TUTTOSCIENZE 4 marzo 92


MAXI AEREI Un condominio nel cielo Due piani, 600 800 posti: è un progetto Airbus Velivoli più grandi per abbassare i costi e contribuire a ridurre l' affollamento delle aerovie
Autore: RAVIZZA VITTORIO

ARGOMENTI: TRASPORTI, AERONAUTICA E ASTRONAUTICA, AEREI
ORGANIZZAZIONI: UHCA AIRBUS INDUSTRIE, DEUTSCHE AIRBUS
LUOGHI: ITALIA
NOTE: 033

N ON ha ancora un nome, ma solo una sigla, «UHCA», che significa Ultra high capacity aircraft, ma il consorzio europeo Airbus Industrie sembra deciso a costruirlo: sarebbe il più grande aereo passeggeri mai progettato, capace di trasportare da 600 a 800 persone, contro i 500 (massimo) dei B 747 «jumbo». E sarebbe, con tutta probabilità, anche un aereo dalla forma inconsueta. Airbus ha reso note quattro possibili configurazioni: tre rappresentano un aereo a due piani, la quarta è ancora più innovativa perché prevede un aereo a fusoliera super larga risultante dall' affiancamento di due fusoliere rotonde. Ci sono molte ragioni per ritenere probabile l' avvento, intorno all' inizio del prossimo secolo, di una nuova categoria di aerei passeggeri molto più grandi di quelli attuali: la prima sta nelle previsioni di crescita del traffico, che dovrebbe raddoppiare entro il 2005; la seconda sta nella necessità di non intasare le aerovie trasportando un numero maggiore di persone senza che aumenti troppo il numero degli aerei (in volo un aereo grande e uno piccolo occupano lo stesso spazio); la terza sta nella maturazione, in corso in questi anni, delle tecnologie per costruire aerei più grandi, in particolare per i nuovi maxi motori. Che il futuro sia dei maxi aerei, del resto, lo indica tra l' altro il fatto che anche la Boeing sta pensandoci da tempo anche se non ha ancora scelto tra la possibilità di allungare il ponte superiore del suo fortunatissimo e intramontabile «jumbo» e quella di progettare un velivolo completamente nuovo. Da parte loro i russi stanno proponendo all' occidente di collaborare ad adattare al trasporto passeggeri i loro giganti Antonov 124 a quattro motori e Antonov 126 a sei motori finora usati solo per il trasporto merci Airbus Industrie ha appena ricevuto i risultati di un sondaggio fatto presso dieci grandi compagnie europee, americane e asiatiche per sapere se esista un interesse per un aereo del genere. La risposta è stata positiva: le compagnie chiedono un aereo con circa il 50 per cento di posti in più rispetto al B 747 «jumbo»; la sua prima area di impiego sarebbe quella asiatica e del Pacifico (e per questo dovrebbe avere un raggio d' azione di circa 13 mila chilometri); l' entrata in servizio è prevista intorno alla fine del decennio. Un simile aereo, dice il consorzio europeo, dovrebbe «consentire economie di scala e in tal modo continuare nella tendenza alla riduzione dei costi operativi». Quanto alla forma, essa appare determinata soprattutto da vincoli operativi; pur dovendo essere assai più capace del «jumbo» il nuovo aereo non può essere molto più ingombrante perché altrimenti non sarebbe più compatibile con gli aeroporti esistenti e neppure con quelli in costruzione (come Monaco 2, Denver, Osaka, Seul, Hong Kong). Non solo occuperebbe troppo spazio sulle piazzole (per ovviare alla ressa la Boeing ha proposto che il suo prossimo modello, il B 777, abbia le ali ripiegabili) ma non si adatterebbe alle scale e ai ponti telescopici nè entrerebbe negli hangar per le revisioni. Per contenere le dimensioni, quindi, si potrà ricorrere a una fusoliera a due piani; questa può essere rotonda (la sezione circolare è la più facile da costruire e quella che si adatta meglio alla pressurizzazione), ovale oppure composta di due lobi sovrapposti di diametro diverso. L' altra soluzione proposta è quella di una fusoliera ultra larga, risultante in pratica dall' accostamento di due fusoliere rotonde e capace di contenere dodici poltrone affiancate e separate da ben quattro corridoi; una sorta di involucro esterno avrebbe una funzione aerodinamica inglobando le due fusoliere in un' unica struttura a sezione ellittica. Siamo ancora alla fase di studio, gli investimenti necessari per velivoli del genere sono enormi, le industrie vanno con i piedi di piombo. Airbus ha fatto sapere che una decisione non sarà presa prima del 1995; ma sempre di più i progettisti saranno costretti a pensare in grande. Vittorio Ravizza


PEDIATRIA I bambini in ambulatorio Com' è cambiato il concetto di salute e malattia
Autore: VERNA MARINA

ARGOMENTI: MEDICINA E FISIOLOGIA, BAMBINI, SANITA'
LUOGHI: ITALIA
NOTE: 033

NEGLI Anni 60, ogni mille nati vivi ne morivano 42. Alla fine degli Anni 80, la percentuale era scesa a 9, 5. Contemporaneamente, le nascite calavano, le malattie infettive si ridimensionavano, sparivano le patologie da carenza alimentare e spuntavano quelle da sopravvivenza estrema oggi l' 1 2 per cento dei neonati presenta danni permanenti e il 10 12 rivela, al momento di iniziare la scuola, una disabilità di vario grado. I bambini sono cambiati. E i pediatri? Al congresso «Pediatria 92: nuovi orientamenti», organizzato nei giorni scorsi a Genova dall' Istituto Gaslini, sono apparsi disorientati e a volte perplessi. Il loro numero è in calo in quest' anno accademico, le scuole di specializzazione ne hanno accolti soltanto 253. D' altronde, che i medici siano troppi e vadano ridimensionati lo dicono le statistiche: in Italia ce n' è uno ogni 225 individui. L' Organizzazione Mondiale della Sanità ne consiglia uno ogni 600 persone perché, al di sotto di questa cifra, crescono le malattie iatrogene, cioè indotte dalle cure mediche. Non è ancora ben chiaro chi verrà sacrificato, ma qualche tendenza è già evidente: l' occhio di riguardo è per anestesisti e rianimatori, radiologi, radioterapisti oncologi e medici nucleari Il pediatra si trova di fronte anche un nuovo concetto di salute non più mera assenza di malattie, come voleva la definizione classica, ma una condizione di benessere psicofisico che viene definita come «capacità di star bene con gli altri». Per questo oggi l' enfasi è sui disturbi del comportamento, i problemi dello sviluppo, gli handicap minori. All' estremo opposto, ci sono malattie fino a poco fa sconosciute, come gli errori congeniti del metabolismo o le immunopatologie: difficili da diagnosticare e soprattutto da trattare. Perché in pediatria, come in tutta la medicina, è sempre più evidente l' immensa distanza che corre tra la capacità di diagnosi e quella di cura. Per una dozzina di malattie ereditarie tra le quali la sindrome di Down, la talassemia e la fibrosi cistica si conosce la collocazione del gene malfunzionante e si fantastica di terapia genica. Il traguardo però è lontanissimo. Il cosiddetto «gene targeting» non viene neanche preso in considerazione: prendere di mira un singolo gene da sostituire, su un patrimonio di centomila, è veramente cercare l' ago nel pagliaio. Più accessibile della terapia genica sostituiva sembra essere quella additiva: si tratta, in questo caso, di introdurre un gene che non c' è. Per farlo, si utilizzano dei vettori retrovirali, cioè dei virus inattivati che però non hanno perduto la loro capacità di penetrare nel cuore della cellula. Raggiunto questo primo bersaglio, resta però da fare il lavoro più difficile, che è quello di sistemarsi in un punto del cromosoma che, se non è proprio quello esatto, non dev' essere però neppure del tutto sbagliato. Il problema, per il momento, non è risolto: esiste effettivamente il pericolo che il nuovo gene si integri là dove ce n' è uno perfettamente funzionante, riuscendo a fare due danni in un colpo solo. Senza contare la possibilità, tutt' altro che remota, di attivare qualche oncogene, dando inizio alla formazione di un tumore. Un altro problema è il tipo di cellula su cui si può tentare questa operazione. Ragioni morali oggi vietano di intervenire su quelle germinali. Resta però il fatto che solo una cellula che si sta dividendo è in grado di effettuare quel cambiamento che il vettore le suggerisce. Sfortunatamente sono sempre pochissime le cellule in quella fase. Tutte queste incognite spiegano perché, nonostante il relativo successo degli esperimenti in vitro (20 per cento), la terapia genica sia stata applicata soltanto due volte, su due ragazzini americani colpiti da una rarissima malattia ereditaria, l' adenosina deaminasi, nella quale manca un gene che codifica per un certo enzima. Dal punto di vista teorico, si tratta del caso più semplice: un unico gene e un' addizione, anziché una sostituzione. A distanza di un anno, i ragazzini stanno decisamente meglio, ma non per questo la terapia si può giudicare un successo. Innanzitutto il nuovo gene tende a inattivarsi, per cui è necessario intervenire ogni mese con una infusione di cellule (linfociti T) corrette. Inoltre la terapia farmacologica non è stata sospesa del tutto. A chi il merito del miglioramento? Marina Verna


MINI NEONATI Se è troppa la fretta di nascere
Autore: BALLARIO ROBERTO

ARGOMENTI: MEDICINA E FISIOLOGIA, BAMBINI, SANITA'
LUOGHI: ITALIA
NOTE: 033. Prematuri

GRAZIE allo sviluppo della medicina, non è più eccezionale la sopravvivenza di neonati con peso inferiore agli 800 grammi, venuti alla luce anche dopo sole 28 30 settimane di gravidanza. Tutto questo è stupefacente, se si pensa che un neonato a termine, cioè di 38 41 settimane, pesa circa 3300 grammi. Nonostante questi notevoli progressi, rimangono ancora casi di mortalità neonatale dovuti a una nascita anticipata, e in particolare dovuti alla cosidetta «malattia delle membrane ialine». Il nome deriva dal fatto che, dopo un certo periodo dalla sua insorgenza, gli alveoli polmonari e vengono tappezzati da membrane, dette appunto «ialine» costituite da fibrina. Il neonato presenta subito, o nelle ore successive alla nascita, una difficoltà respiratoria che si esprime con un respiro sempre più frequente e superficiale, spesso accompagnato da gemiti; gli organi sono sempre meno ossigenati e la pelle diventa cianotica. Se non si interviene immediatamente, il bambino può andare incontro a gravi complicanze o morire. Sotto le 31 settimante di età gestazionale il 40 per cento dei neonati è affetto da questa patologia, con una mortalità di circa il 20 per cento; sopra le 34 settimane, invece, è affetto solo il 5 per cento. La malattia delle membrane ialine è più frequente tra i maschietti (probabilmente per fattori ormonali), nei figli di madre diabetica e nel caso di asfissia durante il parto. Inoltre si riconosce una predisposizione familiare. La causa di questa sindrome è nota fin dal 1959, anno in cui venne isolato il «surfactant», una sostanza fosfolipoproteica prodotta dalle cellule alveolari polmonari del feto, in piccola quantità dalla 22 settimana, in modo più rilevante dopo la 35. L' aerazione degli alveoli polmonari, e quindi gli scambi gassosi che costituiscono l' essenza della respirazione, sono possibili proprio grazie alla presenza di questa sostanza che, in ambiente asciutto, agisce come tensioattivo e idrorepellente, impedendo che gli alveoli collassino Fino a non molti anni fa non si guariva. Oggi invece la mortalità è nettamente diminuita, grazie al perfezionamento delle tecniche di rianimazione, in particolare della ventilazione meccanica. Questa tecnica richiede l' intubazione del soggetto e il mantenimento di un' adeguata pressione intrapolmonare anche per lunghi periodi, finché il piccolo è in grado di sintetizzare autonomamente il prezioso «surfactant». Per tutto questo tempo il bambino deve essere in qualche modo nutrito, mentre devono essere controllati i suoi scambi gassosi e ogni sua funzione vitale. Nuove speranze di un ulteriore miglioramento nella prognosi della malattia da membrane ialine vengono oggi fornite da una più perfetta conoscenza della composizione del surfactant, che permette di sintetizzarlo artificialmente oltre che estrarlo dal polmone di animali come il bue o il maiale, oppure di ricavarlo dal liquido amniotico umano prelevato durante parti cesarei a termine. Naturalmente l' uso di surfactant naturale è frenato dalle difficoltà di reazioni immunologiche indesiderate. Il surfactant artificiale risulta certamente meno costoso ed è disponibile in maggior quantità, ma sembra avere, almeno fino ad ora, una minore efficacia. Tuttavia in 500 centri di neonatologia degli Stati Uniti già dal giugno 1989 è stato reso obbligatorio l' utilizzo di un surfactant sintetico. Anche in Europa l' impiego di vari tipi di surfactant va diffondendosi, sia pure con risultati ancora controversi: si somministra per via endotracheale in un' unica dose o a varie riprese. Roberto Ballario


COMPUTER E VITA MODERNA Un uomo pagato per sognare Al Media Lab di Nicholas Negroponte dove nasce la tecnologia futuribile Obiettivo: creare macchine capaci di capire l' uomo e di «vivere» con lui
Autore: MEZZACAPPA LUIGI

ARGOMENTI: INFORMATICA, TECNOLOGIA
NOMI: NEGROPONTE NICHOLAS
ORGANIZZAZIONI: MEDIA LAB
LUOGHI: ITALIA
NOTE: 034

AL Media Lab del Massachusetts Institute of Technology il futuro è di casa. Prima o poi uscirà da lì e busserà alla porta di ognuno di noi. Se gli apriremo, tutte le più moderne trovate, frutto della tecnologia più avanzata, cominceranno a odorare di antiquariato. Dopo aver visto immagini video tridimensionali coloratissime saremo annoiati dai nostri mortificanti e anonimi televisori; dopo aver intravisto la possibilità di scegliere da casa, in un qualsiasi momento, uno tra mille film a catalogo, saremo stufi del nostro negozio di video noleggio di fiducia; dopo aver visto entusiasmanti programmi didattici scopriremo quanto grandi siano le possibilità di apprendimento guidato dei bambini; dopo aver giocato con computer che parlano e ascoltano, torneremo nei nostri uffici a impartire ordini al nostro che richiede movimenti innaturali come quelli del «mouse» e saremo colti da un senso di frustrazione. Il Media Lab è una creatura di Nicholas Negroponte, fondatore, direttore e capo sognatore. Nel 1985 riunì un gruppo di ricercatori e diede loro un compito comune: scoprire nuovi metodi di interazione con le informazioni. Come gli piace ripetere, fu guidato da alcune intuizioni tecnologiche e provocato dalla indisponente inadeguatezza dei computer in commercio. Anche se i computer attuali sono molto più potenti di quelli di 7 8 anni fa, Negroponte nutre ancora poca simpatia nei loro confronti ed è intollerante con le novità che spesso si rivelano inutili gadget della tecnologia elettronica. Secondo lui, il più «friendly», il più amichevole dei computer è completamente privo di passione, di «feeling». Al Media Lab è allo studio un nuovo mondo. Le macchine vedono, ascoltano, parlano. E fra non molto penseranno. Almeno questa è la convinzione di Negroponte. A lui non interessa realizzare un campione di scacchi, lui sogna un frigorifero che ordini il latte al lattaio prima che la bottiglia si sia completamente svuotata. Lui vuole un telefono che sappia capire il vostro umore per decidere se passarvi una certa telefonata o invitare a richiamare. E, più di tutto, sogna un computer che, conoscendo o intuendo i vostri interessi e i vostri gusti di lettura, vi procuri una selezione di argomenti su misura dal giornale di oggi. In una parola, vuole eliminare la sottile differenza che passa tra «personal computer» e «computer personale» Il Media Lab è stato creato per sognare, ma il suo lavoro è più pragmatico di quanto non sembri: circa i tre quarti dei suoi fondi provengono da sponsorizzazioni dell' industria e Negroponte si definisce per questo «un utopista in affitto» che gioca con idee troppo audaci perché una austera società non si vergogni di investirvi direttamente. Negroponte è stato al centro di spietate polemiche in seguito a un articolo pubblicato sul New York Times nel dicembre del ' 90, dove si raccontava di un accordo del Media Lab con la giapponese Nihon University per un piano di aiuti per fondare una replica del Mit: fu accusato di svendere il know how tecnologico al concorrente giapponese. Il dibattito su questo fatto ebbe anche l' effetto di sottolineare quanto l' opinione pubblica americana tenesse al Media Lab come a una sorta di tesoro, simbolo del genio nazionale. Negroponte si è difeso sostenendo che l' accordo prevedeva una collaborazione non a senso unico. Secondo Negroponte l' informatica ha certamente compiuto passi da gigante, ma è ancora lontana dalla dimensione che lui profetizza. Il computer di domani sarà un fedele servitore, qualcosa di ben istruito, che conosce intimamente i nostri gusti, le abitudini, le ambizioni. Per realizzare tutto questo non occorrerà molto, non più di 10 o 20 anni. Per ora il Media Lab si sta cimentando in un progetto che è al centro di accese controversie, l' esperimento di personalizzazione della lettura dei quotidiani. Non si tratta di un semplice selezionatore di notizie per parole chiave: il computer sviluppa un vero e proprio modello di lettura. Negroponte sa che qui normalmente la gente si scandalizza: leggere e ascoltare solo ciò che ci compiace porta verso un mondo fatto di microcosmi individuali chiusi e inaccessibili. Ma lui sostiene candidamente che vuole solo un computer che ci risparmi la fatica di sfogliare il giornale e che, conoscendoci intimamente, sappia che la domenica pomeriggio preferiamo una lettura sostanzialmente diversa da quella, che so, del giovedì mattina. Del resto, dicono al Mit, la tendenza è chiara: viviamo in un' epoca in cui il computer è in ogni cosa, l' era del computer «ubiquo». Se abbandoniamo l' idea stereotipata del computer, quello con video, tastiera e mouse, capiamo al volo che nessuno può permettersi o illudersi di vivere senza: da qui a cinque anni la gente entrerà in contatto mediamente con più di mille computer al giorno. Forse si può fare a meno del «word processor», dello «spreadsheet» o della posta elettronica, ma a partire dagli orologi per arrivare al telefono, al fax e alla lavatrice, i computer incorporati ormai ci circondano. E molte cose cambieranno nelle nostre case quando questi cominceranno a comunicare fra di loro. Negroponte è tenace: è convinto che la gente non aspetti altro che farsi ordinare il latte dal frigo o far rispondere il computer al telefono. Del resto, lui dice, se ciò che spaventa è l' ingerenza e la petulanza, che differenza c' è se ad essere ingerente e petulante è un maggiordomo oppure un computer? Luigi Mezzacappa


DOPO GLI ALCHIMISTI I nomi e la chimica Fino a meta" 600 gli elementi si chiamano in modo diverso nelle varie lingue Dalla scoperta del fosforo prendono denominazioni comuni: nasce la scienza moderna
Autore: FRANCESCHINI ALFREDO

ARGOMENTI: CHIMICA, STORIA DELLA SCIENZA
NOMI: BOYLE ROBERT, LAVOISIER ANTOINE LAURENT
LUOGHI: ITALIA
NOTE: 034

NELLA storia degli elementi chimici incontriamo motivi innumerevoli di interesse tali da coinvolgere persino quei lettori che verso la chimica hanno sempre nutrito l' antipatia più sincera. Fra i tanti qui vorrei richiamare l' attenzione su un aspetto marginale di quella storia. Una semplice curiosità, che pure merita, a mio avviso, di essere rilevata: indice indiretto della grande svolta che segnò, in Europa, il cammino della scienza. Sino a un certo momento storico gli elementi conosciuti (che peraltro, come si sa, non erano affatto ritenuti «elementari», nè sempre corrispondevano esattamente agli elementi della chimica moderna) venivano denominati con termini affatto diversi nelle diverse lingue. Questo almeno in linea di massima. Consideriamo le lingue indoeuropee, e vediamo i 4 gruppi linguistici principali: greco, latino, germanico, slavo; scegliamo per ciascun gruppo una lingua parlata rappresentativa: per esempio il greco (moderno), l' italiano, l' inglese e il russo. In queste 4 lingue i vocaboli che designano l' oro sono, nell' ordine: chrysos, oro, gold, soloto; per il ferro: sideros, ferro, iron, zelieso; per il piombo: molybdos, piombo, lead, sviniez; e si potrebbe continuare con l' argento, il mercurio, il rame e lo stagno. Per inciso, erano questi 7 i metalli conosciuti fin dall' antichità, per i quali gli alchimisti arabi avrebbero poi ipotizzato arcane corrispondenze con i corpi celesti (nell' ordine: Sole, Marte, Saturno, Luna, Mercurio, Venere, Giove). Lo stesso vale inoltre per zolfo, carbonio, arsenico e antimonio. Ma torniamo ora al momento storico di cui si diceva all' inizio: è da allora che gli elementi via via scoperti cominciano a ricevere, nelle varie lingue europee, una comune denominazione (a parte ovvi adattamenti di grafia). Tale momento possiamo situarlo, approssimativamente, intorno alla metà del secolo XVII: quando infatti, nel 1669, l' alchimista amburghese Brand isola il fosforo dall' urina, quel nome si diffonde inalterato in tutta Europa (nelle lingue prese ad esempio: phosphoros, fosforo, phosphorus, fosfor). Questo sta a testimoniare che si è ormai venuta formando una sorta di comunità dotta sovrannazionale, fra i cui membri le notizie, e i termini scientifici relativi, circolano liberamente e rapidamente. E' la comunità i cui primi grandi esponenti sono Bacone, Keplero, Galilei, Cartesio: coloro che nella prima metà del ' 600 gettano le basi di quel rivolgimento che segnerà la nascita della scienza intesa in senso moderno. Nello stesso lasso di tempo nascono le prime associazioni scientifiche: l' Accademia dei Lincei nel 1603, nel ' 57 l' Accademia del Cimento, nel ' 60 la Royal Society, nel ' 66 l' Academie Royale des Sciences. E sempre allora escono le prime pubblicazioni scientifiche a carattere periodico: dal 1665 in Francia il «Journal des Savants» e in Inghilterra le «Philosophical Transactions», dal 1670 in Germania la «Miscellanea curiosa medico physica». Gli studi sulla materia e sui suoi componenti primi non possono certo restare estranei a tale nuovo clima: nel giro di un paio di generazioni gli alchimisti cedono il passo ai chimici, Paracelso a Boyle. Sarà proprio il chimico inglese, nel 1661, a dare alle stampe a Londra «The sceptical Chymist». Qui per primo enuncerà il concetto moderno di «elemento chimico»: «Io ora intendo per Elementi... certi corpi Primitivi e Semplici, o perfettamente non miscelati; che non essendo costituiti da alcun altro corpo... sono gli Ingredienti da cui son composti tutti quelli che vengono chiamati Corpi perfettamente miscelati... ». Ma la visione limpida di Robert Boyle resterà senza eco per oltre un secolo. Sarà ripresa, e finalmente si affermerà, con l' opera del grande Antoine Laurent Lavoisier, che nel 1789 pubblicherà a Parigi il «Traité elementaire de Chimie». Qui la definizione è di chiarezza esemplare, e subordinata consapevolmente ai progressi della sperimentazione: «Se... noi attribuiamo al nome di elemento o principio dei corpi l' idea del termine ultimo al quale giunge l' analisi, allora tutte le sostanze che non siamo stati capaci di decomporre in alcun modo sono per noi elementi». D' ora in poi la serie degli elementi chimici crescerà rapidamente: frutto dell' acquisizione concettuale appena vista, e insieme del progressivo affinarsi delle tecniche chimiche di separazione ed analisi. Se gli elementi noti con certezza erano 13 a fine ' 500, e 23 ai tempi di Lavoisiser, già a meta" 800 essi saranno una sessantina, per giungere nel 1940 al numero definitivo di 92, con la scoperta dell' astato. Ben più dei 4 «rizomata» (in greco, radici) che 24 secoli prima, verso il 450 a. C., Empedocle di Agrigento ipotizzava alla base della materia: acqua, aria, terra, fuoco. Alfredo Franceschini


METEOROLOGIA Meteosat 3 «coprirà » anche gli Usa
LUOGHI: ITALIA
NOTE: 034

IL satellite meteorologico europeo Meteosat 3, appartenente all' Agenzia spaziale Europea e gestito da Eumetsat, l' ente che fornisce le previsioni del tempo sull' Europa, va in soccorso degli Usa. Sarà infatti spostato verso ovest in modo da coprire tutti gli Stati Uniti. Il satellite era stato lanciato lo scorso agosto e collocato a 50 ovest al disopra dell' Equatore in modo da coprire solo la costa orientale Usa. Lo spostamento è stato chiesto dalla Noaa, l' ente meteo statunitense. Gli Usa dispongono normalmente di due satelliti meteo, Goes Est e Goes Ovest. In questo momento, pero a causa di un lancio fallito nell' 86 e al ritardo dei satelliti di nuova generazione dispongono del solo Goes 7 che cesserà di funzionare nel ' 94.


LABORATORIO «Comunicatori» specializzati per fare da tramite fra scienziati e mass media
Autore: NEPI CINZIA

ARGOMENTI: RICERCA SCIENTIFICA, SCIENZA, COMUNICAZIONI
NOMI: GIACOBINI EZIO
LUOGHI: ITALIA
NOTE: 034

L' ARTICOLO del professor Ezio Giacobini dal titolo «La scoperta è più importante se ne parlano i giornali» pubblicato sul numero 501 di «Tuttoscienze» sui rapporti tra risultati della ricerca scientifica e divulgazione induce a numerose riflessioni e ad alcune precisazioni. In quell' articolo Giacobini sollevava il delicato problema di individuare e gestire opportunamente il vasto campo della «comunicazione scientifica». Gli aspetti da analizzare sono molti: vediamone alcuni. La divulgazione a largo raggio dei fatti di scienza e la ricerca di sempre maggiore consapevolezza scientifica individuale sono ormai realtà assodate (per restare nel solo ambito italiano si pensi a quanti quotidiani inseriscono pagine di scienza nelle loro edizioni o quanto successo cominciano ad avere trasmissioni televisive di divulgazione scientifica). Ma non esiste solo una comunicazione tra ricercatori e scienziati e pubblico non specializzato, viene costantemente e necessariamente esercitata comunicazione scientifica anche tra «addetti ai lavori» (attraverso riviste specializzate e qualsiasi altra forma di interscambio comunicativo). Così come risulta reale e indispensabile una divulgazione e comunicazione scientifica tra ambito della ricerca e strutture tecnico produttive. Fin qui niente di nuovo o di problematico. In realtà analizzando i singoli ambiti ci accorgiamo di quanto la divulgazione non sia sempre ben esercitata o, in alcuni casi, come non sia realizzata affatto. Come faceva notare l' articolo di «Tuttoscienze», è una realtà che una medesima notizia appaia in contemporanea su riviste specializzate e quotidiani a larga tiratura, generando false polemiche scaturite da disinformazione, grossi dubbi sul rispetto, nell' ampia diffusione, della qualità, ampiezza ed oggettività dell' informazione del fatto di scienza. D' altra parte è anche vero che, grazie alla iperspecializzazione dei singoli campi di ricerca, non risulta sempre così agevole l' interscambio comunicativo tra discipline diverse, o che non sono poi così efficienti e attivi i legami tra ambito della ricerca teorica e mondo delle realizzazioni tecnico produttive. Si profila netta dunque la necessità di usufruire di figure specializzate in divulgazione e comunicazione scientifica, professionalmente ben preparate, che si pongano da ponte ed elemento fondante per costruttivi rapporti tra gli ambiti diversi che ruotano intorno ai fatti scientifici e cioè scienziati e ricercatori, opinione pubblica, mezzi di comunicazione, settori tecnico produttivi. L' elemento più interessante da sottolineare è che esistono già esempi concreti di formazione di professionalità del genere: tre indicazioni a livello nazionale ed europeo. La Cee sta organizzando una selezione di candidature per costituire un elenco a cui attingere specializzati in comunicazione della ricerca, atti a «progettare e attuare azioni intese a migliorare la comunicazione e la diffusione delle conoscenze scientifiche e dei risultati della ricerca negli ambienti scientifici, nel mondo industriale e nell' opinione pubblica» (Cee, Segreteria dei comitati di Selezione Ricerca). In Inghilterra l' Imperial College of Science, Technology and Medicine, London University, ha realizzato per quest ' anno un «Course in Science Communication». La Regione Toscana sta sostenendo in collaborazione con l' Università due borse di studio usufruite presso il Dipartimento di Chimica dell' Università di Firenze in «Giornalismo scientifico e divulgazione della scienza» (Laboratorio di ricerca educativa Dipartimento di Chimica, Università di Firenze). Accanto agli uomini di scienza, dunque, i divulgatori scientifici professionisti, e tutto dovrebbe funzionare meglio, senza l' effetto amplificante deformante della stampa sulla comunità scientifica e sull' opinione pubblica. Cinzia Nepi Università di Firenze


SCAFFALE De Meis Salvo e Meeus Jean: «Almanacco astronomico 1992», Hoepli
AUTORE: BIANUCCI PIERO
ARGOMENTI: ASTRONOMIA, LIBRI
LUOGHI: ITALIA
NOTE: 034

IL 1992, dal punto di vista astronomico, non è un anno particolarmente eccitante: non ci saranno eclissi spettacolari come quella del luglio scorso, non è previsto il passaggio di comete appariscenti, i fenomeni celesti sono quelli dell' «ordinaria amministrazione». Tuttavia qualcosa di curioso e di singolare, a ben guardare, c' è, e ci aiuta a scoprirlo l' Almanacco Astronomico che da anni, regolarmente, De Meis e Meeus pubblicano presso Hoepli. Le sorprese più interessanti vengono dalle occultazioni. Per esempio, il 23 giugno la Luna nasconderà una stella dei Pesci di quinta magnitudine e il 21 settembre la stella Zeta dei Gemelli, di quarta magnitudine, fenomeni osservabili in tutta l' Italia. «Eclissi» di stelle da parte di asteroidi saranno osservabili il 22 agosto e il 28 dicembre, ma solo con telescopi abbastanza potenti. Curiosi anche alcuni fenomeni dei satelliti di Giove: il 7 aprile, per esempio, sul pianeta si proietteranno insieme le ombre di due satelliti, Io ed Europa.


SCAFFALE Krueger Myron: «Realtà artificiale», Addison Wesley
AUTORE: BIANUCCI PIERO
ARGOMENTI: ELETTRONICA, LIBRI
LUOGHI: ITALIA
NOTE: 034

Tutto incominciò con i simulatori di volo per addestrare i piloti: il computer doveva creare con il massimo realismo le condizioni in cui chi sta alla cloche di un aereo si trova mentre decolla, mentre atterra, mentre a bordo si crea un' emergenza. Se vogliamo, l' altro inizio della storia è il «mouse», lo strumento con cui si entra, per così dire, dentro il computer manipolando sullo schermo un cursore elettronico. Di qui si è sviluppato un nuovo universo interamente elettronico, che va sotto la dizione «realtà virtuale» o «realtà artificiale». Guanti con sensori elettronici, occhiali forniti di minischermi, caschi con visori e telecamere consentono oggi una interazione del nostro corpo con oggetti e spazi che esistono soltanto nei circuiti di un computer. Ne derivano nuove tecnologie, al servizio della ricerca, ma anche dell' arte, del divertimento e della vita quotidiana. Il libro di Myron Krueger è il primo che affronti in lingua italiana queste prospettive affascinanti e inquietanti dell' informatica più avanzata.


SCAFFALE Dupont Pascal e Roero Carla: «Leibniz 84, il decollo enigmatico del calcolo differenziale», Mediterranean Press
AUTORE: BIANUCCI PIERO
ARGOMENTI: MATEMATICA, LIBRI
LUOGHI: ITALIA
NOTE: 034

Il calcolo differenziale, un fondamento della matematica moderna, nasce nel 1684 con un saggio di Leibniz intitolato «Nova methodus pro maximis et minimis». Le circostanze storiche di quella conquista non sono però ben conosciute. Pascal Dupont e Carla Silvia Roero, entrambi dell' Università di Torino, presentano qui una ricostruzione accurata di quella svolta culturale, sulla base dei documenti originali. Marco Trabucchi: «Invecchiamento della specie e vecchiaia della persona», Franco Angeli, lire 34 mila Invecchiare non è una malattia: questo il messaggio di Marco Trabucchi, professore di Farmacologia alla facoltà di Medicina della seconda università di Roma e specialista in psicogeriatria. Il suo libro suggerisce ai lettori di non farsi sopraffare dal solito pessimismo delle statistiche ma di avere una visione più ottimistica della vecchiaia. Le differenze individuali, infatti, fanno sì che non esistano due vecchiaie uguali. L' invecchiamento e il modo di affrontarlo devono quindi essere «personalizzati».


SCAFFALE Mastrangeli Vincenzo: «Il linguaggio e la sua organizzazione», Giunti Lisciani
AUTORE: BIANUCCI PIERO
ARGOMENTI: PSICOLOGIA, LIBRI
LUOGHI: ITALIA
NOTE: 034

Con i contributi della psicologia, della statistica e delle neuroscienze la pedagogia accentua i suoi aspetti propriamente scientifici. In questa linea segnaliamo gli ultimi volumi della Giunti Lisciani: «La scrittura nella scuola dell' obbligo» di Roberto Eynard, «Il linguaggio e la sua organizzazione» di Mastrangeli, «Elementi di statistica per la ricerca scolastica». Piero Bianucci


L' ECHIDNA Il riccio gigante che dà la scossa Come l' ornitorinco, possiede un senso elettrico Il conduttore è il naso, costantemente umido
Autore: LATTES COIFMANN ISABELLA

ARGOMENTI: ZOOLOGIA, ANIMALI
LUOGHI: ITALIA
NOTE: 035

I L sospetto è diventato certezza: l' echidna, così come l' ornitorinco, suo cugino e vicino di casa, possiede un senso elettrico, prerogativa più unica che rara nel mondo dei mammiferi. C' è chi ha spiritosamente definito il singolare animale australiano "un riccio gigante che fuma il sigaro". Questa è l' impressione che può fare il suo tozzo corpo globoso irto di aculei misti a peli, da cui spunta uno stranissimo becco tubolare lungo e sottile. Inoltre ha anch' essa l' abitudine, per difesa, di arrotolarsi a formare una palla pungente. Se un nemico la insegue, l' echidna ha un altro sistema per mettersi in salvo: si dà immediatamente a scavare con rapidità impressionante e presto scompare nel sottosuolo con la maggior parte del corpo. Ne lascia emergere soltanto la parte superiore, irta di aculei lunghi anche sei centimetri. Il predatore che cerchi di estrarla dal suo rifugio non ci riesce, perché l' echidna si tiene saldamente ancorata al terreno con i poderosi artigli. Basta guardarle la lingua vermiforme che si può estendere fino a diciotto centimetri (in un animale che ne misura una quarantina) per rendersi conto della sua dieta, costituita principalmente da formiche e termiti. Per raggiungere le sue prede preferite, l' abilità nello scavo le riesce utilissima. Al principio dell' estate australe, quando i maschi alati e le femmine vergini della formica Iridomyrmex detectus, una delle sue maggiori ghiottonerie, si preparano al volo nuziale, sembra che l' echidna sappia esattamente ciò che avviene nell' interno del nido, perché è proprio in corrispondenza del suo lato settentrionale, il più caldo, che incomincia a scavare e raggiunge così la folla dei futuri sposi. La liquida con poche leccate e si procura in tal modo un pasto nutrientissimo, dato che le future regine contengono quasi la metà del peso corporeo (il 47, 2 per cento) di grassi. Anche se formiche e termiti costituiscono il suo menù preferito, l' echidna non disdegna all' occasione lombrichi, coleotteri e larve di insetti. A differenza dell' ornitorinco, che è un eccellente nuotatore e fila come un siluro nei corsi d' acqua australiani, l' echidna è una creatura squisitamente terrestre. Con la sua buffa andatura barcollante sulle brevi zampe, compie a volte percorsi di chilometri in cerca di un habitat che le sia più congeniale, ma non è necessariamente nomade. Se si trova bene nella zona in cui è nata, ci rimane vita natural durante, cioè per quasi mezzo secolo. Non sopporta il caldo eccessivo. E come potrebbe, visto che non possiede nessun meccanismo per disperdere il calore? Non ansima, non si lecca, non ha ghiandole sudoripare. Se la cava cercando un accogliente rifugio ombreggiato nelle ore più calde del giorno. Il freddo intenso invece lo evita con lo stratagemma del torpore letargico a metabolismo ridotto. E per combattere i numerosi parassiti che prosperano nella sua irsuta pelliccia, si avvale dell ' unghia particolarmente sviluppata del secondo dito delle zampe posteriori, un arnese che sembra fatto apposta per grattarsi e liberarsi degli ospiti indesiderati. L' ordine dei Monotremi, gli unici mammiferi che danno alla luce i figli allo stadio di uova, comprende due famiglie. Quella degli ornitorinchi, rappresentata da una sola specie, il celeberrimo Platipo o Ornitorinco (Ornithorhyncus anatinus) che nuota nei corsi d' acqua d' Australia e di Tasmania. E quella dei Tachiglossidi, che conta due rappresentanti, l' Echidna a becco corto (Tachyglossus aculeatus) che vive in Australia, Tasmania e Nuova Guinea e l' Echidna a becco lungo (Zaglossus brujini) che abita sulle montagne e gli altopiani della Nuova Guinea. Che lo stranissimo becco dell' ornitorinco, appiattito come quello delle anatre, fosse ricco di terminazioni nervose, lo si sapeva da un pezzo. Ma si pensava che si trattasse di terminazioni tattili, grazie alle quali l' animale riusciva a scovare le prede nelle acque torbide in cui vive, dove la visibilità è quasi nulla. Sennonché, nel 1986, un gruppo di studiosi tedeschi e australiani scopre che il becco dell' ornitorinco è sensibile all' elettricità. Ed è proprio quella sorta di radar elettrico che gli consente di cacciare con successo le prede. Quando un gamberetto guizza nell' acqua agitando la coda, la contrazione dei suoi muscoli genera un campo elettrico che l' ornitorinco riesce a percepire anche a parecchi centimetri di distanza. A questo punto parecchi studiosi sono curiosi di sapere se anche l' altro monotremo australiano, l' echidna, goda dello stesso privilegio, e una equipe della Monash University australiana guidata dal fisiologo Ed Gregory, si mette al lavoro per rispondere a questo interrogativo. Viene scelta l' Echidna a becco corto australiana, che vive in vari tipi di habitat, dalle zone aride semidesertiche alla foresta pluviale tropicale. Già si sapeva dalle esperienze di Karl Andres che la pelle del muso dell' echidna è ricca di terminazioni sensorie simili a quelle dell' ornitorinco per quanto meno complesse. Si trattava ora di stabilire se le terminazioni fossero tutte tattili o anche elettriche. E l' equipe di Ed Gregory è riuscita a dimostrare sperimentalmente che l' estremità del muso dell' echidna è sensibile a deboli campi elettrici. La scoperta in un primo momento era stata accolta con un certo scetticismo nel mondo scientifico. Sembrava strano che potesse possedere un senso elettrico un animale squisitamente terrestre come l' echidna, mentre è noto che, dai pesci elettrici allo stesso ornitorinco, tutti gli animali che ne sono provvisti vivono nell' acqua o per lo meno in un ambiente umido (è noto infatti che l' elettricità si trasmette meglio nell' acqua che nell' aria). Ma il mistero è stato presto chiarito: l' echidna può usare il suo strabiliante senso elettrico grazie al naso, costantemente umido. Isabella Lattes Coifmann


LA CRESCITA DEGLI ALBERI Niente caso, solo geni Anche il semplice spuntare di una fogliolina è un processo guidato da Dna, enzimi e ormoni che agiscono in sintonia perché tutto nasca nel suo punto prefissato e non altrove
Autore: ACCATI ELENA

ARGOMENTI: BOTANICA, GENETICA
LUOGHI: ITALIA
NOTE: 035

COME da un seme possa nascere un germoglio che poi si accrese per divenire un gigante secolare, è un interrogativo che molti sicuramente si sono posti. Suscita stupore, meraviglia e anche incredulità la perfezione che gli alberi mostrano nella disposizione, nella simmetria o nella disformità dei rami e delle foglie, in cui nulla è lasciato al caso, ma tutto è predisposto per soddisfare un compito ben preciso. Il semplice spuntare di una fogliolina su di un albero è un processo complesso guidato da geni cellule, enzimi e ormoni che operano tutti in sintonia, in quanto la foglia deve sorgere proprio in quel punto e non altrove. La forma di un albero è la somma dell' aspetto della chioma, delle ramificazioni principali e secondarie e del fusto. I caratteri usati per descrivere la forma di un albero dipendono dall' utilizzazione che poi verrà fatta della descrizione. Gli architetti paesaggisti classificano la forma degli alberi in base alla figura geometrica della chioma e alla densità delle foglie, perché ovviamente sono interessati al modo in cui l' albero occupa lo spazio. Gli ecologi, invece, classificano la forma in base alla disposizione delle foglie e all' intensità con cui queste svolgono la fotosintesi e la traspirazione. Negli Stati Uniti, dove sta sempre più sviluppandosi l' «Urban Horticulture», una disciplina che potremmo tradurre come «Scienza del Verde», si è svolto recentemente un congresso sulla struttura dell' albero in relazione al suo comportamento ed impiego nel paesaggio. Uno dei problemi affrontati riguardava proprio la spiegazione dei processi che consentono all' albero di raggiungere la fase matura con una struttura organizzata in migliaia di foglie e rami partendo da un singolo germoglio che proviene da un solo seme. Di solito per alludere a un ramo o a un rametto prodotto da ciascun meristema apicale (tessuto giovanile) si parla di assi. Gli alberi si accrescono allungandosi e ramificandosi per formare nuovi rami laterali. L' accrescimento dipende dalla persistenza o no del meristema di un asse. Infatti un asse può non ramificare per assenza del meristema o avere un accrescimento lento. I rami possono accrescersi mentre le foglie sono presenti o esse possono comparire in seguito, quando è stato superato l' inverno, come avviene nel caso di molte specie di climi temperati. In tal modo il processo di allungamento e di ramificazione viene ripetuto fin quasi all' infinito. Quando l' accrescimento è rapido, ciascun asse si allunga e ne produce dei nuovi, dando origine a un' immensa popolazione di assi che costituiscono l' albero. Essi si aggiungono l' uno all' altro secondo modelli precisi, con lunghezze diverse; per esempio, i rami laterali si accrescono dopo un periodo di freddo. Il numero di rami laterali dipende dalla lunghezza dell' asse principale; gli assi più corti non producono rami laterali. Se il meristema terminale non persiste, come accade nel pioppo e nella betulla, quello laterale più distale si accresce nella stessa direzione dell' asse parentale, sostituendolo. Oltre ai processi di allungamento e di ramificazione, gli assi assumono orientamenti molto caratteristici. Questo aspetto si apprezza soprattutto negli alberi tropicali (baobab, mango, l' albero del pane, i Ficus). I germogli laterali di solito formano angoli rispetto agli assi parentali, ma possono piegarsi oppure intrecciarsi in modo da crescere verticalmente o in file, in modo simmetrico o no. Successivamente i vari assi si ispessiscono in modo diverso dando luogo alla formazione di steli laterali o al fusto principale. Essi possono cambiare orientamento piegandosi sotto il peso delle foglie o per modificazioni interne del legno. Come molti sistemi, anche gli alberi sono talvolta stabili e tendono a ritornare alla loro forma primitiva dopo una perturbazione causata da un danno alle foglie, dalla distruzione del meristema terminale degli steli o da insetti, malattie, abrasioni, maltempo o anche da particolari pratiche colturali. In seguito al danneggiamento, il meristema terminale può reagire in due modi diversi. Le gemme precedentemente inibite possono accrescersi rapidamente e spesso verticalmente. E' anche possibile che i rami laterali che si trovano vicino a quello danneggiato si incurvino attraverso la produzione di legno di reazione, sostituendo l' asse danneggiato. Se più di un ramo laterale sostituisce l' asse danneggiato, si verifica una biforcazione. Essa è comune specialmente quando l' albero passa dalla forma giovanile a quella adulta. Elena Accati Università di Torino


TRA INDUSTRIA E MEDICINA Radiazioni tuttofare Ultima novità le ghiandole artificiali
Autore: VOLPE PAOLO

ARGOMENTI: MEDICINA E FISIOLOGIA, RICERCA SCIENTIFICA
LUOGHI: ITALIA
NOTE: 035. Microsfere

MICROSFERE di materiale plastico che viaggiano nell' organismo con destinazione diversa a seconda delle dimensioni, portando su di sè innestati per «grafting», estrogeni che ne costituiscono sia il carico utile sia il sistema di guida. Questa è una delle tante possibilità, in campo medico, offerte al progresso scientifico dalla chimica delle radiazioni. Altrettante innovazioni vengono prospettate da questa semisconosciuta branca della scienza in tutti i campi della tecnologia d' avanguardia. Le applicazioni classiche delle radiazioni ionizzanti sono ormai utilizzate su larga scala. Molti dei materiali che costituiscono oggetti familiari a tutti noi derivano da processi radioindotti: in molte automobili, soprattutto giapponesi, i pneumatiti, il cruscotto, gli isolanti acustici, i cerchioni e le vernici sono trattate con particelle ionizzanti. I materiali isolanti negli oroligi digitali e nei calcolatori sono prodotti per radiopolimerizzazione; gli oleodotti ed i gasdotti sono protetti contro la corrosione da materiali prodotti mediante irraggiamento, così come i cavi telefonici intercontinentali. Gran parte del materiale chirurgico è sterilizzato mediante radiazioni ionizzanti. Tutto ciò le radiazioni riescono a fare grazie a tre fenomeni ad esse collegati: creazione di difetti strutturali, reticolazione e «grafting», che oggi vengono sfruttati per altre applicazioni innovative. La creazione di difetti nei solidi consiste nello spostare dal loro posto nel reticolo cristallino uno o più atomi, lasciando così una zona disordinata: questo, che rispetto a molte proprietà del solido può essere un fatto negativo, per altri versi conferisce al materiale proprietà utili. Ad esempio, in alcuni dispositivi a semiconduttore i difetti sono necessari per controllare la mobilità dei portatori di carica. Tradizionalmente ciò si ottiene drogando chimicamente il semiconduttore, creando cioè dei difetti chimici col diffondere, nel materiale puro, oro o platino sotto riscaldamento a 900 gradi. Ebbene lo stesso risultato, anzi più soddisfacente, lo si ottiene irraggiando il semiconduttore con radiazioni beta o gamma. Nella produzione industriale si ha anche il vantaggio economico di minor scarto e più omogeneità nel prodotto finito. La reticolazione invece non è altro che la rottura di legami chimici seguita dal loro ricombinarsi in modo diverso. Con essa si può modificare un polimero, facendogli assumere caratteristiche chimiche e chimico fisiche nuove, in genere migliori dal punto di vista pratico. Applicazioni d' avanguardia sono quelle sui polimeri conduttori, materiali di grande interesse nel futuro: recentemente è stato preparato, con le radiazioni del Co 60, il primo polimero conduttore sotto forma di gel. Il «grafting», letteralmente graffaggio, consiste nel rendere attivi i legami sulla superficie di un corpo che agisce da supporto per innestarvi chimicamente, in strato poco più che molecolare, sostanze con le più svariate funzioni: possono proteggerne la superficie (ad esempio plastica su legno); possono renderla chimicamente selettiva: elettrodi su cui è innestato un composto diventano estremamente sensibili sia per la separazione che per la rivelazione analitica di quel composto o di composti affini; possono esservi innestati semplicemente per essere trasportati e quindi essere rilasciati a tempi prestabiliti. Quest' ultimo caso entra nelle applicazioni biologiche della chimica delle radiazioni, una delle quali è quella a cui si è accennato: le microsfere guidate verso organi diversi a seconda delle loro dimensioni dagli estrogeni su di esse innestati; il loro destino è la prostata se hanno 1 o 2 micron di diametro, il polmone se hanno 20 micron di diametro, e così via. Il veicolo, le microsfere nel caso citato, deve ovviamente essere biocompatibile, ed i materiali biocompatibili vengono chiamati biomateriali, argomento fondamentale nella ricerca in prospettiva, nella quale si inserisce a buon diritto la chimica delle radiazioni. I biomateriali possono essere di dimensioni molecolari ed esser diffusi nell' organismo, o di dimensioni macroscopiche ed esser inclusi in zone ben specifiche in cui il composto biofunzionale innestato venga dismesso in tempi lunghi prefissati. E' questo il caso in cui si vogliono somministrare ormoni con l' impianto di ghiandole artificiali. Esemplificativo il caso del testosterone innestato per grafting su un piccolo uovo di idrossimetilmetacrilato, che funziona come testicolo protesi con effetti positivi per molti mesi dopo l' innesto. Paolo Volpe Università di Torino


CAVALLI Speriamo che sia un campione
Autore: PERUCCA BRUNO

ARGOMENTI: ZOOLOGIA, ANIMALI, IPPICA, EQUITAZIONE
LUOGHI: ITALIA
NOTE: 035. Allevamenti

SETTIMANE di ansia negli allevamenti del cavallo da corsa. E' il momento delle nascite dei puledri, che si spera diventino protagonisti negli ippodromi, e della fecondazione delle fattrici con combinazioni di sangue studiate sognando il meglio. Anche se non è affatto certo che l' unione fra due campioni produca il campionissimo. Il giorno propizio per la nuova inseminazione (naturale o artificiale) è considerato il nono dopo il parto. Dall' inseminazione al parto, la gestazione dura undici mesi. Mesi della speranza e delle attenzioni, per chi alleva mischiando passione e mestiere. Nel mondo del trotto, proprio nel periodo caldo dell' anno, è arrivata una brutta notizia. E' morto a 23 anni Sharif di Jesolo, lo stallone più in voga e più prolifico di campioni. Nell' ultima stagione di monta ha fecondato 8 fattrici Usa, 5 francesi, una belga, 4 svedesi. Nei muscoli e nella testa di Sharif di Jesolo, nato nell' aprile del ' 69, erano stati mischiati il sangue americano di Quick Song e quello francese di Odile de Sassy. Lo sprint paterno e la resistenza della madre, il cocktail (Usa Francia, appunto) più in voga da anni nella ricerca del trottatore super. Breve la carriera di Sharif (alle cui prodezze si lega la carriera del driver Pino Rossi), cinque anni. Settantaquattro corse, 32 vittorie importanti e 30 piazzamenti. Aggiornando alle cifre attuali i premi vinti nel periodo ' 71 76, il cavallo avrebbe regalato ai proprietari più di 4 miliardi. Ma impressionante è il frutto della sua attività di padre: in corsa i 1142 figli non tutti campioni, ovvio registrati sino al ' 91 mentre stanno nascendo ancora i suoi ultimi prodotti, hanno già portato complessivamente alle scuderie 53 miliardi di lire. Sharif di Jesolo è stato la punta dell' allevamento degli anni ' 80. Una sua inseminazione valeva 40 milioni. Degli stalloni trottatori in attività le punte sono Florida Pro (16 milioni per prodotto) e il quotatissimo Texas (10); l' asso del galoppo Tisserand 5 milioni, perché è agli inizi dell' attività stalloniera e deve ancora dimostrare il suo valore da padre. Quante monte in un anno? Secondo i regolamenti ippici italiani uno stallone può «coprire» 80 cavalle l' anno con accoppiamento naturale, arrivare a 120 per inseminazione strumentale. Ormai largamente diffusa anche se Federico Tesio, l' uomo che ha aperto strade nuove nell' ippica, sosteneva che solo l' accoppiamento naturale trasmette il carattere e la grinta dei genitori. L' accoppiamento strumentale, esperimentato per i bovini sin dagli anni ' 30, avviene sotto controllo medico. Quando lo stallone si accinge a penetrare la fattrice, il veterinario devia «l' attrezzo» in una vagina artificiale (una doppia membrana, nell' intercapedine acqua alla temperatura corporea di 37 39 gradi) atta a raccogliere il seme. Che viene poi diviso da una particolare attrezzatura (il contaseme) capace di valutare il numero degli spermatozoi di ogni eiaculazione. Il seme, così ripartito, verrà poi proposto alla fattrice giunta alle condizioni ottimali per l' inseminazione. Una volta raccolto nella sacca viene diviso mediamente in 4 o 5 parti. In momenti di vena, lo sperma di Sharif di Iesolo forniva materiale per ben sette fattrici. E' chiaro che in questo modo uno stallone «fatica» di meno per arrivare alle 120 inseminazioni strumentali annue, rispetto alle 80 naturali. Ma attenzione, non tutti gli stalloni si accontentano e accettano il trucco. Racconta Domenico Tonietti: «Un altro ex campione, Top Hanover, ha sempre rifiutato la vagina artificiale. La cavalla o niente... ». Adesso il mondo dell' ippica si chiede quanto seme di Sahrif è ancora disponibile. A norma di regolamento precisa il dottor Binello che ha sotto controllo gli ippodromi di Vinovo poco o nulla. Perché la conservazione del seme (in ossigeno liquido a bassissime temperature, n. d. r. ) nel mondo italiano del cavallo deve ancora essere codificata. Semi di tori reggono vent' anni, ma i cavalli non sono semplicemente animali da latte o da macello. Hanno davanti le corse. Che sono la loro salvezza. Bruno Perucca


LE PORTE AUTOMATICHE Apriti, Sesamo] Ci sono due tipi di sensore: a raggi infrarossi o a microonde Un fascio luminoso impedisce di rimanere chiusi nel mezzo
LUOGHI: ITALIA
TABELLE: D
NOTE: 036

LE porte automatiche sono state concepite soprattutto per quei luoghi di passaggio in cui la gente potrebbe avere bagagli pesanti che impediscono l' uso delle mani o gli accessi convenzionali pongono problemi. Sono indispensabili per le persone con handicap fisici, in particolare per chi si sposta sulla sedia a rotelle. Nate per ambienti particolari aeroporti, hall di grandi alberghi, uffici pubblici oggi sono frequenti anche in molti palazzi di abitazione privata. La porta automatica illustrata in questo grafico utilizza la rete elettrica e un sensore, il quale riconosce l' avvicinarsi di una persona o di un oggetto e, attraverso un microprocessore, manda un segnale al motore della porta. E' questo motore che fa scorrere i due battenti. Alcune porte automatiche usano un sensore infrarosso, che riconosce il calore del corpo. La porta del nostro grafico ne usa invece uno a microonde, che identifica il movimento. Il vantaggio di questo tipo di sensore rispetto all' altra è quello di saper riconoscere non solo le persone che si avvicinano, ma anche oggetti come i carrelli porta bagagli o i passeggini dei bambini. Le microonde agiscono secondo un modello semi circolare, in modo che la porta si aprirà sempre, indipendentemente dall' angolo dal quale ci si avvicina. Le porte sono provviste di un meccanismo ritardante. Una volta che il segnale viene mandato di riflesso al sensore, le porte resteranno aperte per circa quattro secondi, poi si richiuderanno. Se però, per qualsiasi ragione, ci si blocca nel mezzo, una sbarra di sicurezza impedisce alla porta di chiudersi. Si tratta di un fascio luminoso che va da un estremo all' altro: una persona o un oggetto fermi in mezzo alla porta lo interrompono, con il risultato che il microprocessore riceve un segnale che «dice» al motore di non chiudere le porte. Questo sistema automatico è provvisto anche di un accumulatore a batteria per l' eventualità di incendio. Se viene a mancare la corrente elettrica, la batteria la rimpiazza e automaticamente spinge le porte in posizione di apertura o di chiusura, secondo la necessità. La batteria può anche essere collegata all' allarme antincendio in modo che, quando suona, le porte si aprono o si chiudono.


STRIZZACERVELLO I sei dadi
LUOGHI: ITALIA
NOTE: 036

I sei dadi Procurarsi sei dadi, scegliere una cifra da 1 a 6 e puntare un certo importo. Lanciare contemporaneamente tutti i sei dadi: se il numero scelto compare almeno una volta, si vince. In caso contrario, si perde. Il banco accetta soltanto scommesse 3 a 1, perché considera molto forte la posizione del giocatore: poiché la probabilità di ottenere una cifra di un dado è di 1/6, con sei dadi dovrebbe avere la certezza di vincere. Ma il gioco è davvero così favorevole al giocatore come sembra? La risposta domani, accanto alle previsioni del tempo


CHI SA RISPONDERE?
LUOGHI: ITALIA
NOTE: 036

& Perché i 365 giorni che costituiscono l' anno sidereo sono divisi in 12 mesi anziché in 13, tutti di 28 giorni tranne uno? & Che cos ' è un «virus informatico» ? (Fabrizio Galia) & Qual è il numero di informazioni che il nostro cervello è in grado di immagazzinare ? (Paolo Cento) & Ogni ciclista, descrivendo una curva, inclina se stesso e la bicicletta. L' angolo di inclinazione dipende dalla massa del ciclista? (Diego Ginamo) _______ Risposte a: «La Stampa» via Marenco 32, 10126 Torino. Oppure via fax al numero 011 65 68 504, indicando chiaramente «Tuttoscienze» in copertina.


LA PAROLA AI LETTORI Senza la matematica, nessuna scienza può essere esatta
LUOGHI: ITALIA
NOTE: 036

TRE studenti del Politecnico di Torino hanno ripreso il problema della distanza media coperta da un pallone nel corso di una partita di calcio, suggerendo due soluzioni. Pubblichiamo la più breve: «Se si analizza con il videoregistratore un certo numero di incontri alla televisione e si calcolano con metodi probabilistici i seguenti parametri: 1) "t", tempio medio delle azioni giocate; 2) " m", distanza media percorsa dal pallone durante una singola azione; 3) " T", tempo medio di gioco effettivo, la distanza media totale sarà il risultato di "T"diviso per "t"e moltiplicato per "m". «Questi valori si possono ottenere, con margini di errore più o meno grandi, con un cronometro, un buon videoregistratore e... molto occhio agli spostamenti del pallone nel video] ». (Antonio Barletta Nicola De Rende Vincenzo Di Marca Politecnico di Torino) Anche il paradosso delle bugie ha stimolato nuove riflessioni. Eccone ancora un paio: «Sto mentendo. Infatti l' asserzione "Io dico sempre bugie" non significa che talvolta io dico bugie. Al contrario, significa che dico bugie ogni volta che apro bocca. In altre parole: l' universalità dell' asserzione è tale da comprendere l' asserzione stessa». (Alberto Ortolani Gazzo Veronese) Nel vero paradosso di Epimenide, la proposizione esaminata è «Io sto mentendo». Essa è paradossale in quanto è semplice (esprime un solo concetto, l' idea del mentire), dunque la sua falsità implica l' affermazione del suo contrario (io non sto mentendo). La proposizione «Io mento sempre» esprime invece due concetti ben distinti: l' azione del mentire e la sua esclusività (sempre), il che dà adito alla possibilità di varie proposizioni contrastanti con essa: la sua esatta negazione (io non mento mai) ma anche la negazione della sua esclusività (io non sempre mento). E' dunque possibile che si menta in questo istante, senza che per questo diventi assurda la falsità dell' affermazione. (Gianfranco De Lillo Luca Spriano, Asti) Qual è la definizione di «scienza esatta» ? Sfido a trovare una definizione più chiara di quella data da Leonardo da Vinci: «Nessuna umana investigazione si può dimandare vera scienza s' essa non passa per le matematiche dimostrazioni e per la sperienza, senza le quali nulla dà di sè certezza» ] (Max Grandi, Beinasco) Si può intendere per scienza esatta una qualsiasi disciplina, sperimentale o no, la quale, utilizzando metodologie proprie della logica matematica statistica in diversa combinazione, vagli le proprie teorie raggiungendo risultati di conferma o di rigetto in modo riproducibile da ogni ricercatore. (Luciano Giacomelli, Padova) Perché l' acqua spegne il fuoco? La combustione è una reazione chimica fra il combustibile e il comburente (ossigeno). Gettando acqua sul fuoco si crea una sottile pellicola di liquido sul combustibile che non può più essere raggiunto dall' ossigeno presente nell' aria e la reazione viene così interrotta. Nel caso in cui il combustibile sia liquido e meno denso dell' acqua, non può venirne ricoperto (è il caso della benzina): galleggia al di sopra e continua a bruciare. (Lorenzo Pierucci, Torino) Perché, quando la differenza tra l' aria esterna e quella espulsa dal nostro organismo diventa sensibile, quest' ultima diventa visibile? L' aria, entrando nei polmoni, si riscalda e arricchisce la percentuale di vapore; questo incontrando l' ambiente esterno più freddo, subisce un passaggio di stato a livello molecolare da gassoso a liquido. Le molecole si uniranno per coesione, creandone di più grosse e più visibili. (Riccardo Volpe, Susa) E' possibile recuperare da un autoveicolo in frenata un po' di energia termica e riciclarla? Non è possibile. Tutte le energie sono equivalenti ai fini delle possibili trasformazioni dirette e inverse e da una forma all' altra: però mentre alcune forme, ad esempio l' energia meccanica o elettromagnetica, si possono trasformare senza alcuna limitazione in energia termica, le trasformazioni inverse sono soggette a condizioni fisiche precise e definite. Perciò, se fosse possibile convertire incondizionatamente calore in lavoro, si realizzerebbe il moto perpetuo di seconda specie, il che è impossibile. (Duccio Platone, Asti) E' possibile recuperare solo una minima quantità di energia termica. Infatti per il II Principio della Termodinamica non è possibile realizzare il moto perpetuo di seconda specie, cioè trasformare continuativamente il calore sottratto a un' unica fonte in energia meccanica. Per produrre lavoro sono necessarie due fonti di calore, di conseguenza non è possibile trasformare interamente il calore ottenuto dall' attrito dei freni in lavoro continuativo. (Luca Simoni, Tortona)


LE DATE DELLA SCIENZA Diesel, un secolo fa Il 28 febbraio 1892 l' ingegnere tedesco depositava il brevetto del motore che porta il suo nome: fu un importante passo avanti nella resa energetica
AUTORE: GABICI FRANCO
ARGOMENTI: STORIA DELLA SCIENZA, TRASPORTI
PERSONE: DIESEL RUDOLF
NOMI: DIESEL RUDOLF
LUOGHI: ITALIA
NOTE: 036

UN secolo fa, il 28 febbraio 1892, l' ingegnere tedesco Rudolf Diesel depositava il brevetto del suo famoso motore. Per poter valutare correttamente l' opera di Rudolf Diesel è indispensabile inserirla nel dibattito di quel tempo, che vedeva i tecnici impegnati nella realizzazione di macchine che migliorassero i rendimenti fino allora raggiunti. Una delle tante versioni del secondo principio della termodinamica afferma l' impossibilità di costruire una macchina il cui rendimento sia al 100 per cento: tutti i costruttori sanno che esiste questo limite teorico. Un secolo fa, però, i rendimenti delle macchine erano ancora molto bassi e l' invenzione di Diesel permise di raggiungere un rendimento migliore di quello ottenuto dal recente motore a scoppio. Mentre nel motore a scoppio l' accensione della miscela di gas e benzina dentro al cilindro è provocata da una scintilla, nel Diesel l' accensione è spontanea, in quanto viene utilizzata l' elevata temperatura raggiunta dalla miscela sottoposta a energiche pressioni. Dopo aver esaminato diverse soluzioni, Diesel raggiunse l' optimum utilizzando l' olio pesante e studiando opportunamente l' iniettore per inserire dentro al cilindro, al tempo giusto e nella misura opportuna, la «miscela». Anche se molto più pesante e ingombrante, il motore Diesel si impose all' attenzione per i suoi numerosi vantaggi: oltre ad avere un maggior rendimento, infatti, esso utilizzava un combustibile meno costoso della benzina e inoltre presentava minori rischi di incendio. Nel 1910 furono realizzati Diesel di piccole dimensioni e nel 1912 il bastimento Selandia, munito di motori Diesel, compiva una traversata oceanica. Successivamente i Diesel furono applicati anche ai dirigibili. Curiosità: Rudolf Diesel, come Ettore Majorana, scomparve nel nulla, il 29 settembre 1913, durante una traversata che lo avrebbe portato in Inghilterra a inaugurare una fabbrica di motori basati sul suo brevetto. Aveva 55 anni. Franco Gabici




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