti, annienta posidonie e gorgonie si sostituisce alla vegetazione sottomarina come una monocultura inarrestabile che copre e riveste le fonti di alimentazione di pesci, molluschi, crostacei. Per ora ha il suo regno tra il Principato di Monaco e Cap Martin, a Ovest di Mentone, dove ha tappezzato trenta ettari di fondali. «Abbiamo trovato una macchia di Taxifolia anche lungo la costa italiana, nei pressi di Ponte San Luigi, dove mi sono immerso io stesso», mi dice il professor Alexandre Meinesz, del laboratorio Environnement Marin Littoral, presso l' Università di Nizza. «Altre macchie più estese sui fondali dell' Esterel, verso St. Raphael; nella zona del Lavandou, di fronte al Parco Nazionale dell' isola di Port Cros; a Tolone; tra Marsiglia e le Bocche del Rodano». La segnalazione fatta all' isola di Capraia sembra invece frutto di un errore. Allarme in Spagna, dopo l' avvistamento di alcune macchie vicino al confine francese, con probabilità di estensione alla Costa Brava per il gioco delle correnti. «Se non la distruggiamo entro quest' anno, sarà troppo tardi per risparmiare al Mediterraneo una minaccia ancor più grave degli inquinamenti». Meinesz non teme di passare per catastrofista: «Semmai hanno esagerato nell' ottimismo le autorità francesi che definivano innocua o addirittura benefica la nuova alga. Ho cominciato a studiarla nel 1989. Nel giro di quasi tre anni ho misurato la rapidità della sua proliferazione e i suoi effetti. Non dobbiamo sottovalutarli». E' tropicale ma ama il freddo La prima segnalazione risale appunto al 1989: il professor Meinesz venne incaricato dal Museo Oceanografico di Monaco di verificare se l' alga, di origine tropicale, era presente soltanto su alcune rocce sommerse del Principato. «Studiosi ed esperti ritenevano che d' inverno, quando la temperatura del nostro mare scende a 15 o 13 gradi centigradi, la Caulerpa Taxifolia sarebbe morta. Invece sembrava aver trovato il suo ambiente ideale. Cominciò a diffondersi come una specie infestante di vitalità eccezionale, benché originaria dei mari caldi, dalle Filippine al Madagascar, al Brasile, ai Caraibi». Come è arrivata in Mediterraneo e come ha potuto acclimatarsi? Perché proprio nei fondali del Principato di Monaco? Meinesz mette indirettamente sotto accusa il mondo scientifico cui lui stesso appartiene, o meglio quella parte che ha dato prova di imprudenza nel maneggiare un frammento della natura in laboratorio. L' alga venne portata in Europa alla fine degli Anni 70, senza conoscerne i possibili comportamenti. Nell' acquario di Stoccarda, dove luce, salinità e temperatura non sono quelle dei mari tropicali, riuscì a sopravvivere e adattarsi, tanto da poter essere trasferita nelle vasche del Museo Oceanografico di Monaco. Involontariamente venne fatta la selezione artificiale di un clone idoneo alla vita in Mediterraneo. Come sia finito nel mare della Costa Azzurra nessuno lo sa o lo dice ufficialmente. Secondo Vincent Tardieu, che ha curato un' inchiesta pubblicata dal quotidiano Liberation, i sospetti sul Museo Oceanografico di Monaco sono forti. L' equipe del comandante Cousteau, direttore del Museo fino al 1988, non esclude la possibilità che sia stata versata in mare acqua di lavaggio della vasca contenente l' alga incriminata. «In quegli anni, chi avrebbe mai immaginato che la Taxifolia potesse prosperare nei nostri mari? » si domanda l' oceanologo Denis Ody. L' ipotetica responsabilità del Museo è sempre stata negata dal suo direttore, il professor Doumenge. D' altro canto nulla prova che ci sia stato un solo punto di partenza. «Da una decina d' anni si può comprare l' alga Taxifolia da mercanti specializzati. Chiunque avrebbe potuto commettere la stessa imprudenza nel pulire l' acquario di casa» osserva l' idrobiologo Jean Michel Chacornac, dell' Aquaforum di Marsiglia. Da quando l' alga ha fatto rumore, diventando famosa come bellissima e decorativa assassina, molti subacquei si immergono per coglierla e venderla a curiosi o cultori della materia. Ora gli amministratori comunali della Costa Azzurra chiedono di vietarne il commercio. I pescatori francesi sono preoccupati. Fanno dimostrazioni invocando provvedimenti di difesa. Quelli spagnoli si stanno mobilitando. Tutti temono la scomparsa degli abitatori delle acque costiere che sono le loro prede e le loro fonti di reddito. Spiega Meinesz: «Non a causa della tossicità dell' alga che avvelenerebbe pesci, molluschi, crostacei (come si è fatto credere inventando il nome di alga assassina), ma per effetto della sua competizione con tutta la flora sottomarina fino a vari metri di profondità. Dove arriva, scompaiono 300 specie di alghe mediterranee; vengono coperti i nidi e i rifugi. I nostri pesci non riescono ad adattarsi al nuovo alimento, perché la Taxifolia contiene sostanze digeribili soltanto dai pesci tropicali». Il professor Francesco Pietra, chimico dell' Università di Trento, studioso dei prodotti naturali marini, sta facendo ricerche in collaborazione con i centri scientifici francesi sulle sostanze contenute nell' aria. «Sulle diverse tossine le conoscenze non sono ancora complete. Posso dire che a Cap Martin abbiamo trovato da 50 a 100 chilogrammi di tossine per ettaro invaso dalla taxifolia, ma non si tratta necessariamente di quel che la gente definisce veleno. Ai Tropici, nelle barriere coralline, le tossine possono avere una loro funzione, insieme ad altre sostanze che stiamo ricercando. Solo da poco tempo ci siamo resi conto della complessità e della ricchezza delle produzioni naturali marine, siano esse microbi, piante, animali. Di fronte alla natura l' uomo, il delfino, l' alga, l' ultimo dei batteri sono sullo stesso piano». La prima parte delle ricerche del professor Pietra verrà pubblicata dalla rivista scientifica svizzera «Helvetica Chymica Acta». Un contributo alla conoscenza dei misteri della taxifolia, così poco analizzata nella sua vita mediterranea da giustificare anche opinioni opposte a quelle degli scienziati in allarme. Il professor Francesco Cinelli, docente di Ecologia e direttore del Dipartimento di Scienza dell' ambiente all' Università di Pisa, mi dice: «In Francia c' è anche chi tende a minimizzare. Il professor Aubert, del Cerbom di Nizza, afferma che il caso dell' alga tropicale si sgonfierà da solo, come è accaduto anni fa per le meduse, grazie alle capacità riparatrici della natura. Io non sono di questa opinione». Da parte italiana soltanto gli scienziati sembrano interessarsi alla famigerata alga, tenendosi in contatto con i colleghi francesi e spagnoli, pur con qualche riserva. Cinelli ha fatto alcuni esperimenti: «In Francia i ricci di mare rifiutano di nutrirsi con la taxifolia e muoiono di fame. Ne ho portato un po' nel mio laboratorio a Pisa, dove i saraghi l' hanno gustata senza conseguenze. Ma questo non significa che le preoccupazioni siano infondate». L' Italia confida nelle correnti Osservo che le nostre autorità sembrano tranquillamente ignorare il problema. «Non c' è da stupirsi. Arrivano sempre in ritardo, pensi alla mucillagine in Adriatico. In Italia si fa affidamento sulle correnti marine che portano l' alga verso la Francia e la Spagna. Ma l' alga potrebbe essere trasferita lungo le nostre coste in altri modi, ad esempio con rizomi rimasti sulle ancore di pescherecci o di imbarcazioni da diporto. «Alga assassina? Caulerpa taxifolia? Non so di che cosa si tratti mi dice l' assessore regionale all' Ambiente, Fabio Morchio, scoppiando in una risata. Quando ci segnaleranno qualcosa in Liguria ci muoveremo». Provo a sentire il ministero dell' Ambiente: nessuna risposta. A Roma gli allarmi sono arrivati soltanto all' Istituto Centrale per la Ricerca scientifica sul mare, che ha programmato uno studio. Tutt' altro clima a Ventimiglia, dove si sono avvistate le prime macchie di taxifolia. Il sindaco, Albino Ballestra, fa parte del comitato di crisi istituito dai Comuni della Costa Azzurra, su iniziativa del sindaco di Mentone, Jean Claude Guibal. «Da parte francese c' è un coordinamento su scala nazionale, con i ministeri dell' Ambiente e della Marina in prima fila. Da parte italiana il disinteresse è totale. Abbiamo spedito segnalazioni alla capitaneria di porto e ai ministeri competenti. Per ora nulla. Per nostra fortuna la corrente dominante va verso Ovest, ma nessuno può prevedere che cosa accadrà a lungo termine, quali sviluppi avranno le alghe nei mesi di aprile e di maggio». I francesi stanno sperimentando diversi sistemi per distruggere la taxifolia. Hanno cominciato nella rada di Agay, sotto le rocce rosse di Cap Drammond, dove l' alga ha fatto la sua comparsa, esattamente nella zona che era stata eletta a santuario della vita sottomarina per la sua verginità. Amministrazione comunale, gendarmeria marittima, pescatori, pompieri, circoli nautici, gruppi di subacquei, si sono uniti per sradicare con appositi strumenti la taxifolia e tentare di soffocarla coprendone i cespugli con teli di plastica nera. In mancanza di luce, l' alga dovrebbe morire. I sub di Mentone Roquebrune hanno fatto altrettanto a Cap Martin, a 10 metri di profondità, sotto la guida del professor Meinesz: una pellicola di plastica nera larga 6 metri e lunga alcune centinaia viene srotolata sulle rocce infestate, mettendole al buio. Dopo due settimane le alghe hanno cominciato a dare segni di sofferenza, la loro moltiplicazione sembra essersi arrestata. Ma l' esperimento è troppo limitato per giustificare una sensazione di vittoria. Sulla Costa Azzurra e in Provenza le opinioni sono divise: c' è chi ritiene che se ne sappia troppo poco per valutare l' entità del fenomeno e suggerire i rimedi, chi parla di infondato catastrofismo chi propone di introdurre pesci predatori tropicali, avidi di taxifolia. «Abbiamo già provocato troppi guai e abbiamo sofferto un incidente carico di conseguenze nefaste, non dobbiamo correre altri rischi» commenta il professor Meinesz. «Bisogna attaccare la taxifolia subito, massicciamente, con mezzi ecologicamente sicuri. Nell' estate la situazione potrebbe diventare incontrollabile». Prevedere e anticipare, anche a costo di apparire esagerati, oppure stare alla finestra come sembrano preferire gli alti responsabili italiani? Dice il professor Cinelli: «Ricordiamoci che dopo l' apertura del Canale di Suez numerose specie del Mar Rosso entrarono in Mediterraneo, arrivando fino alle coste della Sicilia. Non erano però così virulente. Da noi, finché non c' è il dramma nessuno si scuote». Mario Fazio


RICERCHE IN TANZANIA La farmacia delle scimmie Sanno curarsi da sole con le erbe
Autore: GIACOBINI EZIO

ARGOMENTI: ETOLOGIA, ANIMALI, MEDICINA E FISIOLOGIA
NOMI: WRANGHAM RICHARD
LUOGHI: ITALIA
NOTE: 047

CI siamo probabilmente sbagliati nello stabilire Ippocrate come il fondatore della medicina ed il primo ad usare criteri scientifici nel rapporto sintomi malattia e medicamenti terapia. Se riuscissimo a dimostrare che anche i primati non umani sanno curarsi da soli con l' aiuto di farmaci naturali, porteremmo indietro l' origine della farmacologia di cinque o sei milioni di anni, quando altri ceppi di primati si divisero dal nostro. Il dubbio di non essere stati i primi è venuto all' antropologo di Harvard Richard Wrangham mentre di buon mattino osservava una famiglia di scimpanzè nel parco nazionale del Gombe in Tanzania intenta alla prima colazione. Anziché dirigersi verso i numerosi alberi da frutta a portata di mano, alcuni di essi fecero una camminata di venti minuti nella foresta e si fermarono in un campo di girasoli, dove fecero una scorpacciata di foglie. Il gusto però non doveva essere buono perché facevano smorfie di disgusto. Preso dalla curiosità, Wrangham provò ad ingerirne alcune e confermò l' esperienza degli scimpanzè: erano veramente disgustose. Wrangham mandò allora dei campioni di foglie e di varie altre piante usate dalle scimmie a un collega chimico dell' Università di California, pregandolo di analizzarle. Questi trovò che le foglie del girasole Aspilia contenevano una sostanza rossa oleosa, chiamata thiarubrina A, che ha la proprietà di uccidere funghi e parassiti. Gli scimpanzè sono infestati da vermi di vario genere che provocano loro notevoli disturbi. Venne spontaneo chiedersi se per caso le scimmie fossero così astute da aver imparato attraverso l' esperienza a curarsi da sole accedendo alla farmacia più comoda, la foresta. La comunicazione di Wrangham al recente Congresso annuale della Società americana per il progresso delle Scienze ha avuto molta attenzione. Di fatto nella foresta della Tanzania era nata una nuova disciplina medica chiamata «zoofarmacognosia». Al medesimo congresso sono stati presentati altri dati che confermano l' abilità di molti primati nello scegliere varie erbe e piante con attività farmacoterapeutiche allo scopo di lenire i sintomi di affezioni intestinali comuni, neutralizzare l' effetto di sostanze velenose assunte per sbaglio ed eliminare i parassiti. Una primatologa dell' Università del Wisconsin, Karen Strier, parlò di un efficace metodo di regolazione della fertilità usato da certe scimmie e basato sulla dieta: le scimmie «muriqui» delle foreste brasiliane ingeriscono in periodi particolari del loro ciclo sessuale delle foglie ad alto contenuto di isoflavinoidi, sostanze con una struttura chimica molto vicina a quella degli estrogeni contenuti in alcuni anticoncenzionali. In altre fasi del loro ciclo riproduttivo passano invece a un legume ad alto contenuto di steroidi, che aumentano la fertilità. Le scimmie urlatrici della Costa Rica si nutrono di piante che hanno un effetto particolare sulla composizione del muco vaginale e gli spermatozoi. Se questi dati verranno confermati, arriveremo forse alla conclusione di una regolazione naturale delle nascite da parte delle scimmie antropomorfe. Gli abitanti di certe regioni della Tanzania conoscono da secoli le proprietà antiparassitarie del succo ricavato dal midollo di una pianta, la Vernonia amygdalina. L' analisi di questo succo compiuto all' Università di Kyoto ha rivelato la presenza di sostanze ad azione antibiotica sulla flora batterica intestinale. Anche gli scimpanzè della medesima regione usano succhiare il midollo della medesima pianta. Si tratta del caso o di una cognizione terapeutica acquisita con l' esperienza? Alcuni primatologi hanno lanciato l' idea che un tipo di medicina preventiva o profilattica venga praticata anche dai primati: il consumo di certe erbe con effetto curativo è più alto in determinati periodi, come la stagione delle piogge, che rappresentano un momento ad alto rischio per malattie polmonari. Altri scienziati hanno fatto osservare che probabilmente la zoofarmacognosia non è necessariamente limitata ai primati: anche orsi, cani e gatti si curerebbero spesso da soli, senza bisogno del veterinario. Ezio Giacobini Università del Sud Illinois


LA PAROLA AI LETTORI E' facile tener pulito un figlio di un grammo
LUOGHI: ITALIA
NOTE: 048

UNA bella risposta al quesito sul colore dei capelli: è arrivata tardi, ma la proponiamo ugualmente: Il colore dei capelli è un carattere che si eredita dai genitori e come tale è «scritto» nei cromosomi in duplice copia. Il carattere capello nero è dominante rispetto al carattere capello biondo, sicché nella situazione di eterozigote (informazione contrastante «nero biondo» ) in genere si manifesta il colore nero, che corrisponde alla capacità di produrre il pigmento melanina responsabile della colorazione scura. In qualche caso si ha dominanza invertita con l' età, cioè nell' età infantile prevale il colore biondo, in quella adulta il nero. Questa situazione era stata studiata dall' antropologo Fischer nell ' incrocio tra uomini olandesi (biondi) e donne ottentotte (scure) a Reoboth, nell' Africa meridionale: i bambini nati da questi incroci erano biondo chiari all' età di 4 10 anni, mentre a 20 avevano capelli neri. Il «viaggio» del colore dei capelli sarebbe da collegare con la produzione degli ormoni sessuali che permettono la formazione del pigmento melanina. L' incanutimento dei capelli che prima o poi si verifica in tutti gli individui è invece un fenomeno di senescenza che corrisponde all' incapacità di produrre il pigmento in seguito a una errata «sintesi delle proteine» in fase di trascrizione e traduzione del Dna. (Graziella Borsani Verbania Intra) Come fa il canguro femmina a ripulirsi dagli escrementi prodotti dal piccolo che viene tenuto per mesi nel marsupio? Si serve delle labbra] Le zampe anteriori, infatti, essendo munite di robusti artigli non sono adatte a maneggiare e ripulire il piccolo all' interno del marsupio. Va però precisato che un piccolo di canguro della specie più grossa (Canguro gigante rosso: un metro e mezzo di altezza, 25 30 chili di peso) alla nascita ha le dimensioni di un fagiolo e pesa circa un grammo. E' quindi intuibile quali siano le dimensioni dei suoi escrementi. (Sergio Aicardi Verbania) Perché gli aeroplani molto grandi richiedono di solito lunghe piste di decollo? La lunghezza della pista dipende da molte caratteristiche dell' aereo: il peso, la potenza dei motori, la superficie alare, l' aerodinamica. Rullando sulla pista, l' aereo aumenta la sua velocità e con essa la portanza, cioè la spinta verso l' alto che si genera sulle ali. Quando questa portanza (che spinge l' aereo in alto) supera la forza peso (che trattiene l' aereo a terra), l' apparecchio decolla. Sollevare un aereo più pesante richiede quindi una portanza maggiore e perciò, a parità di altre condizioni, una maggiore velocità, raggiungibile soltanto dopo una corsa più lunga sulla pista. Al contrario, a parità di peso e di altre condizioni, una superficie alare maggiore (cioè maggiore lunghezza delle ali) permette il raggiungimento di una portanza sufficiente al sollevamento dell' aereo a una velocità inferiore e quindi dopo una rullata più breve. (Agnese Nicolino Savigliano, Cn) Come si riesce a eliminare la caffeina dal caffè ? Il metodo migliore si avvale del biossido di carbonio, che di solito è un gas, ma alle alte pressioni diventa un «fluido supercritico» una curiosa forma della materia che combina le caratteristiche dei gas e dei fluidi. In questo stato diventa capace di sciogliere i solidi: il fluido passa attraverso i chicchi di caffè, la caffeina si scioglie e può essere ricuperata riducendo la pressione e ritrasformando il fluido supercritico in gas. (Andrea Livi, La Spezia) Dal momento che cavalli e zebre appartengono al medesimo ordine è possibile cavalcare le zebre come i cavalli? No: la zebra ha un' indole assai estrosa e ribelle, per cui è difficilissmo che si assoggetti a essere guidata, comandata e quindi cavalcata; e pur vivendo benissimo in stato di cattività, rimane sempre uno degli animali più irriducibili, per generale e univoca ammissione di domatori e addestratori. Molto aggressiva, si rifiuta di diventare un animale da lavoro o comunque utilizzabile come i cavalli e gli asini. (Claudio Aimone Ozegna Canavese, TO) & Gli icerberg e gli icefield che vagano nei mari glaciali artico e antartico sono formati da acqua dolce o salata? (Enrico Sossi) & Perché la notte è buia, nonostante l' esistenza di tante stelle? (V. C. ) & Perché gli esseri viventi hanno come elemento base il carbonio e non, ad esempio, il silicio? (Federico Pavan) & Come si formano i buchi nel formaggio Emmenthal? _______ Inviare le risposte a: «La Stampa, Tuttoscienze», via Marenco 32, 10126 Torino. Oppure via fax al numero 011 65 68 504, indicando con chiarezza «Tuttoscienze» sulla prima pagina.


STRIZZACERVELLO Doppia gara di matematica
Autore: PETROZZI ALAN

ARGOMENTI: GIOCHI
LUOGHI: ITALIA
NOTE: 048

Doppia gara di matematica In classe c' è stata ieri una simpatica gara di abilità matematica; tra i vari problemi ce n' erano due che sono risultati decisivi per l' esito finale in quanto, se affrontati nel modo giusto potevano essere risolti molto rapidamente, lasciando più tempo per la soluzione degli altri. Eccoli: a) qual è il numero più piccolo che, se diviso per 3, dà come resto 1, se diviso per 4 dà resto 2, se per 5 dà resto 3 e se per 6 dà resto 4? b) qual è il numero di tre cifre che, se diminuito di 7 unità risulta esattamente divisibile per 7, se diminuito di 8 risulta divisibile per 8 e se diminuito di 9 risulta divisibile, sempre senza resto, per 9? Le risposte domani, accanto alle previsioni del tempo. (a cura di Alan Petrozzi)


COME FUNZIONA IL GPS Lassù qualcuno ci guida Aerei e auto si affideranno a 24 satelliti
Autore: RIOLFO GIANCARLO

ARGOMENTI: TECNOLOGIA, TRASPORTI, ELETTRONICA
LUOGHI: ITALIA
NOTE: 048

SARA' una «costellazione» di satelliti artificiali a guidare a destinazione le navi, gli aerei, forse anche le automobili. Si tratta del sistema di localizzazione Navstar Gps (Global Positioning System), realizzato dal Dipartimento della Difesa degli Stati Uniti. Una volta completato, disporrà di 24 satelliti, di cui tre di riserva, collocati su sei diverse orbite a 20 mila chilometri d' altezza. Finora ne sono stati lanciati 15, di cui 5 sperimentali e 10 operativi. La rete sarà ultimata entro la metà del 1993 con gli altri 14, che assicureranno in ogni istante e in qualsiasi luogo la possibilità di conoscere le proprie coordinate geografiche e l' altezza sul livello del mare. Come funziona il Gps? Un apparecchio installato a bordo dell' imbarcazione, del velivolo o anche portatile, riceve ed elabora i segnali trasmessi dai satelliti. Per determinare latitudine e longitudine deve captarne tre, mentre per ricavare anche l' altitudine ne occorre un quarto. Misurando il tempo impiegato dai segnali radio per coprire il percorso e sapendo che le onde elettromagnetiche viaggiano alla velocità della luce (circa 300 mila chilometri al secondo), il ricevitore risale con un semplice calcolo alla distanza che lo separa dai satelliti. Conoscendo anche la loro posizione (informazione che ciascuno di essi trasmette in continuazione), possiede tutti gli elementi per determinare le proprie coordinate. Il principio è semplice. Supponiamo di avere tre punti di riferimento (i satelliti) la cui posizione è nota e di conoscere anche la distanza tra ciascuno di essi e un osservatore. Se disegniamo su un foglio i satelliti e, attorno a ognuno, un cerchio di raggio uguale alla distanza dell' osservatore, vediamo che questo si deve necessariamente trovare nel punto in cui le circonferenze si intersecano. Lo stesso procedimento, trasferito nello spazio tridimensionale (i cerchi diventano delle sfere), permette di capire come l' apparecchio ricevente possa calcolare la propria posizione. Ogni satellite Navstar trasmette in continuazione due codici: uno è accessibile a tutti, l' altro, di maggiore precisione, è riservato alle forze armate Usa. Poiché un centesimo di secondo in più o in meno vuol dire un divario di tremila chilometri, il segnale è scandito da orologi atomici (ogni veicolo spaziale ne ha quattro) con uno scarto inferiore a tre secondi ogni milione di anni. Il regolare funzionamento dei satelliti è costantemente verificato dalle stazioni di controllo a terra, che possono inviare comandi radio per rettificare l' orbita, ricalibrare gli orologi di bordo e comunicare eventuali dati di correzione da inserire nel segnale per gli utenti del sistema. La precisione del Gps è notevole: l' errore massimo è di 16 metri per il codice riservato ai militari e di 100 metri per gli apparati civili. Esiste la possibilità di migliorare ancora queste prestazioni ricorrendo a stazioni di terra che misurino gli errori dovuti alla propagazione delle onde radio, agli scarti infinitesimali degli orologi, eccetera e trasmettano un messaggio di correzione ai ricevitori presenti nella zona. In questo modo è possibile determinare la posizione con l' approssimazione di un solo centimetro, tale da permettere rilievi topografici di elevata precisione e la guida degli aerei in atterraggio con visibilità zero. Le applicazioni del Gps sono numerose: non solo la navigazione marittima e aerea (attualmente le autorità aeronautiche lo ammettono solo come sistema di supporto, ma con il completamento della rete finirà probabilmente per sostituire molte delle attuali radioassistenze), ma anche il controllo delle orbite dei satelliti e lo studio della crosta terrestre. Un possibile impiego del Gps è la localizzazione degli autoveicoli e la «navigazione» stradale: grazie ai satelliti e a mappe elettroniche su «CCd Rom», un mini elaboratore a bordo della nostra auto ci indicherà la giusta direzione a ogni incrocio. Intanto sono apparsi i primi ricevitori portatili, destinati agli skipper delle imbarcazioni da diporto, agli appassionati dei raid sahariani e, in genere, a chiunque abbia bisogno di conoscere con esattezza la propria posizione. Durante la guerra del Golfo ne sono stati distribuiti 11 mila ai reparti americani per orientarsi nel deserto arabico. Anche in questo campo si è scatenata la corsa alla miniaturizzazione. All' ultimo Salone della Nautica di Genova la Sony ha presentato il «Pyxis», un ricevitore Gps che misura appena 10 centimetri di larghezza, 6, 3 d ' altezza e 3, 9 di profondità. Giancarlo Riolfo


TRAFFICMASTER Via dall' ingorgo A Londra un sistema di monitoraggio della circolazione Un ricevitore in auto vi dice dove non dovete passare
LUOGHI: ITALIA
NOTE: 048

S I chiama «Trafficmaster» ed è un sistema computerizzato che consente agli automobilisti inglesi di evitare gli imbottigliamenti Per poterlo utilizzare occorre abbonarsi, il costo è di una sterlina il giorno, circa 2150 lire. Il servizio e stato «inventato » ed è gestito da un' impresa privata e sono sempre più numerosi gli automobilisti che vi fanno ricorso per orientarsi nei giganteschi ammassi di autoveicoli che si formano ogni giorno intorno alla città, specie nelle ore di punta del mattino e della sera. Un servizio esportabile anche in Italia. Ecco, in sintesi, come funziona il «Trafficmaster». Sulle autostrade in un raggio di 65 chilometri da Londra sono installati dei sensori che monitorizzano il traffico il traffico istante per istante. Quando la velocità dei veicoli scende sotto i 48 chilometri l' ora i sensori lo segnalano ad un centro di controllo situato a Luton, nei pressi della capitale; questo a sua volta invia un messaggio a un mini computer che l' automobilista abbonandosi si fa installare sul cruscotto. L' automobilista può allora richiamare sullo stesso ricevitore una mappa della zona per vedere dove si trova l' ingorgo e ricevere informazioni sulla sua natura. I sensori sono collocati a distanza di circa 3 chilometri sui cavalcavia o su appositi supporti; essi inviano due raggi infrarossi attraverso la carreggiata; transitando le auto li interrompono momentaneamente consentendo di rilevare la velocità misurando il del tempo dell' interruzione. Sul ricevitore posto in auto possono essere ricevute varie notizie su causa, estensione e probabile durata dell' ingorgo




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